La Fionda

Minigonne a scuola: un nuovo colpo dei falsari dell’informazione

Si è già parlato in un articolo precedente di come le redazioni di tutti i maggiori media nazionali agiscano ormai sistematicamente come veri e propri falsari dell’informazione. Facendo usualmente leva sull’emozionalità, stravolgono la realtà dei fatti invece di raccontarla, oppure la inventano di sana pianta. Prima il tragico caso della morte di Willy fatto passare per una questione di “fascismo e razzismo”, con tanto di profilo Facebook fasullo per diffamare la destra; poi la bufala dei due gay cui uno chef avrebbe disegnato un pene sul piatto; poi un omicidio preterintenzionale a Napoli fatto passare per omotransfobia; poi la nuova pioggia di articoli allarmistici rigonfi da dati falsi sulla violenza contro le donne, in preparazione della fakermesse del 25 novembre prossimo.

E poi c’è il fatto più recente: secondo i “professionisti dell’informazione”, nel liceo romano Socrate una professoressa avrebbe raccomandato alle studentesse di evitare le gonne corte “altrimenti al prof cade l’occhio”. Un consiglio giudicato sessista che ha generato subito nell’istituto la mobilitazione di un arrabbiato collettivo femminista armato del suo bel cartello di protesta con hashtag di ordinanza “#stopallaviolenzadigenere”; articoli a non finire sul regime patriarcale e oppressivo che regna nella scuola italiana; una shitstorm gigantesca sul dirigente dell’istituto e sulla professoressa coinvolta; fior di esegesi sul decoro a scuola ma anche sul “tipico prof bavoso”, e così via. Non c’è pagina social femminista che non abbia preso la notizia a pretesto per fare la morale al mondo, con un ditino didattico alzato e uno accusatore pronto a fulminare chiunque dissenta. Un grande carrozzone mediatico, insomma, su una notizia che, se fosse vera, riguarderebbe al massimo un’espressione infelice uscita di bocca alla docente. Peccato però che sia del tutto inventata. Un tipico prodotto appunto da “falsari dell’informazione”.

Il “collettivo femminista” del Liceo Socrate di Roma.

Ho chiesto un’intervista telefonica a queste testimoni dirette.

La professoressa in questione, vicepreside e insegnante di ginnastica, è infatti passata in tutte le quaranta classi del plesso portando lo stesso messaggio a tutti: i maschi evitino di venire a scuola in bermuda, le femmine evitino di venire a scuola in minigonna ascellare. Nel dettaglio, alle ragazze ha detto: “sarebbero opportune gonne più lunghe, perché così si vede tutto”. Nessun accenno quindi, da nessuna parte, al possibile occhio cadente di qualche professore. Si è trattato semplicemente di un richiamo più che doveroso al decoro nell’abbigliamento richiesto dall’ambiente scolastico (il Socrate per altro è ancora privo di banchi), come tale rivolto indistintamente a ragazzi e ragazze. In un’epoca dove c’è chi rivendica la licenza di poter andare in giro vestita come le pare, dove le pare e all’ora che le pare, è un richiamo educativo doveroso e sacrosanto al fatto che invece est modus in rebus, c’è modo di comportarsi (e vestirsi) a seconda delle circostanze. Quell’insegnante che si è beccata una shitstorm nazionale, insomma, avrebbe meritato un plauso invece della diffamazione organizzata dai falsari.

Ma come so tutto questo? Facile: in epoca social le fake news hanno vita breve. Cercando e ricercando mi sono imbattuto su Twitter sul profilo della sorella di un’allieva e in quello di un’altra allieva proprio del Socrate. Entrambe testimoni dirette di quanto accaduto. La prima twitta a gran voce la verità delle cose. Non solo: sottolinea come la fake news di Repubblica e a catena degli altri media falsari mainstream abbia generato uno sfracello totale nelle chat dei genitori e degli allievi delle quaranta classi coinvolte. Un disastro generato dalla smania di Repubblica di creare  scalpore falsificando la realtà. A confermarlo è l’altra allieva del Socrate, che testimonia quanto proprio il pezzo di Repubblica, autrici Arianna Di Cori e Valentina Lupia, sia il frutto di un’intervista telefonica a un’allieva della scuola membro del collettivo femminista, però totalmente e volutamente travisata. Non solo: a mettere la minigonna “per protesta” sono state due o tre in tutta la scuola e non tutte le studentesse come strombazzato dai media. Ho chiesto un’intervista telefonica a queste due testimoni dirette dei fatti, ma purtroppo non se la sono sentita di accettare: paura di ricadute a scuola, paura di shitstorm mediatiche, sfiducia nei giornalisti, sebbene gli abbia detto (con immenso orgoglio) di non essere affatto un giornalista professionista. I loro messaggi, e piano piano ne stanno spuntando molti altri, sono tuttavia ancora su Twitter, basta cercarli.

Questi media, falsari professionisti, sono dunque correi.

In sostanza: tutto falso, dall’inizio alla fine. Fonte della mistificazione: “La Repubblica”, a catena tutti gli altri falsari mainstream, e a seguire la melma schifosa dei social network. Una moneta da tre euro spacciata con disinvoltura sull’onda emozionale e mobilitante del “maschilismo”, “sessismo”, “patriarcato” e di tutto il ben noto armamentario retorico e fasullo. Un meccanismo utile a Repubblica per raccattare un po’ di audience. Utile anche alla politica che ama strumentalizzare questi (e altri) temi, o che semplicemente abbocca come gli altri alla fake news del momento (il Ministro Azzolina ha infatti annunciato di “volerci veder chiaro” nella vicenda…) e la usa per ottenere un po’ di visibilità. Ma non va esclusa dalla dinamica nemmeno chi è in qualche modo protagonista nella notizia falsa. Chi ha passato a Repubblica la notizia (falsa o successivamente falsificata)? Nel collettivo femminista della scuola ci sono studentesse sicuramente attratte dall’attenzione mediatica, dai cinque minuti di celebrità, lo si nota bene dai primi servizi dei TG. Non sarebbero femministe se non lo fossero. Peccato che così un richiamo al decoro scolastico sia diventato, nelle mani dei falsari dell’informazione, un’espressione di sessismo che diffama l’intero istituto. Ecco allora gli imbarazzi e le marce indietro in diretta TV, con gli studenti che ripetono a pappagallo le direttive ricevute dalla scuola e gli imbrattacarte in studio che cercano di scaricare la colpa su di loro e sulla scuola, pur di non ammettere la loro responsabilità di falsari.

La giovani pasionarie, va detto, sono però colpevoli solo del fatto di fidarsi di un’ideologia tossica e rovinosa. Un peccato veniale: quando una cosa è di moda, è di moda, non ci si può far molto, specie da giovanissimi. Specie se non ti permettono di sentire altre campane. Di fatto, nell’intera vicenda sono quindi solo complici, finite in un gioco più grande di loro. Alla fine dell’ennesimo shakespeariano molto rumore per nulla, non si può fare a meno allora di individuare come colpevoli i falsari, i “professionisti dell’informazione”, e di chiedersi a cosa essi mirino con queste miserabili operazioni. Dove vogliono arrivare? È semplice pochezza umana e professionale o c’è un piano preordinato dietro? Si è portati a pensarlo, in effetti, e a ipotizzare addirittura regie internazionali in queste cose, visto che in Francia negli stessi giorni è avvenuto un fatto del tutto analogo (curiosa coincidenza…). Al di là di possibili complottismi, tuttavia, i media hanno a tutti gli effetti la necessità di raccogliere click e lettori per non fallire, la concorrenza è molta e spietata, nelle redazioni pullulano giovani redattori affamati, pagati una miseria e disposti a tutto ma… Un ma bisogna metterlo a questo degrado dilagante. Un freno bisogna darlo a questa che non è più mera interpretazione di parte dei fatti, come è sempre stato il giornalismo. Qui siamo ormai alla sistematica manipolazione o invenzione. Sarebbe il meno se si trattasse di pubblicare romanzi, ma qui si tratta di informazione, quella cosa che plasma l’opinione pubblica e la permea di convinzioni e punti di vista, sulla base dei quali poi le persone operano nella vita di tutti i giorni. Quell’opinione pubblica poi vive in società, lavora e vota. Questi media, falsari professionisti, sono dunque correi del degrado socio-culturale in cui viviamo. E ne dovranno rendere conto a tutti.



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