Michela Murgia, 49 anni, nasce a Cabras, in Sardegna. Wikipedia la definisce “scrittrice, blogger, drammaturga e critica letteraria”. È nella veste di scrittrice che assurge alla notorietà nazionale, con il suo best-seller “Accabadora” del 2009, ispirato alla figura femminile della tradizione sarda che si occupava di condurre alla morte i malati terminali. Con l’eccezione del suo saggio “Istruzioni per diventare fascista” del 2018, “Accabadora” rimane il suo primo e unico libro di successo (ora ci riprova con il nuovo e piagnucoloso “Stai zitta” con cui cerca di monetizzare anni di militanza femminista), dopo il quale riesce a mantenere alta la propria popolarità solo occupandosi di critica letteraria, sia sulla carta stampata che in TV. È soprattutto sugli schermi che acquisisce notorietà, grazie alle sue impietose e non di rado livorose stroncature, che attirano il pubblico non tanto per i giudizi ponderati sui libri recensiti, quanto appunto per i massacri che verbalmente la Murgia è in grado di allestire a carico di questo o quel romanzo o scrittore. Quando questa modalità di far spettacolo satura il pubblico, la Murgia, incapace di sfornare altre produzioni letterarie di qualche pregio, dà una svolta alla propria carriera politicizzandosi. Si colloca allora su posizioni da sinistra radicale (area in cui si accredita anche grazie al già citato saggio del 2018), dichiarandosi favorevole all’immigrazione illimitata e sostenendo un femminismo estremo a carattere suprematista.
Questo salto viene facilitato e rafforzato anche da alcuni sodalizi di ferro nel mondo culturale, dove crea una cerchia di scrittrici e sedicenti intellettuali (Valeria Parrella, Igiaba Scego, Chiara Valerio, Chiara Gamberale, Melania Mazzucco, Michela Marzano, solo per citarne alcune) che, oltre a condividere il suo approccio, monopolizzano diversi premi letterari, invitandosi poi nelle rispettive presentazioni e nei convegni. Sebbene fino a quel momento la Murgia non abbia prodotto nulla di particolarmente memorabile, con il suo coming out politico a favore della sinistra tradizionalista riesce ad accreditarsi fortemente anche nell’ambito dell’informazione, dove stabilisce un patto d’acciaio con Giuseppe Giulietti, Presidente della Federazione Nazionale della Stampa, che, tra le altre, le apre le porte de “L’Espresso” e più in generale del Gruppo Gedi, la più grande corporate italiana dell’informazione. Da quel momento per la Murgia iniziano a fioccare incarichi su vari media, sui quotidiani, in radio e in televisione, dove assume, non si sa bene a che titolo, il ruolo di “opinionista” e “tuttologa”. Il suo punto di vista viene ascoltato non più soltanto su questioni letterarie ma anche su questioni come la pandemia, la politica, l’economia, la società. In una attenta e cinica ricerca dello scalpore e dell’audience, la Murgia non perde, anzi rafforza il suo approccio aggressivo, come quando si è augurata che la pandemia durasse a lungo per i vantaggi sul traffico, quando ha aggredito verbalmente in radio il Prof. Raffaele Morelli, quando ha criticato aspramente i brani di Franco Battiato, o quando ha attribuito migliaia di morti alla coscienza del leader della Lega Matteo Salvini.
Una scrittrice di scarso successo ma con i “giusti” agganci politici.
Tra le sue caratteristiche peculiari, come detto, c’è l’adesione a un femminismo radicale e suprematista, che esprime in ogni modo possibile e in ogni sede disponibile. Il suo esordio su questo versante fu quando propose l’abbandono del termine “patria” a favore di “matria”, attirandosi più di una presa in giro da parte di commentatori che evidentemente avevano sottovalutato il pericolo. Poco dopo, per un certo periodo ha preso a pubblicare sui suoi social le foto delle prime pagine dei maggiori quotidiani italiani conteggiando quanti giornalisti e quante giornaliste ci fossero tra le firme e protestando che le autrici femminili fossero troppo poche e che avrebbero dovuto essere la metà di quelle presenti, essendo costituita da donne la metà della popolazione. Con questa motivazione priva di senso ha perseguitato a lungo diversi direttori di testata, accreditandosi così come femminista dura-e-pura. Famose sono anche le sue dichiarazioni estemporanee, come quando paragonò il nascere maschio in Italia al nascere figlio di un boss mafioso in Sicilia, per rappresentare lo status privilegiato degli uomini in un paese che la Murgia ritiene il non plus ultra del “patriarcato”. Con queste e molte altre attività che non riassumiamo per brevità (e per decenza), la Murgia ha accompagnato negli ultimi anni la crescita inarrestabile del movimento suprematista femminista, traendo da esso vantaggi e visibilità, e restituendo ad esso impulsi sempre più radicalizzati in chiave criminalizzante dell’uomo e vittimizzante della donna.
A riguardare il suo percorso ci si stupisce che una persona con così pochi risultati concreti al proprio attivo e con un seguito sincero sostanzialmente così settario (escludendo dunque coloro che la seguono perché amanti delle bizzarrie), possa essere assurta a personaggio la cui parola vale così tanto da essere interpellata in molte sedi autorevoli, là dove è possibile lanciare messaggi che influenzano un numero considerevole di persone. E lo stupore è ancora più grande se si pensa che ciò che vediamo delle attività della Murgia non è che la punta dell’iceberg: al di là delle comparsate in TV o nelle manifestazioni pubbliche, quello della Murgia è un lavorìo carsico e incessante, realizzato dietro le quinte dell’informazione, della politica e della cultura diffusa. Se n’è avuto esempio qualche mese fa, quando scoprimmo che era lei l’autrice del “decalogo” inviato a tutte le testate del Gruppo GEDI con le istruzioni su cosa scrivere e cosa non scrivere nel raccontare un “femminicidio”. Una vera e propria velina da regime totalitario, che infatti sollevò più di un mal di pancia presso i giornalisti. Se quel decalogo non fosse trapelato dalle redazioni e se non fosse venuto in mente a noi di andare a vedere le proprietà del PDF per scoprirne l’autore, non avremmo mai saputo che dietro alle narrazioni falsate dei casi di cronaca da parte dei media ci sono le pressioni di questa scrittrice di scarso successo ma con i “giusti” agganci politici.
Una sostenitrice accanita di una forma di vulvocrazia totalitaria.
In verità, però, quel decalogo è soltanto la più minuta manifestazione del potere che nel corso del tempo Michela Murgia ha acquisito. È sufficiente analizzare con attenzione come cambia nel tempo la narrazione della realtà fatta ad ogni livello (web, televisione, giornali, personaggi politici) per accorgersi, da dettagli nemmeno troppo piccoli, come sia proprio Michela Murgia a dettare l’agenda, per lo meno su determinati temi. Saremmo pronti a scommettere, ad esempio, che se non lei direttamente, sicuramente la sua “filosofia” è responsabile delle due anomalie che abbiamo registrato settimana scorsa sui media (qui e qui). Come un hub logistico, la Murgia acquisisce dall’esterno (e in parte crea motu proprio) contenuti, formule, slogan, processi mentali, tic verbali, modi di pensare e di raccontare, per poi distribuirli su varie linee di trasporto che hanno il capolinea nei media mainstream, nella politica (per lo meno in parte di essa) e nelle dinamiche culturali e sociali. Ciò che la Murgia distribuisce restando sottotraccia viene considerato per qualche motivo autorevole, cogente, obbligatorio, e viene in gran parte acquisito da tutti. Un esempio lo si è avuto di recente: nel presentare la sua nuova iniziativa con “Repubblica”, ovvero un “osservatorio sul femminicidio”, ha pubblicato un video di presentazione dove, col sorriso sulle labbra, sposta lontano, oltre il concepibile, il concetto stesso di “femminicidio”, finendo per fargli comprendere ogni cosa, anche un’inezia, che possa in una qualche misura turbare una donna o intralciarla nel suo percorso. Nel video, che potete vedere qui sopra con il commento realizzato dal nostro Davide Stasi, sostanzialmente tutto e il contrario di tutto può essere “femminicidio”. I millemila femminicidi (in realtà una media di 40 all’anno) stando alla Murgia sono colpa delle famiglie, delle donne che vogliono dedicarsi ai figli e alla famiglia, dello Stato, della società tutta e naturalmente di tutti gli uomini indistintamente. Da qui la necessità di un risarcimento per tutte le donne in quanto oggetto di una persecuzione globale
Follia? Sicuramente. Ma lo è ancora di più il fatto che proprio quell’idea murgiana onnicomprensiva di “femminicidio” sia stata guarda caso interamente acquisita dall’ISTAT nel suo ultimo report sugli omicidi in Italia, che a breve noi de “La Fionda” commenteremo in un video apposito. Anche quella riteniamo che sia una prova del potere d’influenza che la Murgia ha acquisito a tutti i livelli. Il problema aggiuntivo è che in un sistema normale non dovrebbe essere un cittadino qualunque come Davide Stasi a demistificare i pericolosissimi concetti diffusi da quella che di fatto è un Rocco Casalino con attributi femminili, ma con molta più furbizia. Sarebbe un lavoro di cui dovrebbero farsi carico altri: giornalisti seri e rigorosi, altri analisti o personaggi pubblici noti tanto quanto la Murgia, in modo da combattere ad armi pari contro la bugia sistematica. Invece non accade perché, a differenza di Casalino, la Murgia sa fare paura davvero: le sue campagne d’odio sono temutissime e pochi ne escono indenni (al momento l’unico sopravvissuto è lo scrittore Massimiliano Parente). Non solo. La Murgia sa come mantenere il potere acquisito e come aumentarlo: restando dietro le quinte e, quando va sulla ribalta, parlando col sorriso talvolta, talaltra ringhiando forte, ma sempre presentando all’opinione pubblica concetti semplificati, esposti in modo affabulatorio, dietro cui è facile che i tanti e le tante dalla vita vuota e dall’intelletto fragile finiscano per sentire l’istinto di militare. Così acquisisce consenso e simpatia dall’audience televisiva e internettiana, e il suo saperla attirare le conferisce ancora più potere in un’era così fortemente mediatizzata. Eppure, a ben guardare la storia del personaggio e la sua reale caratura, si tratta di una parvenu, una Rasputin del tempi moderni, una hater istintiva che, da sola, ha conquistato il potere di tirare i fili di molte tra le più importanti marionette che si muovono sullo scenario pubblico. Trattandosi dell’hub che distribuisce l’odio verso il maschile e verso tutto ciò che è la normale relazione tra uomo e donna, trattandosi di una sostenitrice accanita di una forma di vulvocrazia totalitaria, è indubbio che rappresenti a tutti gli effetti un pericolo. Per questo saremmo pronti a scommettere che a una sua rimozione totale dal ruolo influente e tentacolare che si è ritagliata corrisponderebbe un’immediato rilassamento dei toni nel confronto pubblico generale e in particolare in quello relativo alle relazioni tra uomini e donne. Finché quella rimozione non ci sarà, attendiamoci tempi sempre più duri e un clima sempre più esacerbato. Quello tipico di un regime.