La certezza del Diritto, questa sconosciuta. Pronunciamento di Cassazione 21818/21: divorzio dopo 12 anni di matrimonio non consumato? L’ex marito deve pagare l’assegno. Non siamo in possesso dell’intero fascicolo relativo a primo grado, appello e cassazione, dobbiamo limitarci a commentare le conclusioni degli ermellini senza conoscere dettagli, anche patrimoniali, importanti. Dalla stringata storia di coppia si può dedurre uno sfacciato matrimonio di interesse, figlio del calcolo, dell’inganno e della premeditazione più che dall’amore: lui è decisamente benestante, ha una situazione patrimoniale molto più che solida; lei no, vive dello stipendio da insegnante. La volontà accaparratrice della signora sembra emergere anche dal comportamento successivo al matrimonio: la coppia è in regime di comunione dei beni fino a quando la signora non entra in possesso di due immobili (ricevuti in eredità, probabilmente?) al che chiede di modificare il regime patrimoniale passando dalla comunione alla separazione dei beni. La nobiltà d’animo si fa tangibile. Tradotto: fino a quando non ho nulla quello che è tuo è anche mio, se però divento proprietaria di uno o più appartamenti, quello che è mio è mio e basta. Per uno dei componenti della coppia gli interessi economici sembrano essere l’unico motivo di esistenza della coppia stessa.
L’unione infatti non è supportata dalle basi più elementari che accomunano miliardi di donne e uomini che in Italia, in Europa e nel mondo decidono di formare una famiglia. Non c’è traccia di obiettivi comuni né di passione, trasporto, amore, nemmeno un minimo di attrazione fisica: matrimonio mai consumato, in 12 anni nessuna occasione di intimità. Il classico matrimonio bianco, insomma. Magari qualcosa di nascosto sarà successo da parte di entrambi, non si può sapere, ma qualsiasi persona in salute e con sani appetiti sessuali troverebbe dura un’astinenza di 12 giorni e durissima un’astinenza di 12 settimane, figuriamoci di 12 anni. Invece tra loro niente, neanche da freschi sposi. Fin troppo tardivamente, lui realizza che i suoi sentimenti non sono corrisposti. Una moglie innamoratissima ma con un mal di testa lungo 12 anni è francamente poco credibile, quindi intuisce la verità: vuoi vedere che ‘sta donna mi ha sposato solo per interesse? Non è dato di sapere se questo dubbio si sia fatto strada spontaneamente o la cosa gli sia stata fatta notare con delicatezza da amici, parenti o avvocati, resta il fatto che il tizio dopo 12 anni comincia ad intravedere la verità: è stato raggirato, non è un matrimonio d’amore. Logico epilogo: separazione e poi divorzio.
Quello ricco è lui ma il contributo alla famiglia lo ha dato lei.
Ripetiamo di non conoscere cosa sia accaduto nei precedenti gradi di giudizio, non possiamo sapere per quali curiosi motivi la signora riesca a salvarsi dall’addebito della separazione: si sa solo che i giudici di merito respingono l’istanza del marito di addebitare alla ex la responsabilità di aver reso la convivenza insostenibile. Quindi primo grado e corte d’appello concludono semplicemente che la coppia non ha funzionato, senza riconoscere le pur macroscopiche colpe unilaterali che la hanno condotta all’inevitabile scissione. Ponzio Pilato era un dilettante. Non si parla esclusivamente della totale mancanza di rapporti sessuali – elemento che pure ha la sua rilevanza, anche nella giurisprudenza consolidata – ma la cronica aridità di sentimenti è più estesa. Alla base dell’oggettiva impossibilità di proseguire nell’unione matrimoniale c’è una insanabile mancanza di trasporto della moglie verso il marito, circostanza ammessa dalla signora. Non manca il bunga bunga, manca proprio ogni traccia di attenzioni e di affetto. Cito il mai troppo compianto Giovanni Bollea: «il divorzio è una storia d’amore che finisce e una storia di soldi che comincia». In questo caso comincia la storia di soldi senza che la storia d’amore vi sia mai stata. La signora infatti in sede di divorzio chiede 3.000 euro al mese all’ex marito e 300.000 euro di risarcimento danni. Non si sa quali siano i danni da risarcire, ma la sommetta la chiede. I giudici di merito accolgono in parte le pretese della signora, pur ridimensionandole: rigettano la richiesta di risarcimento ma le riconoscono un assegno di 1.250 euro al mese e la costituzione di un pegno di beni mobili fino a 12.500 euro.
Per chiarire: Il pegno di beni mobili si costituisce con la consegna al creditore della cosa o del documento che conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa (art. 2786 c.c.). Quindi beni dell’uomo per 12.500 euro congelati e dieci mensilità garantite alla signora, potendosi rivalere sui beni avuti in pegno qualora lo spilorcio non pagasse con regolarità. Il tizio ricorre in Cassazione, ma i giudici di legittimità ignorano il tema della mancata consumazione del matrimonio, dichiarandolo inammissibile, e si concentrano esclusivamente (Bollea, Cassandra ante litteram) sugli aspetti economici. La ex moglie ha diritto a ricevere denaro in ragione del contributo dato alla famiglia nel corso della convivenza. Ma come, quello ricco è lui e il contributo alla famiglia lo ha dato lei? Non conta come e quanto abbia goduto delle risorse del marito infinitamente superiori alle sue, conta che abbia contribuito al ménage familiare con lo stipendio di insegnante che quindi le va praticamente restituito, euro più euro meno. Non conta che per 12 anni il marito le abbia garantito un tenore di vita che altrimenti la moglie non avrebbe potuto permettersi con gli stipendi da fame dei nostri insegnanti. Non si sa se la signora abbia contribuito al ménage familiare lavando calzini, stirando camicie e cucinando polpette, o tali compiti fossero svolti da colf e domestici vari pagati dal marito.
Quando il rifiuto è unilaterale…
In conclusione: una donna ti accalappia con mire sfacciatamente parassitarie e si fa mantenere nel lusso per 12 anni “senza nemmeno mai fartela annusare” direbbe qualche cafone; qualcuno meno cafone direbbe invece “venendo meno ai doveri coniugali”. Non approvo nessuna delle due versioni, preferisco non parlare di doveri coniugali ma di piaceri, naturalissimi piaceri che dovrebbero portare qualsiasi coppia innamorata a desiderarsi reciprocamente. Invece niente, di amore non c’è traccia, la tua ex ammette candidamente di non aver mai provato nessun trasporto per te. Nonostante tutto i giudici di Cassazione, restando seri, ti dicono che devi pure pagarla per il disturbo di avere goduto delle tue risorse per tutta la durata del matrimonio. Mi correggo: devi pagarla per quello che lei avrebbe dato a te per tutta la durata del matrimonio. La certezza del Diritto è una sola: devi pagare. Poi le variabili servono a stabilire quanto, come e perché, anche se un perché si trova sempre. Italia, culla del Diritto, 2021. Al bastonatissimo tizio resta forse una chance: l’annullamento del matrimonio da parte del tribunale rotale. La giurisprudenza ecclesiastica è ovviamente limitata rispetto a quella laica, comunque la Sacra Rota riconosce l’unione matrimoniale come sacramento finalizzato alla procreazione. L’impossibilità di generare in capo ad uno dei coniugi ha costituito in alcuni casi, non sempre, motivo di nullità del matrimonio. A maggior ragione se la causa della mancanza di figli non è addebitabile ad impedimenti di natura clinica ma ad un volontario e prolungato rifiuto. Nel caso di specie non sappiamo se il progetto di avere figli fosse uno dei motivi che hanno portato lui all’altare (lei no, questo è certo), ma la totale assenza di intimità nella coppia rende di fatto impossibile generare prole. E quando il rifiuto è unilaterale, l’altro potrebbe… Provaci amico.