Ennesimo fatto di sangue che nasce dalla disperazione, dal dolore, dalla oggettiva impotenza e dalla pietà di fronte alle sofferenze generate da un male incurabile. Ultimo di una lunga serie, l’episodio racconta come ad alcune coppie anziane e malate sembri non esserci altra via d’uscita dalla sofferenza che farla finita insieme. Arriva però, vergognosa, anche l’ennesima strumentalizzazione ideologica. I fatti. Ravenna, 10 marzo: un uomo, Mario Claudio Cognola, uccide la moglie Maria Ballardini per liberarla dalle sofferenze insopportabili che la affliggono. Poi chiama al telefono la nipote, che vive in un’altra città, per rivelare ciò che ha fatto e ciò che intende ancora fare: “la ho uccisa e ora la faccio finita perché senza di lei non posso vivere”. Quindi telefona ai carabinieri, confessa l’omicidio e poi si getta dalla finestra. Dalle indagini emergono alcuni elementi:
- Maria era costretta a letto dalle sue patologie, soffriva di dolori cronici che nemmeno la terapia farmacologica riusciva più a lenire;
- ormai da mesi non usciva più da casa;
- i vicini riferiscono di sentire la povera donna urlare dal dolore;
- la coppia non aveva figli che potessero occuparsi degli anziani genitori;
- Mario “era sfinito, lei soffriva troppo, non va giudicato” (qui);
- “dalla documentazione medica acquista è emerso che la vittima da tempo soffriva di patologie legate all’età. Era afflitta da un dolore cronico alle articolazioni descritto letteralmente come “fortissimo”. Il marito, a sua volta gravato da problemi fisici di natura cardiaca, doveva occuparsi di lei e di tutte le incombenze legate alla casa” (qui);
- “La routine era diventata la quotidiana battaglia con i dolori cronici patiti dalla donna. Una sofferenza di cui raramente il marito parlava, lasciandosi andare a sporadiche confidenze. A chi lo aveva visto di recente, «dimagrito, affaticato, stanco», aveva detto che la moglie urlava dal dolore e di non riuscire più a consolarla” (qui).
- gli inquirenti hanno interrogato i vicini e sondato il passato della coppia. All’esito degli accertamenti il procuratore capo Barberini dichiara: “Quello che sappiamo è che tra i due non c’erano problemi, non c’erano screzi in famiglia e non risultano denunce, nulla” (qui);
- “L’omicidio-tentato suicidio potrebbe essere causato da una situazione di esasperazione e depressione determinati dalla malattia invalidante di lei e dalla depressione di lui” (qui).
- “Un omicidio che, ritiene la Procura – ma anche tanti vicini di casa -, sarebbe con ogni probabilità da addebitare alla disperazione dell’uomo, che ha accoltellato la compagna di una vita colpita da una malattia ai reni che le causava intensi dolori, tanto che viveva di fatto reclusa in casa a causa della disabilità” (qui).
- Si consolida dunque il movente estemporaneo legato alla disperazione di un marito incapace di sopportare il dolore fisico e persistente della persona che da tempo gli stava accanto (qui);
- I vicini: “Lei distrutta dai dolori, lui diceva di non farcela più. Ero andata da loro l’anno scorso per fare delle punture alla moglie, perché soffriva di dolori cronici. Lei non usciva mai di casa per questi dolori, lui è una persona perbene, gentile, così come lo era lei” (qui);
- Esclusi dagli inquirenti altri moventi se non quello di porre fine ai problemi di salute e a una vita diventata insostenibile (qui).
Tutto quindi conduce ad un terribile episodio figlio della disperazione; aspettiamo ulteriori sviluppi nelle indagini tuttavia c’è chi la pensa diversamente e ha già capito tutto: è un brutale femminicidio. Abbiamo raccolto più di 30 fonti di informazioni, alcune con particolari diversi e altre anche molto simili tra loro avendo ripreso i lanci d’agenzia. Tutte le testate convergono sul delitto della disperazione, l’unica che titola “femminicidio” è la Repubblica.
La verità nelle tasche femministe.
Lo fa con la legittimazione dell’altisonante Osservatorio Femminicidi, già dettagliatamente smascherato per la faziosa inattendibilità con la quale inserisce di tutto sotto la voce “femminicidio” (per approfondimenti: 1, 2, 3, 4, 5). Tale bizzarro elenco, che avrebbe la pretesa di essere attendibile, classifica come femminicidio persino figlie uccise dalle madri, madri uccise dalle figlie, zie uccise dalle nipoti. L’oppressione di genere non c’entra nulla: basta che muoia una donna uccisa da chiunque per qualunque motivo, ed ecco che finisce nei femminicidi. Cinismo da primato, mistificazione ideologica a mezzo stampa, tutto fa brodo per gonfiare i numeri e alimentare un allarme fittizio. Repubblica riporta anche i commenti di alcune associazioni ravennati: Linea Rosa, La Casa delle Donne, Rete Donne Cgil, Udi e Donne in Nero. “Una condanna netta e senza appello”, scrivono, aggiungendo che “la cultura del patriarcato ha mietuto una nuova vittima”. Mario quindi ha ucciso la sua amata Maria e poi si è gettato dalla finestra perché è un terribile maschio patriarcale che odia le donne. Ma c’è di più.
Rispetto alla generale comprensione per il gesto disperato di Mario Claudio Cognola, irrompe la urlante voce fuori dal coro della nutrita falange femminicidio a tutti i costi, terrorizzata all’idea di perdere numeri da spacciare per veri. Gli omicidi-suicidi dei vecchietti soli e malati devono quindi essere classificati come prodotto dell’odio misogino, sono i femminicidi più gravi di tutti. Nel caso di Ravenna che ne sanno gli inquirenti, cosa pretendono di capire il procuratore capo Daniele Barberini, il sostituto procuratore Marilù Gattelli, il medico legale, la scientifica, i Carabinieri, i giornalisti di tutta Italia… La Verità – quella con la V maiuscola – la conoscono solo le vere esperte del ramo, le associazioni femministe.
“Una ogni 3 giorni”.
Riportiamo integralmente l’articolo pubblicato su settesere.it, che registra le dichiarazioni delle associazioni femministe citate anche da Repubblica: «È successo ancora. E questa volta nella nostra città. La donna aveva 82 anni ed è stata uccisa dal marito a coltellate”. E’ netta la condanna di Alessandra Bagnara, presidente di Linea Rosa per il femminicidio di Maria Ballardini, l’82enne uccisa dal marito la mattina del 10 marzo nel loro appartamento. L’uomo ha, poi, tentato il suicidio gettandosi dal balcone del terzo piano, ma è sopravvissuto ed è attualmente in terapia intensiva al Bufalini di Cesena. “La cultura del patriarcato ha mietuto una nuova vittima e ancora una volta è successo ad una anziana (dall’Osservatorio sul femminicidio del quotidiano la Repubblica emerge che nel 2021 il 35% delle vittime aveva più di 65 anni). I crimini contro le donne sono un’emergenza senza fine, una forma di violenza inaudita che non conosce limiti di età, etnia, religione. Unico comune denominatore: la voglia di prevaricare la vittima, privandola della propria libertà fino al gesto più estremo. Purtroppo un ennesimo caso di femminicidio, questa volta a Ravenna, che ci addolora e ci rammarica, proprio all’indomani della celebrazione della giornata della donna, dove eventi e varie iniziative ci hanno viste protagoniste sul fronte della lotta alla violenza di genere. Nulla ferma la nostra volontà di rivendicare il diritto all’autodeterminazione di tutte le donne e non ci fermiamo proprio perché vogliamo che episodi come questi non avvengano più”. “Con la puntualità che ormai conosciamo, è la diciottesima vittima di femminicidio del 2022.
Una ogni 3 giorni – spiegano invece dalla Casa delle Donne di Ravenna – Leggiamo sui giornali che Claudio Cognola era “provato dalle condizioni della moglie e forse anche dall’eccessivo carico che comportava la sua assistenza”, pertanto le vittime sono due. Ecco, sentiamo l’esigenza di dire chiaramente che non è così. Maria Ballardini è l’unica vittima, uccisa dal marito che, con tutta la forza e tutta la violenza che gli è stato possibile scaricare sul suo corpo inerme, è l’unico responsabile. Siamo preoccupate e siamo consapevoli che dobbiamo stare attente. I femminicidi di donne anziane con problemi di salute sono in aumento, ma sono anche i femminicidi che rischiano di essere dimenticati e rischiano di essere archiviati, derubricati a tragedie famigliari di coppie anziane. Non sono mediaticamente abbastanza spendibili. Non ci sono foto né post sui social, non ci sono amanti, non ci sono denunce. Come dire che non c’è niente da dire, niente da aggiungere”. “E invece – ribadiscono – questi sono i femminicidi più importanti, perché mettono a nudo il movente di tutti i femminicidi: l’idea dell’obbligo del lavoro e del ruolo di cura delle donne che, quando viene meno, quando si esaurisce, trascina con sé la vita stessa delle donne che si trasforma in un peso insopportabile e in un problema irrimediabile. Ma il problema non è la malattia delle donne, che si ammalano come si ammalano tutti e che hanno bisogno di essere curate, come tutti. Il problema è che gli uomini si sentono e si credono proprietari della vita delle donne e, se le donne sono ammalate, le loro vite non valgono niente e non servono a niente. Per noi Maria Ballardini, chiunque sia stata, è una di meno tra noi e in più da piangere, da ricordare e da proteggere”. E a chi commenta difendendo la disperazione del marito sfinito di vederla soffrire, la Casa delle Donne risponde: “Quante donne anziane si prendono cura dei mariti anziani? Quante arrivano a ucciderlo per non volerlo più vedere soffrire? Se non ce la si fa più si chiede aiuto”».
Serve alimentare la bufala del femminicidio.
Si offende qualcuno se lo definiamo delirio isterico? Un disco rotto, dichiarazioni d’ordinanza, praticamente un volantino ciclostilato con la sintesi dei mantra femministicamente corretti, ancorché scollati dalla realtà dei fatti. “Unico comune denominatore: la voglia di prevaricare la vittima, privandola della propria libertà fino al gesto più estremo”. Mario non voleva prevaricare Maria, voleva liberarla dalle sofferenze e poi uccidersi per non poter vivere senza di lei. Gli inquirenti e tutti i conoscenti dicono che non c’è traccia di alcuna prevaricazione prima del gesto estremo, ma che ne sanno quelli che conoscevano la coppia? Che ne sanno quelli che per mestiere cercano moventi? Tutti fessi, date retta alle associazioni femministe, quelle si che ci vedono lungo. Il maschio oppressore avrebbe privato la moglie della sua libertà… quale sarebbe questa libertà negata, di grazia? La povera Maria voleva godere appieno della propria libertà di soffrire, di urlare per dolori insopportabili, di essere costretta in casa da una malattia invalidante; e invece Mario, crudele, le ha negato tali gioie. “Nulla ferma la nostra volontà di rivendicare il diritto all’autodeterminazione di tutte le donne e non ci fermiamo proprio perché vogliamo che episodi come questi non avvengano più”. Frasi fatte recitate a memoria, pag. 12 nel Manuale della perfetta femminista inferocita. Cosa c’entra col caso specifico il diritto all’autodeterminazione? Chissà, forse le amiche di Linea Rosa conoscevano a fondo Maria, che solo a loro aveva rivelato la propria autodeterminazione a soffrire all’infinito.
E ancora: “il movente di tutti i femminicidi: l’idea dell’obbligo del lavoro e del ruolo di cura delle donne che, quando viene meno, quando si esaurisce, trascina con sé la vita stessa delle donne che si trasforma in un peso insopportabile e in un problema irrimediabile. (…) Il problema è che gli uomini si credono proprietari della vita delle donne e, se le donne sono ammalate, le loro vite non valgono niente e non servono a niente”. Non è chiaro dove sia il confine tra la becera malafede e beata incapacità di comprensione. Insomma, ci sono o ci fanno? Perché sciorinare il vittimismo d’ordinanza con riferimento alla tragedia di Ravenna? Mario non pretendeva di essere servito e riverito dalla moglie e l’ha uccisa quando lei non è stata più in grado di farlo. Al contrario, era lui ad occuparsi quotidianamente della casa e della moglie invalida, la molla scatenante del gesto è stato il desiderio di porre fine alle terribili sofferenze della povera Maria e non l’inutilità della sua vita in quanto non adatta a fare da serva al marito. Basta, non vale la pena analizzare altri concetti sciorinati in loop, tanto sono sempre gli stessi: ogni episodio deve essere stravolto e usato strumentalmente per lamentare un attacco che gli uomini – tutti – porterebbero quotidianamente alle donne – tutte – che quindi vivono in una perenne condizione di vittime oppresse dai privilegi del patriarcato. Anche se alle amiche di Linea Rosa sfugge che l’oppressore maschilista, privilegiato e patriarcale si suicida o tenta di farlo per raggiungere l’oppressa. È in atto una polemica accanita, promossa anche dalla Commissione Femminicidio, per riconoscere come delitti dell’odio misogino anche gli episodi, e sono tanti, di anziani gravemente malati che uccidono e si uccidono. Certo non si possono disperdere questi casi, altrimenti come si fa ad alimentare la bufala di un femminicidio ogni tre giorni?