Brian Hugh Warner, noto ai più come Marilyn Manson, non è certo un personaggio facile da digerire. La sua carriera ha contribuito a perpetuare ai nostri tempi la leggenda della rockstar “maledetta”, già a partire dal monicker, che riunisce due personaggi altrettanto leggendari ma in senso contrapposto: l’attrice Marilyn Monroe e Charles Manson, leader del gruppo criminoso The Family. Ma Marilyn Manson è anche scrittore, regista sperimentale, attore e artista visuale (ambiti in cui ha collaborato perfino con il leggendario David Lynch). La sua immagine pubblica, un grandioso work of art costruito ad hoc per sconvolgere la morale comune – con l’energia oscura delle live performances, con scenografie e gesti intensi e provocatori, e con messaggi controversi espressi in lyrics, video e interviste, a captare la sofferenza di un’epoca difficile – l’ha reso il simbolo vivente di tutto ciò che qualunque genitore vorrebbe tener lontano dai propri figli, e al contempo, proprio per questo, il nuovo bersaglio ideale per il potere dell’industria delle false accuse, che nella cultura americana ha raggiunto il suo perfezionamento e apice nell’alveo del movimento #metoo.
Fino a che punto è possibile mantenere il confine tra realtà dei fatti e costruzione artistica, tra la concretezza privata della propria esperienza personale e la “verità” pubblica (fatta di fumi e luci colorate, notizie manipolate, slogan a effetto e tribunali costituiti da masse di followers sui social media) in una società che ormai da decenni sembra aver interiorizzato il messaggio chiave di un documento storico del femminismo radicale, ossia che “il personale è politico”, e quindi anche comportamenti privati devono e possono essere inquisiti e giudicati in base ai criteri dominanti della politically correctness? La vicenda che nei recenti mesi ha sconvolto la vita e la carriera di Warner è un esempio lampante di queste dinamiche. Una storia complessa, su cui si potrebbe scrivere un libro, di cui tracceremo solo una estrema sintesi di alcuni fatti principali.
Lo schema tipico del movimento #metoo.
Naturalmente non ci compete il profilo legale degli eventi dichiarati. Ciò che ci preme sottolineare è uno schema, emergente con frequenza e forza sempre crescenti, che lasciamo alla valutazione dei lettori. È il 1° febbraio 2021 e Evan Rachel Wood, ex-fidanzata di Warner, dichiaratamente bisessuale e gender-fluid, attrice di successo, attivista nell’ambito della social justice, in un post su Instagram afferma che la rockstar, durante la loro frequentazione risalente a 15-12 anni prima (!!), l’avrebbe sottoposta a manipolazioni psicologiche e abusi di vario genere. La Wood aveva descritto tali vicende già nel 2018 (per promuovere una legge di cui parleremo più avanti) ma senza fare il nome del suo carnefice. La dichiarazione giurata fu resa dall’attrice con volto sofferente, in lacrime. Ne emerge una narrazione secondo la quale Manson, forte del suo carisma, del potere economico e della differenza d’età (17 anni), si è approfittato della presunta puerile innocenza della vittima, 19enne al tempo del loro primo incontro e 22enne alla chiusura definitiva, per estorcere/imporre comportamenti personali e sessuali ad essa sgraditi, lesivi della sua salute psicologica.
Il 2 febbraio, sui suoi profili ufficiali, Manson pubblica la seguente dichiarazione: «Notoriamente, la mia arte e la mia vita sono da sempre calamite per controversie, ma le recenti affermazioni a mio riguardo sono orribili distorsioni della realtà. Le mie relazioni intime sono sempre state interamente consensuali. Indipendentemente da come e perché, alcune persone hanno ora deciso di mistificare il passato, questa è la verità». Da quel momento sia la rockstar sia la sua attuale compagna da 9 anni, fotografa e artista poliedrica, Lindsay Usich, si chiudono in un protettivo silenzio e scompaiono dalla vita pubblica. Mentre “casualmente” (come vedremo, forse non proprio) nelle ore e nei giorni successivi si espongono, con dichiarazioni rilasciate sui social, altre donne (attrici, modelle, performers di vario livello, tra cui l’attrice Esme Bianco del cast di Game of Thrones) raccontano abusi, professionali e personali, da parte di Manson, seguendo lo schema tipico del movimento #metoo: a cascata, tramite i social e gli hashtags. Una si fa avanti, in modo che altre trovino la forza e la voce.
Una fanciulla ingenua che frequenta lo star-system.
Nulla conta l’enorme lasso di tempo passato tra i presunti fatti e le accuse, un decennio in cui la Wood ha spesso espresso gratitudine verso la rockstar, e soddisfazione e giudizi positivi sulla loro relazione, in svariate interviste e dichiarazioni pubbliche, fino addirittura al 2016: «ne è valsa assolutamente la pena, rifarei tutto della nostra relazione. Apprezzo tutto ciò che mi ha insegnato»; «avevo incontrato qualcuno con cui mi sentivo libera di esprimermi e non giudicata. E bramavo rischio ed eccitazione»; «ho guadagnato molto dal frequentare il suo ambiente, e da tutta quell’esperienza. Lui mi ha sempre sostenuta e ha sempre creduto nel mio talento». E nulla conta il fatto che nella sua stessa dichiarazione vi sia l’ammissione che niente di ciò che è accaduto sia mai stato, tecnicamente, non consensuale (qui il testo della dichiarazione completa). Il giorno stesso, immediatamente, senza neanche che sia partita ufficialmente un’inchiesta e men che meno un processo, l’agente di Manson si ritira dall’incarico e la sua casa discografica, la Loma Vista, dichiara che il rapporto lavorativo con la rockstar viene unilateralmente cessato, così come ogni attiva promozione dei suoi album da quel momento in poi. Manson perde anche i ruoli nelle serie tv American Gods e Creepshow.
Vale la pena soffermarsi a inquadrare alcuni fatti relativi a Evan Rachel Wood. All’età di 17 anni la Wood aveva fatto scalpore per una frequentazione con l’attore Edward Norton, 34enne, dalla quale uscì per mettersi con Manson (secondo alcune fonti, causando la crisi del suo rapporto con la ex-moglie Dita von Teese, la quale, peraltro, si è espressa sulle accuse dichiarando di non aver personalmente mai sperimentato nulla di simile nel loro rapporto durato cinque anni di cui uno di matrimonio). Secondo alcune interviste di quel periodo, già da adolescente la Wood faceva ammattire i suoi genitori per la sua passione sfegatata, agita anche nel modo di comportarsi e vestire, per il romanzo di Nabokov, Lolita. La Wood fece coppia con Manson durante un arco di tempo di oltre tre anni, in cui lo lasciò per poi tornare da lui almeno due volte (com’è naturale fare quando si è psicologicamente soggiogati e nonostante i terribili abusi). Nel frattempo, in queste “pause di riflessione”, la Wood viveva forse isolata, lontana da amici e famiglia, nel timore di incontrare la bestia, priva di conforto e risorse per sfuggirle? Non esattamente. Oltre ad aver frequentato senza interruzioni i propri cari (nonostante le dichiarazioni in senso contrario), ebbe dei flirts, per quanto brevi (con loro ebbe meno fortuna…) almeno con, nell’ordine: Joseph Gordon Levitt; Mickey Rourke; Shane West; Alexander Skarsgard. Quando sei una fanciulla ingenua e manipolabile di 19-22 anni e frequenti lo star system e quando l’amore chiama, chiama, non importa se si tratta puntualmente di personaggi ricchi, famosi e con una differenza d’età variabile tra i 9 e i 35 anni.
La seconda parte dell’articolo uscirà domani mattina.