La Fionda

Manipolazione verbale al femminile – Tre tattiche

C’era una volta un mollusco invertebrato che, grazie ad una livrea particolarmente brutta, riuscì a far credere ad un predatore di essere indigesto, non essere mangiato e fottersi la femmina del mollusco figo che lo bullizzava al liceo, passando la sua caratteristica e la sua commovente storia alle generazioni successive, con quell’orgoglio tipico di chi pensa che anche la fortuna sia un merito personale. Trascorsero lunghi eoni, gli animali cominciarono a camminare sulla terra, le farfalle impararono a dipingersi degli occhi sulle ali per sembrare più minacciose, gli scoiattoli a creare dei nascondigli falsi per evitare che altri scoiattoli gli fregassero le provviste, i cani a fare finte espressioni di pentimento per calmare i padroni dopo aver cagato sul tappeto, i bambini a piangere per richiamare l’attenzione dei genitori, gli uomini a dire “certo che quella è la mia macchina”, le donne “certo che quello è tuo figlio”.

Manipolare è un’azione talmente consolidata in natura che dire che tutti lo facciamo è riduttivo. Pensare in qualche modo di potercisi sottrarre, addirittura ingenuo. Qualsiasi gesto atto a stimolare una reazione in un’altra persona, portandola a modificare il proprio comportamento di conseguenza, è manipolazione: dalla più spudorata bugia al più innocente sorriso con cui si chiede un favore. Identificarla quindi come qualcosa di intrinsecamente sbagliato, come non tardano a fare ad esempio i detrattori di qualsiasi consiglio volto a cavarsela meglio con le donne, non ha alcun senso. Aspettare a risponderle ai messaggi per creare aspettativa è manipolatorio? Sì, e allora? Lo è anche prenderle dei fiori. E chi dice di “mostrarsi semplicemente per quello che è” non lo fa forse con la speranza che lei ne rimanga ammaliata credendolo in qualche modo diversi dagli altri per questo?

messaggio figlia

Quale uomo vorrebbe esser visto come un bambino?

Restringere il significato di manipolazione a qualcosa di arbitrario non è che un modo per mettersi in pace la coscienza. Io personalmente preferisco pormi due domande pragmatiche di volta in volta, sulla singola istanza manipolatoria. In primis, funziona o non funziona? In secundis, va a beneficio di entrambi o solo del manipolatore, a scapito del manipolato? L’ovvia risposta è che dipende da come viene usata, ma per capirlo bisogna anzitutto saperla riconoscere. La domanda che ho fatto alla ragazza nello screenshot qua sopra fa parte di un gioco che faccio spesso su Tinder per tastare il terreno: “Cosa diresti a un uomo di te per conquistarlo? E per farlo scappare invece?”. Nel caso in questione, la seconda risposta è pesante: 21 anni, già una madre single. E la frase che aggiunge dopo racchiude, da sola, ben tre manipolazioni verbali che le donne son solite usare con successo nei confronti degli uomini, sfruttando la propria padronanza del linguaggio.

Spostamento della prospettiva – Potremmo considerarla un’evoluzione un po’ più subdola della cara e vecchia mossa di Aikido femminile chiamata “tirar fuori eventi passati che non c’entrano nulla con la discussione in corso”. Se la prima consiste nel muovere continuamente il bersaglio per fare in modo che non venga mai centrato, questa cerca di metterlo di traverso già dall’inizio, ma in modo che non si noti troppo. Le mamme antivacciniste che non fanno mai mancare un “in quanto mamma…” prima di sparare una colossale idiozia, gli intramontabili “non sono razzista, ma…”, tutti convergono al medesimo scopo del cambiare palesemente argomento: offuscarne i contorni  e spostarne le premesse di partenza, rendendo il lavoro mentale necessario per smontarle così tedioso da indurre l’interlocutore a lasciar perdere ancora prima di iniziare. Basta molto poco: notate come lei, in una frase, ribalta il frame della situazione da “faccio (io) scappare gli uomini perché ho una bambina” a “gli uomini scappano perché (loro) sono dei bambini”, togliendosi l’impiccio di dover render conto della propria posizione indesiderabile e spostando paradossalmente su di me l’onere di giustificare un mio eventuale rifiuto. Quale uomo, d’altronde, vorrebbe esser visto come un bambino? E qui veniamo alle altre due tattiche manipolatorie, spesso usate, come in questo caso, a braccetto fra loro.

umiliazione maschile

Troncare una volta per tutte il proprio bisogno di validazione.

Appello all’ego –  “Saresti così gentile da darmi una mano, tu che hai il fisico?”. Con che sicurezza così tante donne viaggiano abitualmente con valigie così grosse da non riuscire nemmeno a sollevarle? Semplicissimo: quella di trovare un uomo che le aiuterà a farlo, all’occorrenza. Ognuno di noi ha un bisogno istintivo di provare la propria mascolinità, le donne lo sanno e cercano di farvi leva, quando sottilmente e quando meno, per ottenere ciò che vogliono. Funziona particolarmente bene al giorno d’oggi, in cui i modi tradizionali per sentirsi virili scarseggiano sempre più, i giovani uomini scopano sempre meno e tutto questo li porta ad un bisogno smisurato di validazione femminile. Un occasionale “grazie per non essere come quel coglione del mio fidanzato, non so come farei senza di te” è tutto ciò che serve per tenere nella friendzone un uomo che fa da tampone emotivo ad una donna che non gli dà nulla in cambio, mentre “quel coglione” continua a farle da tampone vaginale. E se “quel coglione” la lascia incinta? Beh, non vorrai mica essere come tutti gli altri bambini e scappare? No, tu sì che sei un VeroUomo™! Sia ben chiaro, il più delle volte non c’è intenzionale malizia in questo comportamento. È qualcosa di istintivo, come lo è per noi accorrere, e una donna che dice determinate cose può esserne genuinamente convinta in quell’istante. Ciò non basta però a rendere il gesto del tutto innocente: provate a rifiutarvi una volta di sollevare la valigia per credere, anche con una legittima ragione come “mi hanno appena operato alla schiena”. Provate a sottrarvi alla friendzone tagliando le vostre attenzioni. Provate a rifiutare apertamente una donna perché il figlio che lei ha deciso di avere con un altro uomo è un impiccio che fate a meno di avere. Provate, per una volta, a metter da parte il bisogno di validazione e chiedervi unicamente “Sì, ma cosa ne viene a me?” e agire secondo quel principio, ne vedrete di belle. Fra cui, appunto…

Appello alla vergogna – Quanto le donne diano per scontato tutto ciò che gli uomini fanno per facilitare loro l’esistenza, tanto da considerarlo l’assoluta normalità delle cose e non rendersene nemmeno conto finché qualcuno di questi non decide di smettere di stare al gioco, è dimostrato dall’aggressività della loro reazione quando ciò accade. Il momento in cui un uomo mette i propri interessi al primo posto è quello in cui viene additato: “sei un egoista”, “sei un vigliacco”, “sei un bambino”, “hai il cazzo piccolo”. Ciascuno ha i propri personali punti deboli e sparando nel mucchio se ne becca qualcuno. La vergogna purtroppo funziona. Per questo viene usata tantissimo come arma, non solo dalle donne verso gli uomini, ma dagli uomini verso le donne, verso altri uomini e, come è ben noto, soprattutto dalle donne verso altre donne. Salvo quando arriva in risposta ad un comportamento obiettivamente danneggiante, la si può considerare una deliberata cattiveria, ma questo non la farà cessare di esistere. Il modo per difendervisi è molto simile a quello con cui ci si difende da un appello all’ego: ricordarsi di essere gli unici giudici di sé stessi e troncare una volta per tutte il proprio bisogno di validazione. “Si vede che sono un bambino anch’io allora”.



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