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Come da facili previsioni, se ancora ha un senso parlare di sinistra e di destra, le destre hanno stravinto nei seggi uninominali. Viviamo in clima post elettorale e crediamo che il mazzo delle carte da distribuire sarà posto virtualmente nelle mani di Giorgia Meloni. Era nell’ordine delle cose che non si sarebbe derogato dal disegno che i padroni del vapore, anche tramite i terremoti provocati da Tangentopoli, perseguono da almeno trenta anni. La rappresentanza politica delle classi più deboli e delle minoranze è oggi ancor più ridotta di quanto lo fosse ieri. In luogo dei 945 attuali, giunti a fine mandato, sono stati eletti 600 parlamentari. Tra i sostenitori della legge costituzionale per la diminuzione del numero dei deputati e dei senatori ricordiamo anche Giuseppe di Maio. Il suo triplo salto carpiato con triplo avvitamento non è bastato ad evitargli una sua personale disfatta. Al partito PDS/DS/PD, che si è fatto artefice di un andamento politico dissolutivo liberista-globalista al servizio di interessi sovranazionali, privo di ogni positiva carica antagonista, non è stato accordato molto credito. Le frammentate formazioni critiche “antisistema” non sono riuscite a mobilitare i milioni di astenuti. Non abbiamo le telecamere al ministero dell’interno ma, per quanto è stato reso pubblico, sappiamo che ha votato poco più del 60% degli aventi diritto. Nella storia dell’Italia repubblicana non c’era mai stata una così bassa percentuale di votanti alle elezioni politiche. Nel gioco delle fittizie alternanze questa volta ha vinto la coalizione che non si è mai dimostrata sensibile alla protezione del bene comune o di quanto ritenuto degno d’interesse pubblico, ai bisogni delle vittime delle esternalizzazioni con il relativo balletto degli appalti e dei subappalti, alle istanze di chi possiede di meno e degli sfruttati tout court. Nell’appiattimento sul problematico quotidiano si respira l’atmosfera del procedere senza mèta e di avere prospettive asfittiche.
Quanto accade fa radicare l’idea che le istituzioni non siano più capaci di creare un vincolo fiduciario e significativo con i cittadini. La qualità della vita di quest’ultimi anni, dopo i tre di “cure anti-pandemiche”, con le speculazioni finanziarie sulle risorse energetiche, la guerra in corso contro la Russia e l’inflazione crescente, continua a registrare una caduta verticale. Il prossimo governo realizzerà l’”agenda Draghi”, eseguirà gli ordini di Washington, si allineerà ai voleri della NATO, del FMI e dell’UE. Rimane il punto interrogativo in tema di Giustizia. Potrebbe verificarsi davvero un redde rationem? Riteniamo che, anche se si arrivasse a questo, non verrebbero comunque risolti i tanti altri problemi che annichiliscono quotidianamente i “clienti” dei tribunali. Sta a cuore al centro-destra, ma non solo a questo, la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, la non obbligatorietà dell’azione penale, la creazione di un’Alta Corte disciplinare e, purtroppo, anche un’applicazione della pena detentiva percepita più come vendetta di Stato che come opportunità di riscatto personale e sociale. Non è pensabile di sicuro per la nostra realtà socio-politica, ma non è con delle modifiche normative che si possono vincere le sedimentazioni culturali di un potere esercitato fino ad oggi senza alcun controllo democratico effettivo. Si pensi, ad esempio, al rifiuto di qualunque critica da parte di non pochi magistrati. Le denunce querele contro chi biasima l’operato di questa o di quell’altra toga sono ricorrenti. Non lo sono tanto perché i querelati hanno obiettivamente leso la reputazione del querelante (in tal caso la risposta sarebbe pure comprensibile) ma perché è la critica di per sé che viene assimilata ad una sorta di lesa maestà. Sulla categoria dei magistrati, di solito, non è consentito obiettare. Comunque non è con una nuova legge che possono cessare i sodalizi illeciti, le false accuse e le interpretazioni galeotte.
C’è un intero sistema che va decontaminato. Anche Giorgia Meloni, premier in pectore, ne avrà avuto sentore quando si occupò spontaneamente dell’improprio internamento del prof. Carlo Gilardi in una RSA di Lecco. Questo sant’uomo continua ad essere “carcerato” contro la sua volontà mentre l’attività giudiziaria orbita su tutt’altro e in tutt’altra direzione, pure se in connessione alla vicenda: i reati “non provati” ed i presunti reati di altri soggetti. Da quel poco che emerge dalle cronache è notorio che gli “affidamenti” delle vite altrui ad “esperti” fuori della famiglia di appartenenza si collochino in un ambiente corrotto, alimentato da indagini farlocche o fuorvianti, spesso dirette dalla peggiore feccia che si possa mai incontrare. Non basta più nascondersi dietro le indignazioni di rito come i soliti marpioni fanno ogniqualvolta “scoppia il caso”. Il ripugnante fenomeno è frutto di scelte “istituzionali” deliberate e ormai, malgrado i bavagli messi ai media mainstream, sta diventando di dominio pubblico. Non è più un mistero che intorno ai minori, ai disabili e agli anziani, trattati dalla giurisdizione, si realizzano, in un sol colpo, due programmi paralleli: la cura degli affari degli addetti alla loro “tutela” e la distruzione dei legami di solidarietà familiare. Questo secondo progetto (lo smembramento della famiglia) è un must che nasce da consolidate e pressanti indicazioni di alcuni grandi organismi internazionali. La volontaria giurisdizione, più che in altri settori, quando vede confrontarsi avvocati dello stesso foro fa spesso annotare che gli interessi dei patrocinanti sono in aperto contrasto con quelli dei loro assistiti.
Qualche giorno fa siamo venuti a conoscenza che il dipendente di una Onlus, la quale, dopo l’aggiudicazione di una gara d’appalto, svolge “servizi sociali” per conto di alcuni comuni, compreso quello dove si svolge la storia che stiamo raccontando, ha sottratto oltre centomila euro dai conti correnti dei propri “amministrati”. L’uomo è finito sotto indagine di una procura della Repubblica. Il caso vuole che detta procura sia quella dove è stata rifiutata la CTU per la madre del nostro reclamante (recentemente morta, dopo essere stata impunemente e lentamente “spogliata” di tutti i suoi averi). E’ la procura della Repubblica che lo ha mandato a processo per simulazione di reato senza svolgere indagini adeguate, che il 25 marzo 2022, dopo il respingimento di un sacrosanto reclamo, lo ha visto condannare al pagamento di 4784 € per spese giudiziarie/legali, che lo ha accusato “erroneamente” di circonvenzione d’incapace, che ha illegittimamente ignorato l’esistenza di una procura generale, che ha visto operare l’avvocata G.C. con una procura “pazza”, fuori posto, fuori tempo e fuori luogo, senza nulla eccepire. Altra specificità di questa istituzione è quella che ha visto lo stesso procuratore A.V. (da poco in pensione) sottoscrivere delle affermazioni non vere (altrove si chiamerebbero calunnie) al fine di sollecitare il giudice tutelare alla nomina di un A.d.S. esterno alla famiglia per la sorella già “amministrata” in maniera ineccepibile dal nostro amico. Illo tempore, alcuni ipotizzarono che l’azione del tribunale contro il congiunto delle due disabili (madre e sorella) potesse essere stata ispirata da una qualche rappresaglia. Il reclamante continua ancora oggi ad occuparsi delle pratiche burocratiche connesse al decesso della propria madre. Venerdì scorso, dopo aver pagato l’IMU dovuto dalla deceduta, ha fatto richiesta telematica all’Agenzia delle Entrate per ottenere una certificazione relativa ad eventuali carichi pendenti fiscali. Quando è richiesto dalla stessa, si occupa di alcune necessità della sorella. La disabile dovrebbe contare sull’avvocata C.T., sua A.d.S. per volontà del giudice tutelare A.P.. Di fatto la donna, in rapporto alle sue potenziali disponibilità economiche, viene amministrata a “pane e acqua”. Dal decesso della propria madre è rimasta priva di una domestica e lo stato igienico della sua abitazione risente pesantemente di questa situazione.