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Uscito dalla caserma dei carabinieri dopo un defaticante incontro, l’uomo ha la spiacevole sensazione di essere passato dalla veste di denunciante alla veste di indagato. Le buone qualità investigative del maresciallo hanno pagato pegno alla catena gerarchica, sono state messe al servizio dell’ipotesi di un qualche magistrato affetto da strabismo esplorativo. Sono i rischi che si corrono, ormai da troppi anni, affidandosi alla magistratura. Non sono pochi i magistrati che, inseguendo le loro suggestioni, finiscono per mettersi al servizio di qualunque peggiore causa. Probabilmente sono quelli diventati amministratori di giustizia solo per caso, i figli partoriti dai consolidati “metodi simil-palamara”. Abbiamo avuto la sventura d’incontrarne qualcuno. Non è raro che siano caratterizzati da ignoranza e arroganza. Se ne trovano di quelli che in udienza guardano il documento appena depositato senza andare con la lettura oltre le prime righe. Ne ricordiamo uno che presiedeva cause di lavoro. Queste cause seguono un rito speciale, pensato dal legislatore come processo più celere rispetto alle cause ordinarie, al fine di rispondere alle esigenze d’urgenza che spesso caratterizzano detti contenziosi. Questo magistrato spediva sistematicamente tutti i suoi “clienti” in Corte d’Appello.
Non dimentichiamo la pubblicazione di Augusto Cortelloni : “Pedofilia & satanismo, risorge l’inquisizione. Quel pasticciaccio della Bassa modenese”. Ci tornano alla mente i sistemi (investigativi?) analoghi a quelli dello scandalo di Bibbiano e il bisbigliare di certi avvocati nelle orecchie di quei magistrati disposti ad ascoltarli senza pretendere che mettano su carta i loro sussurri. C’è poi l’annoso problema della deontologia. La legge sull’ordinamento professionale forense ha sancito l’obbligo della formazione continua e il regolamento del Cnf n. 6 del 16 luglio 2014 ne ha disciplinato le modalità di attuazione. L’avvocato e il tirocinante abilitato al patrocinio hanno l’obbligo di curare la competenza professionale mediante la partecipazione ad attività formative accreditate e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti, dell’amministrazione della giustizia e della collettività. I corsi dedicati all’uopo garantiscono agli avvocati dei “crediti formativi”. Quanti avvocati, “obbligati” a frequentare la scuola, seguono il relatore anziché giocare tutto il tempo con il telefonino o con un tablet? Non è un pensiero peregrino quello manifestato dal nostro personaggio. Molto probabilmente il giudice tutelare è rimasto pesantemente condizionato dall’avvocato ingaggiato dalla vecchia disabile e da qualche P.M. in vena creativa.
Per accertare quanto le sue sensazioni di un’indagine marcatamente spostata su alcuni elementi distrattori siano palpabili, l’istante dovrà aspettare il 28 settembre 2020, giorno fissato per la seconda udienza dal giudice tutelare. Per usare un’espressione colorata si potrebbe dire che qualcuno gli ha teso un’imboscata e ha sparato alla Croce Rossa. Proprio per la singolarità della situazione che riguarda lo stato di salute della madre e della sorella, con gli annessi problemi amministrativi ancora da risolvere, la data fissata per l’udienza è stata spostata troppo in avanti. Tutte le emergenze che riguardano le due donne rimangono “congelate”. Malgrado lo sgradevole contesto, in cuor suo l’uomo solidarizza con il giudice tutelare. Ha avuto modo d’incontrarlo in altre precedenti circostanze e sa che è persona sensibile alla sofferenza dei suoi interlocutori. Nel corso dell’udienza del 27 luglio 2020 l’ha visto molto affaticato e con difficoltà a concentrarsi su dati oggettivi, l’ha visto in imbarazzo correre dietro ai diversivi che abilmente usa l’avvocato, quello incontrato il 12 giugno 2020 a casa dell’anziana. L’ha visto distolto e preoccupato dal peggioramento della salute della donna più giovane. Il giudice, però, senza tenere conto che la beneficiaria del suo futuro provvedimento è praticamente allettata, dispone la sua convocazione per il 28 settembre 2020. L’istante fa notare che sua madre è documentatamente incapace di camminare (come peraltro già dichiarato anche in una certificazione medica INPS dell’anno 2013), aggiunge che non dispone di un mezzo adatto per gli spostamenti e da oltre un anno non esce neanche da casa accompagnata. Il giudice si lascia ancora una volta distrarre dall’avvocato che gli assicura di poter scortare personalmente l’invalida all’udienza di fine settembre, cosa che puntualmente e naturalmente non avverrà.
Il 28 settembre 2020 l’istante consegna nelle mani del giudice tutelare un’altra memoria, arricchida da alcuni allegati. Ma non serve a nulla. Nell’udienza del 28 settembre 2020 l’avvocato è talmente impetuoso che interrompe più volte la pacata esposizione verbale dell’istante. Ritorna alla carica con il presunto ammanco dal libretto postale cointestato e afferma che l’istante non ha mai rilasciato una dichiarazione d’impegno nei confronti della sorella. Il discredito dell’avversario appare la sua migliore arma. La sicumera dell’avvocato è tale che non solo non ha mai scritto una pur sola riga da lasciare nel fascicolo, ma sembra che neanche legga gli atti presenti nello stesso. Dà l’impressione di non aver visto neanche la copia del memorandum del prelievo che era spillato sul libretto postale. Il giudice tutelare è certamente gravato da un rimarchevole carico di lavoro, appare molto stanco, sembra tirato per la giacchetta contro l’evidenza dei fatti e la sua stessa volontà. Ad un certo punto, guardando alcuni documenti e parlando a se stesso dice: «Qui non posso rilasciare un incarico, pur provvisorio». Al ricorrente, distante un paio di metri, non sfugge la riflessione fatta a bassa voce.
Il giudice, oltre allo stress, sembra soffrire una qualche interferenza non gradita. Anche al richiedente amministrazione di sostegno sembra che quanto da lui scritto, compreso che la madre è affetta da sordità, va soggetta a stati di confusione interpretativa, ha vuoti di memoria, ha limitate capacità di discernere, ha lamentato più volte furti in casa, non sia stato affatto preso in considerazione da qualche altro soggetto non presente in aula. L’impalpabile sembra curare la regia della vicenda giudiziaria e ispirarsi a un assioma: l’anziana è capace d’intendere e di volere, il figlio mente quando riferisce le sue fantasie e i suoi bizzarri comportamenti. Ovviamente a motivo della sua grave patologia fisica la potenziale beneficiaria del provvedimento in esame non si è presentata all’udienza. Il suo rappresentante legale ha fornito un certificato medico. Il giudice tutelare sembra aver dimenticato che dal mese di marzo il comportamento della donna non ha permesso la riattivazione del postamat rimasto nelle mani del figlio, con il quale lo stesso prelevava la pensione e quanto altro richiesto dalla disabile. Interviene l’avvocato suggerendo al giudice l’audizione della madre e della sorella del ricorrente tramite collegamento in videoconferenza. Il giudice annuisce e dispone l’evento per il 23/11/2020.
La definizione del caso si allontana nel tempo. Probabilmente l’anziana disabile ha ancora molto denaro con sé. Secondo fonte certa, avvalendosi di una parente, ha venduto molti preziosi e ha allungato la sua autonomia economica. Può rimanere ancora senza riscuotere la pensione. Verosimilmente invece la liquidità di sua sorella è agli sgoccioli. Il nostro protagonista, subito dopo la conclusione dell’udienza del 28 settembre 2020, decide di inviarle una lettera: «come ti avevo previsto quando incontrasti il notaio il 10 giugno 2020 la vicenda giudiziaria che riguarda l’amministrazione di nostra madre permane stazionaria e di osteggiata soluzione. L’ azione a cui sono stato costretto per l’impossibilità di amministrare correttamente nostra madre purtroppo coinvolge anche te. Da quel momento la tua persona e le tue disponibilità hanno visto convergere le attenzioni di diversi altri soggetti. Questo mi responsabilizza più di prima e dunque non mi è più possibile portarti come ho sempre fatto i soldi richiestimi senza farti firmare quietanza. Data l’eccezionalità della situazione familiare prodottasi, le tue mancate firme mi si potrebbero ritorcere contro. In questi frangenti dovresti firmarmi una ricevuta. Se la cosa ti infastidisce, in alternativa potrei firmarti degli assegni del mio conto corrente postale. Questi lascerebbero traccia della tua riscossione. Per i pagamenti che ho sempre fatto e continuerò a fare per tuo conto non cambierà nulla. Se hai bisogno di soldi telefonami e fammi conoscere le tue decisioni in merito. PS: Ho già provveduto alla compilazione e alla consegna della tua dichiarazione dei redditi». La donna telefonerà ed il fratello la rifornirà di contanti.