La Fionda

Magistratura da incubo: una storia vera a puntate (37)

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Come fa abitualmente in estate, la figlia del nostro amico è tornata in Italia per trascorre le ferie. Per l’occasione è andata a fare visita alla nonna ed alla zia, le invalide della storia che stiamo raccontando. Come era intuibile le ha trovate peggiorate e quindi sta facendo pressione sul padre per fargli trovare una qualche soluzione al datato problema familiare “curato” in tribunale. Alla donna sta maggiormente a cuore la sorte della zia, “persona bella, dolce, brillante e buona”, costretta a convivere con la madre novantaduenne e scorbutica, senza la presenza assidua del fratello (indagato per simulazione di reato perché ha cercato di preservare gli interessi delle due congiunte). Nelle famiglie che finiscono attenzionate dalla magistratura, per i vari componenti del nucleo, sta diventando una variabile dal decorso incontrollabile anche la longevità, nuovo humus giudiziario per alimentare la pletora di addetti che si presentano a “fornire aiuto”. L’impiego disinvolto del codice penale è diventato quanto mai ricorrente. Il metodo delle false denunce e delle certificazioni di comodo, prevalentemente mutuato dal settore delle separazioni coniugali, sta dilagando anche per fornire “tutela legale” ai disabili e agli anziani non autosufficienti. L’orripilante vicenda del prof. Carlo Gilardi è solo la punta di un iceberg. Qualche giorno fa è deceduta la madre dell’autore di “La Fuffoscuola lessico fuori dai denti di un insegnante a fine carriera”. Possiamo anche ipotizzare che il prof. Monello fosse poco gradito ad una badante (da lui licenziata) e “fastidiosamente” zelante nell’accudire la sua vecchia madre convivente, ma chi potrebbe mai credere o fornire adeguati riscontri che maltrattasse la genitrice, alle quali cure aveva sacrificato gran parte della sua vita?

Eppure è stato messo alla porta dai carabinieri e indagato per violazione dell’art. 572 c.p. (http://picciokkumalu.blogspot.com/2020/09/troppi-panni-cambiati-all-anziana-madre.html). Nel culto dell’eroe e della sua azione salvifica non c’è ragione, pur macroscopica, che tenga, così la claque incaricata plaude al successo del presidente del consiglio nell’aver mandato velocemente in Parlamento la riforma della giustizia. Ma di quale riforma si parla? Stiamo saltando a piè pari lo stato pietoso in cui versa deliberatamente la giurisdizione da un trentennio. Nessuna discussione pubblica sulla giustizia civile, mutismo su organici e standard di rendimento dei magistrati. Stanno scivolando via senza troppe remore istituzionali, quasi nel silenzio mediatico, due gravissimi fatti: le rivelazioni di Luca Palamara e quelle di Piero Amara. Per lasciare inalterato il sistema circostanziatamente descritto dall’ex presidente dell’ANM quest’ultimo è stato condannato ed espulso dalla magistratura solo per aver interloquito, nel corso di uno dei tanti incontri conviviali, con un politico inquisito (sic). Tutto il resto (dalle promozioni di “asini” agli aggiustamenti di sentenze, cose ben più gravi di un incontro “galeotto”, cose che hanno toccato un gran numero di magistrati) è solo acqua passata. “Past water no longer grinds”. Che ne è stato della “loggia Ungheria”? Piero Amara ha dichiarato che ne facevano parte magistrati, politici, imprenditori, avvocati e uomini d’affari; anche per guidare le nomine del Csm. Ci sono tante procure della Repubblica che potrebbero porsi delle domande, ma altrettanti imbarazzi nell’indagare.

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Prima di aggiornare puntualmente il lettore ci concediamo qualche sconfinamento. In ogni caso lo riteniamo afferente al tema della nostra narrazione, la quale si colloca in un contesto nazionale caratterizzato da alcune tipicità. Il rapporto 2021 di Transparency International, nello stilare la classifica della corruzione in Europa occidentale e nella Ue, vede l’Italia collocarsi al venticinquesimo posto (su trentuno paesi studiati). Per la precisione è stato misurato un tasso di corruzione superiore al nostro Paese solo in Slovacchia, Grecia, Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria. Altro dato che ci permette di delineare la situazione in cui viviamo riguarda la credibilità della magistratura. Secondo il sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera del 15 maggio 2021 solo il 39% dei nostri connazionali si fida dei magistrati. Il panorama si completa con l’osservazione diretta dello stato della democrazia formalmente accreditata dalle mosche cocchiere collocate, per vie traverse, alla guida dell’Italia. Le case farmaceutiche hanno aumentato i prezzi dei vaccini senza che l’Esecutivo abbia fatto obiezioni di sorta in omaggio alle leggi del turbocapitalismo e della speculazione. Lo sforzo della politica è per lo più proteso cinicamente e con enfasi a delegittimare qualunque, se pur legittima, critica alle direttive vaccinali. La macchina massmediatica va al massimo dei giri per disinformare, manipolare e produrre consenso. Giocando sul clima d’incertezza generale che attraversa il Paese in questi giorni bui getta le basi per ulteriori discriminazioni sociali. Lo strascicarsi dei media ai piedi del Potere (pur inevitabile per gli attuali rapporti di forza) comporta un crollo verticale di quelle che sono le basi della convivenza sociale e del diritto. Ci sono tante spocchiose marionette pronte ad esternare riprovazione per quello che accade nelle “dittature” (tali sono ritenuti di solito i governi che per qualche ragione confliggono con il pensiero unico globalista), tanti fantocci che tacciono su quanto di ancor peggio accade qui da noi. Tante anime belle sembrano ignorare che, come dice Daisaku Ikeda, “La Giustizia è come il Sole. Una società che ne è priva vive nell’ombra” e, aggiungiamo noi, è anche spaventosamente oppressa.

Dopo le confessioni di Luca Palamara e di Piero Amara continua l’inconcepibile sfilza di vergogne che coinvolgono la giurisdizione, con tanti déjà-vu ed un turbillon di storie da poter ispirare a lungo i migliori romanzieri. Ma a cosa serve scrivere nell’Anno Domini 2021? C’è stato un tempo nel quale persino le mafie autoctone temevano il palesamento del loro agire, anche la denuncia giornalistica di un abuso portava ad una qualche sua correzione. Oggi quelle associazioni criminali sono state prevalentemente assorbite, integrate e superate da un altro genere di associazioni, con un arsenale di mezzi molto più potente. Queste raramente ricorrono alla violenza in maniera plateale. Per contenere qualunque tipo di eterodossia possono facilmente ridurre al silenzio ogni voce scomoda, spedirla una per una nel deserto dell’afasia. E’ già accaduto e si sta ripetendo. Non è vietata la critica ma l’emersione della stessa, soffocata dal consenso liberticida di chi fa televisione o dirige “prestigiosi” giornali. Anche via Web il controllo e la censura si vanno perfezionando. Stiamo andando verso un collasso irreversibile. Ci andremo cantando dai balconi ad orari prestabiliti, autoconvocandosi in adunanze di approvazione? In un ambito senza regole diventa abituale difendersi e convivere con la legge del più forte, con le pretese ed i taglieggi di organizzazioni malavitose. L’attualità non ci fornisce alcun tipo di difesa. Oltre i noti call center d’interesse commerciale non esiste molto altro per inoltrare lagnanze. Trovarsi alla mercè della magistratura frequentemente significa esporsi a qualunque arbitrio, ma tutto ciò non è accaduto casualmente per trenta anni, senza soluzione di continuità. Non poca incidenza debbono aver avuto le lobbies finanziarie globali per rafforzare il loro strapotere sovranazionale. Una giurisdizione apparentemente fuori controllo, caratterizzata da legami perversi per intenti irriferibili, ha una sua funzionalità per chi detiene sostanzialmente il Potere, quanto meno nella sua facile ricattabilità. “A long train of these practices has at length unwillingly convinced me that there is something behind the throne, greater than the throne itself” (Sir William Pitt, House of Lords). E’ così che possiamo spiegare tre mesi d’intercettazioni illegali con cui è stato monitorato Luca Palamara, nel contempo segmento attivo e vittima di un organismo nevralgico deviato. A cavallo tra vendette, sciatteria ed ideologia si sono consumate vicende come quella di Ambrogio Crespi, quella di L.N., un imprenditore calabrese che da dieci anni cerca di risolvere il suo contenzioso con il fisco, quella di Marco Sorbara, quella di Pietro Paolo Melis (diciotto anni in carcere da innocente per una perizia fonica erronea), quella di Marco Bolognino (anarchico, militante NoTav, redattore di Radio Blackout).

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Sul versante dell’irritualità istituzionale, proprio a motivo della sfiducia che manifesta la gente nei confronti della giustizia, il ministro Cartabia ha ritenuto opportuno rassicurare i parenti delle vittime del ponte genovese crollato il 14 agosto 2018 spiegando loro “Le quattro ragioni per cui non c’è da temere che processi come quello del Ponte Morandi e altri possono svanire”. Il discredito di cui è oggetto la magistratura giunge da lontano, con storie come quella di Rocco Femia (arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, cinque anni in carcere, costretto a dieci anni di processi prima di venire riconosciuto innocente), quella di Rocco Loreto, ex sindaco ed ex senatore (arrestato e vittima di una vicenda giudiziaria lunga diciassette anni per le false accuse di un magistrato), quella di Renato Sarno (sei mesi agli arresti, ma non aveva commesso concussione). Il processo penale implica dei costi elevati per l’imputato. Le indagini difensive richiedono aggravi di spesa e ciò comporta in alcuni casi un vero e proprio ostacolo per il cittadino a difendersi adeguatamente. La ciliegina sulla torta la mette poi la Corte di Cassazione. Con sua sentenza n. 16458 del 29 maggio 2020 ha affermato che la consulenza del P.M. “anche se costituisce il prodotto di una indagine di parte è assistita da una sostanziale priorità rispetto alla consulenza depositata dalla difesa”. Secondo la suprema corte il consulente del P.M. è un ausiliario di un organo giurisdizionale che “sia pure nell’ambito della dialettica processuale non è portatore di interessi di parte”. E’ comprensibile che attribuire una valenza probatoria diversa alle consulenze fornite dalle parti in causa finisce per sbilanciare il processo a priori. Difendersi nell’ambito di un’indagine o di un processo penale è cosa tutt’altro che facile. Il P.M. esprime un sospetto e tanto basta. Gli altri magari neanche leggono (appare sempre di più un’abitudine radicata) gli atti portati a difesa. Prontuario alla mano seguono i passaggi di routine, inseguono i loro bersagli ed i loro programmi. E’ forse in tal modo che maturano fatti come l’internamento, con annessa segregazione, del prof. Carlo Gilardi o tragedie come quella di Roberto Pauluzzi. Quest’ultimo, rivolgendosi alla figlia, ha lasciato scritto il suo dramma prima di suicidarsi. C’è la storia di Marco Quaglia, sopravvissuto a false accuse, che oggi si racconta in un libro. C’è la storia di Federico Scotta, che ha trascorso undici anni in carcere con le terrificanti accuse di pedofilia e di abusi su minore. L’abominio giurisdizionale ha un’enorme carica deflagrante in quanto il responsabile del “servizio” fornito ai cittadini è un apparato statale, che usurpa la libertà, lede la reputazione, diminuisce il patrimonio, cattura la vita di una persona e ne fa quello che vuole al riparo di un’irresponsabilità diventata più che intollerabile, in determinate circostanze addirittura raccapricciante.

Da un trentennio, fuori e dentro il carcere, si registra una lunga teoria di suicidi. Tra i reclusi se ne annovera uno a settimana. Non abbiamo mai apprezzato l’esistenza di sacche d’impunità per tutti coloro che hanno potuto e saputo avvalersi delle criticità nell’amministrazione della giustizia, ma non intendiamo di certo sottoscrivere la persecuzione giudiziaria come avveniva ai tempi dell’Inquisizione. Nell’ombra è cresciuta una stirpe di magistrati che, prima addestrati all’uopo e poi insediati, sono diventati la bestia nera di qualunque cittadino pur rispettoso delle leggi. Si lasciano interpretare come se fossero le avanguardie di un inoltrato piano eversivo in corso d’opera. Rappresentano un ostacolo insormontabile per il corretto funzionamento della Giustizia. Sia il legislatore, peraltro principale complice della situazione creatasi, che i sostenitori dell’idea referendaria hanno mai pensato all’abolizione dell’immunità giurisprudenzialmente onnicomprensiva (responsabilità civile, penale e disciplinare) goduta, in virtù di apposita legge, dai componenti del CSM. Come dimostrano gli avvenimenti, ormai a conoscenza di tutti, tale privilegio ha una sua innegabile potenzialità criminogena. Ricordando l’epilogo del risultato referendario del 1987, alla luce della corruzione dilagata e capillarmente dilagante nel Paese, non possiamo illuderci aspettando la nemesi di un qualunque referendum. Nell’attuale momento storico, senza cullarci nei sogni, dobbiamo misurarci con la realtà. Ogni settore della giurisdizione ha le sue particolarità ed i suoi snodi topici. La volontaria giurisdizione non movimenta la massa di soldi del settore fallimentare, ma può avere un impatto micidiale sulla famiglia. Può massacrare l’onorabilità ed i patrimoni dei padri in procinto di separarsi dal coniuge, può imporre in famiglia un amministratore estraneo alla stessa, può sottrarre i figli minori ai genitori, può “carcerare” nelle RSA disabili e vecchi, può mettere in moto lucrosi affari in nome della tutela dei più deboli. La distruzione del tessuto sociale, obiettivo di qualunque dittatura finanziaria, passa anche attraverso la distruzione della famiglia. Ci sono peripezie di innumerevoli soggetti “fragili” che ben incorniciano la relazione di autorità operante tra chi formalmente detiene l’incarico istituzionale (spesso silente) e chi in effetti lo esercita (impiegandolo in maniera criminale). La storia di Carlo Gilardi docet. Il vecchio professore aveva previsto e denunciato tutto quello che andava subendo, ma ciò non è stato sufficiente a garantirgli la libertà ed ancor meno la piena disponibilità dei suoi averi.

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Per quanto ci è dato di ricordare, tra gli altri, sono intervenuti in suo favore anche Andrea Bocelli, Gianluca Rospi, don Aldo Buonaiuto e Giorgia Meloni. Calpestando il diritto ed umiliando un uomo di grande valore, ancora una volta, il sistema (occulto) ha dimostrato tutta la sua inespugnabilità.  Anche noi, nel raccontare, abbiamo preconizzato con largo anticipo quale era l’obiettivo perseguito in tribunale. “Omissis l’impalpabile sembra curare la regia della vicenda giudiziaria ed ispirarsi ad un assioma: la vecchia è capace d’intendere e di volere, il figlio mente quando riferisce le sue fantasie ed i suoi bizzarri comportamenti. Omissis”; “Omissis la vecchia disabile è un caso clinico non acclarato ma, il vero bersaglio di questa battaglia giudiziaria, nella quale il ricorrente è stato tirato per i capelli, sembra essere la sorella. La vecchia ha 91 anni, ma la sorella ha un’età ed una posizione economica appetibile. Omissis”. La strada che conduce giudizialmente alla “tutela” di famiglie e/o di persone in circostanze problematiche è presidiata da diverse figure professionali: giudici tutelari, avvocati, consulenti del tribunale e potenziali amministratori. Questi soggetti, in taluni casi, dopo essersi tolto l’abito di scena, si rivelano dei volgari delinquenti. Eppure in quei frangenti loro sono comunque la legge. Con la giusta coordinazione e soprattutto senza rischi, individuano velocemente quali borse svuotare, quali affari possono realizzare e quali patrimoni familiari possono drenare.  Impiegano la melma nella quale sguazzano per offuscare l’integrità morale di chi appare poco incline ai compromessi. Quando i congiunti del beneficiando appaiono troppo invadenti o poco disponibili a collaborare con chi guida la squadra addetta a decidere, basta insinuare opportunamente un sospetto su chi ostacola la realizzazione del disegno o, ancor meglio, una denuncia penale per metterli definitivamente fuori gioco. Esistono patti scellerati che sono di ferro. Possono contare sull’estesa omertà del sistema, che avanza come un rullo compressore, funziona egregiamente e non ammette deroghe. Torniamo dunque al nostro resoconto. Che sia nata per vendetta, per scelta ideologica, per ignavia o per rastrellare facilmente i soldi altrui, la storia segue il suo corso. Il giudice tutelare ha emesso il decreto che riguarda il destino della sorella del nostro istante/reclamante. Lo affidiamo al lettore senza commentarlo. Sottolineiamo soltanto che il G.T, per giustificare il suo provvedimento, asserisce il falso dichiarando che il nostro amico è indagato per “condotte ipotizzate dannose nei confronti delle congiunte” e per “circonvenzione d’incapace”. Un lapsus freudiano, una distrazione o la consapevolezza che ad aver circuito le congiunte del ricorrente siano stati proprio gli “ignoti” della denuncia presentata dallo stesso il 16 giugno 2020?

Ecco il testo del decreto del giudice tutelare: Con ricorso depositato in data 22.12.2020, la PROCURA DELLA REPUBBLICA DI  xxxxxxx  chiedeva  l’apertura  di  amministrazione  di sostegno in favore di xxx. Deduceva l’istante di aver valutato il caso in seguito a segnalazione del giudice tutelare e del Pubblico Ministero in sede, dott.ssa Mxxxxx, in base  alle quali si sollevava la necessità di sottoporre all’attenzione dei servizi e delle autorità il nucleo familiare convivente di xxxxxxxx, già sottoposta ad amministrazione di sostegno e xxxxxxxxx, figlia convivente, in quanto estremamente fragile, inoltre penderebbe una indagine a carico del sig. xxxxxxxxxx per condotte ipotizzate dannose nei confronti delle congiunte proprio da parte di soggetto dotato di poteri di accesso al loro patrimonio; dal punto di vista sanitario, si evidenziava che xxxxxxxxxx sarebbe “affetta OMISSIS. All’udienza del 10.5.2021, si procedeva alla audizione della signora xxxxxxxxx, la quale dichiarava di avere avuto un figlio, premorto, e di aver accusato problemi in ragione di tale evento luttuoso, anche se a stento era in grado di precisare che problematica psichiatrica fosse stata diagnosticata al figlio. La beneficianda aggiungeva di essersi trasferita dalla madre per non stare sola, e di essere stata convinta a firmare una procura al fratello xxxxxxo e suo figlio e sostanzialmente delineava un approccio decisionale connotato da influenzabilità altrui, vuoi il fratello vuoi la madre. Preliminarmente, occorre dar conto del fatto che, a seguito della riforma approntata dalla l. 6/04, è stato introdotto nell’ordinamento l’istituto dell’amministrazione di sostegno, misura protettiva che, a differenza dell’interdizione ed inabilitazione, non incide ex lege sulla capacità di agire del beneficiario, dipendendo in concreto dal decreto del Giudice Tutelare la determinazione dei poteri dell’amministratore di sostegno. Si rammenta l’insegnamento della Suprema Corte secondo il quale “Nel giudizio di interdizione il giudice di merito, nel valutare se ricorrono le condizioni previste dall’art. 418 c.c. per la nomina di un amministratore di sostegno, rimettendo gli atti al giudice tutelare, deve considerare che, rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma alle residue capacità e all’esperienza di vita dallo stesso maturate, anche attraverso gli studi scolastici e lo svolgimento dell’attività lavorativa (nella specie, si trattava di un’impiegata in ufficio con mansioni esecutive). Ne consegue che non si può impedire all’incapace, che ha dimostrato di essere in grado di provvedere in forma sufficiente alle proprie quotidiane ed ordinarie esigenze di vita, il compimento, con il supporto di un amministratore di sostegno, di atti di gestione ed amministrazione del patrimonio posseduto (anche se ingente), restando affidato al giudice tutelare il compito di conformare i poteri dell’amministratore e le limitazioni da imporre alla capacità del beneficiario in funzione delle esigenze di protezione della persona e di gestione dei suoi interessi patrimoniali, ricorrendo eventualmente all’ausilio di esperti e qualificati professionisti del settore” (Cass. n. 17962 del 11/09/2015).

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Si ricorda in proposito che secondo la giurisprudenza di legittimità, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilita di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass. sentenza n. 13584 del 12 giugno 2006). All’esito della istruttoria, letti gli atti di parte, valutata la documentazione versata in atti e le dichiarazioni della beneficianda, la domanda risulta fondata. Dall’istruttoria svolta emerge che xxxxxxxxxx è persona con incapacità di gestirsi autonomamente in ordine alla sua situazione economica perché condizionata pesantemente dalla modalità con cui la sua patologia la induce ad interpretare i fatti che le occorrono. Di contro, ha coscienza della propria malattia, sicché fa presumere che possa in futuro collaborare con una figura coadiuvante di cui peraltro è lei medesima a chiedere di affiancarle nelle operazioni di gestione economica, sicché si deve escludere allo stato la presenza di una grave infermità di mente, come attestato dalla storia clinica/sanitaria documentata in atti e nei certificati allegati, tale da minare totalmente il funzionamento a medio e lungo termine del nominato in oggetto nelle sue manifestazioni intrapsichiche, interpersonali e comportamentali, ed impedire alcuna automa e residua capacità di autodeterminazione. Data la necessità, più che altro di una figura di sostegno alle decisioni di xxxxxxxxxx, che la aiuti anche ad affrancarsi da una condizione di dipendenza psicologica verso la famiglia, si ritiene sufficiente, una figura meramente coadiuvante, esterna alla famiglia. In tal senso, la offerta di xxxxxxxx non può affatto essere presa in considerazione in ragione della pendenza di indagini penali per circonvenzione di incapace nei confronti della medesima sorella, che impongono una scelta lontana da eventuali conflitti di interessi, reali o potenziali e che preservi il soggetto nominato da ogni influenza non in linea con gli interessi della sola beneficiaria.

P.Q.M. Visti gli artt. 404 ss c.c. dichiara aperta l’amministrazione di sostegno in favore di xxx. Nomina l’avv. xxxxxxxxxxxx, amministratore di sostegno di xxxxxxxxx, con le seguenti prescrizioni: l’incarico è a tempo indeterminato; l’amministratore di sostegno avrà il potere di compiere, in nome e per conto della beneficiaria, qualsiasi atto di amministrazione ordinaria di disposizione relativamente ai beni di proprietà della beneficiaria e fare quant’altro si renderà necessario per le esigenze di protezione e per i bisogni e le richieste della medesima (quali, ad esempio, riscossione delle indennità previdenziali ed assistenziali allo stesso spettanti, pagamento delle spese periodiche, gestione delle pratiche amministrative presso enti pubblici o privati, presentazione della dichiarazione dei redditi, gestione dei rapporti con la società Poste Italiane s.p.a. per il ritiro della corrispondenza indirizzata alla beneficiaria; riscossione di canoni locativi; locazione degli immobili della beneficiaria); l’amministratore di sostegno potrà utilizzare mensilmente somme di spettanza della beneficiaria a titolo previdenziale ed assistenziale e dovrà provvedere a depositare tutte le somme di pertinenza della beneficiaria in un conto corrente bancario o postale o un in libretto postale intestato a e vincolato all’ordine del giudice tutelare dal quale potrà prelevare mensilmente, in una o più soluzioni, anche mediante carta di debito che si autorizza a richiedere e homebanking, il suindicato importo senza necessità di ulteriori autorizzazioni; l’amministratore di sostegno dovrà chiedere l’autorizzazione al giudice tutelare per il compimento di tutti gli atti di straordinaria amministrazione, quali, ad esempio, alienazione di beni, costituzione di pegni ed ipoteche, divisioni, compromessi, transazioni; la beneficiaria conserva il potere di compiere suddetti atti personalmente coadiuvata dall’amministratore di sostegno, saranno segnalati al giudice tutelare eventuali conflitti per la composizione bonaria; l’amministrazione dovrà redigere inventario dei beni patrimoniali dell’amministrata, e depositarlo presso la Cancelleria del Giudice Tutelare entro sei mesi; l’amministratore di sostegno dovrà riferire ogni dodici mesi al giudice tutelare circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale della beneficiaria e dovrà presentare il rendiconto dell’amministrazione entro il 31 gennaio di ciascun anno, allegando copia dell’estratto conto del relativo anno, documentazione giustificativa delle spese superiori ad euro 200,00 una tantum; dispone altresì che la documentazione non rientrante nella suddetta elencazione sia comunque tenuta a disposizione a richiesta del giudice. Manda alla cancelleria per le annotazioni del presente decreto sull’apposito registro, per la comunicazione all’Ufficiale di Stato Civile ai sensi dell’art. 405 c.c. e per l’iscrizione nel casellario giudiziale. Fissa per il giuramento del nominato amministratore l’udienza del 11 ottobre 2021 ore 14,00. Dispone, a tutela della privacy della beneficiaria che nei rapporti con i terzi si faccia uso solo della parte dispositiva del presente decreto. Si comunichi al ricorrente, nonché a beneficiaria, amministratore nominato ed al Pubblico Ministero in sede.



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