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Ancora oggi, 1 aprile 2021, il fascicolo telematico relativo alla sorella del nostro amico non ha incorporato altri documenti se non quelli prodotti dal suo avvocato. Nell’attesa di visionare, tra l’altro, anche la procura fatta firmare alla sorella di cui è procuratore generale, mettiamo a disposizione del lettore qualche nostra riflessione. Quando eravamo ragazzi, per noi la domenica era il giorno canonico per andare al cinema a guardare un film di cavalieri, pirati, eroi o cappa e spada. Per poi andare più tardi a passeggiare sul lungomare, alle giostre, a mangiare una pizza o in gelateria, andavamo al primo spettacolo. La platea era costituita prevalentemente da giovani che partecipavano attivamente allo spettacolo ora con qualche grido, ora con un’esortazione, ora con un corale olé. Spesso il film si concludeva con un “arrivano i nostri” che salvavano da morte certa i protagonisti nei quali ci eravamo identificati. I quei momenti esplodeva un liberatorio applauso che accomunava tutti gli spettatori. Tempi lontani ed un’altra età. La nostra non è epoca di eroi, ma di stravolgimenti sociali, politici e valoriali. E’ l’epoca nella quale è stata imposta la legge del mare, quella che si applica davanti a naufragi d’immani proporzioni. E’ l’epoca del “si salvi chi può”. Non arriverà la cavalleria dei nostri ricordi cinematografici.
“La strategia militare insegna che davanti a delle forze schiaccianti, per non cadere nelle mani del nemico, si può scegliere tra il suicidio e la guerriglia. La guerriglia è un conflitto di movimento che deve guadagnarsi il sostegno della popolazione. Si colpisce e poi ci si ritira. Lo scontro si svolge attraverso punzecchiature, incursioni, imboscate, raid contro i centri di comando e azioni diversive”. Ci siamo citati, riportando crudi pensieri di qualche anno fa, con il grande desiderio di poter scorgere uno spiraglio di luce. Non amiamo indossare le vesti di Cassandra, ma non vediamo proprio come l’Italia possa affrontare una lotta impari e rinascere vivibile come era qualche decennio fa. Ripensiamo agli uomini con gli alamari, da Salvo d’Acquisto a Carlo Alberto Dalla Chiesa, senza scordare le trentasei vittime del terrorismo (tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta) insieme a tutti gli altri che hanno dato lustro all’Arma dei Carabinieri. Ripensiamo a magistrati delle giurisdizioni ordinarie e amministrative quali Gaetano Azzariti, Leopoldo Piccardi, Emanuele Piga, Antonio Sorrentino, Andrea Torrente. Torniamo con la mente a tutti quei magistrati con la testa alta che sono stati uccisi nell’adempimento del loro dovere. Con il trascorrere del tempo purtroppo le cronache ci hanno parlato e ci parlano, sempre di più, di carabinieri e di magistrati usciti dalla legalità. Sono anni bui scadenzati dall’insozzarsi di divise e di toghe.
Ci costerna questo stillicidio, così come leggere la risposta che Fiammetta Borsellino ha dato un mese fa ad un cronista che l’aveva interrogata sul Csm: “Il Csm si è dato in questi anni sempre la zappa sui piedi, tutelando interessi di tipo clientelare e di carriera. Fu solerte quando si trattò di mettere sotto processo disciplinare mio padre (Paolo n.d.a.) per aver denunciato pubblicamente lo smantellamento del pool antimafia ed è stato inerte nei confronti di coloro, organi inquirenti e giudicanti, che in qualche modo hanno contribuito, avendo parte attiva o passiva, al più grande depistaggio della storia giudiziaria del Paese”. Lo scandalo connesso all’ex leader di Confindustria, Antonello Montante, ha fatto registrare dieci magistrati che a costui hanno consegnato curricula o fatto richieste per ottenere favori di vario genere. Secondo la Procura di Catania tali comportamenti non hanno costituito notizia di reato. La Procura Generale della Cassazione, chiamata ad esprimersi sui profili disciplinari dei magistrati coinvolti nella vicenda, ha proceduto con l’archiviazione per la quasi totalità dei fascicoli aperti. Tralasciando l’aspetto penale, che presumibilmente sarà stato solo sfiorato, ci sembra lecito ritenere che la vicenda non deponga proprio in favore del prestigio a cui il ruolo di magistrato dovrebbe aspirare. Probabilmente la magistratura non è mediamente più corrotta di altri organi dello Stato, ma questa, contrariamente ad altri, ha un potere illimitato ed incontrollato.
Chi sbaglia, se individuato, paga di persona. Il magistrato no. Le confessioni di Luca Palamara hanno fornito un feroce spaccato del mondo in toga, ma non hanno rimosso il “sistema” interconnesso con la giurisdizione. Le stesse intercettazioni delle chat dell’ex presidente dell’ANM, che fanno annotare buchi tecnicamente inspiegabili, non ci consentono di coltivare l’ottimismo. In tempi andati probabilmente l’agire del GT, nel quale ci siamo casualmente imbattuti, avrebbe indotto qualcuno a consigliargli un lungo periodo di riposo e a prospettargli il rischio di un procedimento disciplinare. Oggi prendiamo atto che c’è una parte di magistratura deviata per il cui operare non possiamo fare altro che manifestare viva preoccupazione. Tra questa ed alcuni centri di potere, più o meno informali, sembra esistere comunità d’intenti. Ne rileviamo solo uno parlando di false accuse, un settore, o meglio un potente mandarinato dove ci sguazzano solo gli addetti ai lavori, causando danni psico-fisici e supplizi, soventemente a famiglie intere, come insegnano vecchie e/o recenti vicende. Vaneggiamenti, numeri comunicati senza riscontri di sorta e mistificazioni per creare artatamente allarme, sono gli strumenti usati per far deragliare quelle che dovrebbero essere le missioni istituzionali. Il 90% delle denunce si concludono con un nulla di fatto perché fasulle. Malgrado questo lapalissiano dato, recentemente la Corte Costituzionale ha sentenziato che la persona offesa ha diritto al patrocinio gratuito. Con tutto il rispetto per l’eccelsa Corte, l’acquisizione dello status di vittima non può fare astrazione da qualsiasi riscontro giudiziario. Questa è solo una maniera per esasperare il fenomeno. A chi serve? Una giurisdizione a misura di paese civile, tra l’altro, non consentirebbe l’internamento forzoso del prof. Carlo Gilardi e di altri in condizioni analoghe, non lascerebbe il dramma sulle spalle di una tenace giornalista soltanto perché chi dovrebbe agire, da sempre, è aduso a fare il pesce in barile.