Il Senatore Simone Pillon è forse uno dei politici più discussi di questa legislatura. Prima finito nel mirino delle femministe per la sua proposta di riforma della legge su separazioni e affidi (debitamente affossata a favore di spazzatura come il “Codice Rosso”), oggi resta il bersaglio preferito dei progressisti in salsa rosa e arcobaleno per la sua (condivisibilissima) battaglia contro il DDL Zan. Gli si rimprovera di tutto, dall’essere ipercattolico all’essere antifemminista (manco fosse un difetto) e ogni sua parola viene strumentalizzata e distorta in modo sistematico. È capitato giusto di recente, quando il Senatore ha ritenuto di criticare aspramente l’iniziativa dell’Università di Bari, che ha deciso di fare forti sconti alle studentesse che si iscrivono a facoltà scientifiche o tecnologiche, in modo da “colmare il gap” con gli studenti.
Niente di male, sul piano teorico: incentivi e disincentivi servono per modificare orientamenti e comportamenti, ma se mal gestiti rischiano di creare discriminazioni ingiustificate. Questo è il caso: all’Università di Bari le studentesse sono già una schiacciante maggioranza (67%), dunque gli sconti appaiono già così come un favore improprio. Ma soprattutto l’ateneo non ha previsto alcun corrispettivo a favore degli studenti per incentivarli ad accedere alle facoltà maggioritariamente scelte dalle studentesse, cioè tipicamente quelle umanistiche. Sarebbe questione di principio per rispetto della parità stabilirlo, a meno di non concepire, come ormai è abitudine, la parità come discriminazione “positiva” del maschile, con l’infondato presupposto che le donne abbiano patito troppo finora a causa del patriarcato, e sia dunque accettabile, anzi quasi obbligatorio, penalizzare gli uomini a mo’ di risarcimento. Un’idea aberrante, ma concretamente già messa in pratica in moltissimi settori, a partire proprio dalle università.
Una grande ingiustizia e un grande pasticcio.
L’ideona dell’ateneo di Bari mette in atto insomma un’evidente disparità, un’ingiustizia palese, sotto vari profili e il Senatore Pillon in un suo post decide di mettere l’accento su alcuni aspetti. A partire dal fatto che finora nessuno ha impedito alle studentesse di iscriversi alle STEM. Se non lo fanno, evidentemente non sentono quel ramo di studi nelle loro corde, non gli piace, non le ispira. Ed è scientificamente provato che, fin dalla nascita, le femmine siano più inclini ad attività che le mettano in contatto con le persone, mentre i maschi sono più attratti dalle cose. Per altro, ogni tentativo di spingerle a modificare le loro inclinazioni è finito nel nulla ovunque nel mondo, ma ciò che conta è la disparità profonda dell’iniziativa: non ha una contropartita sulle facoltà umanistiche, ma soprattutto comporta che gli studenti, anche quelli più poveri, dovranno pagare tasse intere a compensazione della scarsa inclinazione femminile alle scienze e alla tecnologia.
Altrove, Francesco Toesca, Presidente della Lega degli Uomini d’Italia, fa notare come in pratica in questo modo l’Università paghi le studentesse per fare ciò che non vogliono o non gli interessa, per studiare ciò che non studierebbero spontaneamente, per fare una carriera che loro non sceglierebbero. Le pagano purché facciano quello che l’ateneo ha deciso dovrebbero fare. «E questa si chiamerebbe libera scelta delle donne?», si chiede giustamente Toesca. Pillon invece nel suo post fa due esempi piuttosto lampanti e dice in sostanza che non è colpa di nessuno se le donne preferiscono laurearsi in ostetricia e gli uomini in ingegneria mineraria: forzare la mano è appunto inutile e iniquo verso la minoranza maschile della popolazione studentesca. Non solo, sottolinea malignamente (ma giustamente) Pillon: con il DDL Zan vigente, gli studenti che volessero usufruire dello sconto dell’Università di Bari potrebbero a buon diritto dichiarare di percepirsi come donna, e guai a contraddirli. Insomma una grande ingiustizia che rischia di finire in un gigantesco pasticcio.
Il progressismo contemporaneo è un tumore maligno.
Si tratta di un’opinione sacrosanta. Occorre essere profondamente in malafede per opporvisi. Solo che quando si tratta di criticare Pillon la malafede si spreca e la shitstorm è scontata. Ecco allora il re dei giornalisti cicisbei, Massimo Gramellini, che con grande originalità dà del medievale al Senatore, per non parlare di vari influencer e politici che sui social sbertucciano Pillon dandogli del retrogrado, maschilista e chi più ne ha più ne metta. Il tutto solo perché ha affermato che uomini e donne sono diversi, dal lato biologico e da quello delle inclinazioni. Una verità addirittura scientificamente dimostrata, ma per il mainstream è troppo golosa l’occasione di bastonare una persona che, volente o nolente, è diventata simbolo di mentalità retrograda nel suo semplice reclamare il valore della verità delle cose. Questo perché tutto ha da essere freak, specie se gli si dà sopra una bella mano di pittura color progressismo: ad esempio affermare che uomini e donne sono uguali, e se non lo sono, le leggi devono intervenire a forzare questa uguaglianza a dispetto di tutto (una sciocchezza per altro smentita già anni fa). E se poi si creano cortocircuiti ingestibili, come per la questione dell’autopercezione, basta fare un po’ di casino, additare un qualche nemico al pubblico ludibrio e la cosa passa senza particolari turbamenti.
Con un altro aspetto molto grave, che però nel parapiglia sollevato passa in secondo piano: il profondo classismo insito nelle contestazioni indirizzate al Senatore e a chiunque abbia contestato la decisione dell’Università di Bari. Perché, questa è la domanda, cosa c’è di negativo nella scelta tipicamente femminile di facoltà e professioni che mettono a contatto con le persone? Forse che un’ostetrica vale meno di un ingegnere minerario? Un’insegnante meno di un tecnico dell’estrazione petrolifera? Una pediatra meno di un chimico industriale? Un’educatrice meno di un programmista informatico? Sì, sono mestieri che valgono meno: questo è il retropensiero di chi ha criticato Pillon e plaude alla decisione discriminatoria dell’Università di Bari. Secondo costoro ci sono mestieri di serie A e mestieri di serie B. Una boiata clamorosa e volgare, utile solo a rinfocolare un’assurda guerra tra generi, laddove si attribuisce maggiore autorevolezza ai lavori tipicamente maschili e minore a quelli tipicamente femminili. Il tragicomico è che questo classismo arriva in gran parte da soggetti sedicenti “di sinistra” o sostenitori di quel progressismo che, davvero, è sempre più un tumore maligno per le nostre società.