La si giri come si vuole, ma quando parte la polemica su donne e uomini ai posti di comando c’è sempre chi auspica un maggiore equilibrio basato sul sesso (quote rosa) e chi invece ritiene ci si debba basare sul merito, la preparazione, l’etica delle persone. I due punti di vista sono inconciliabili, naturalmente, e quando si prova a conciliarli, si finisce nel cul de sac in cui è rimasta intrappolata Elena Bonetti, costretta poi a uscirne ammettendo che ciò che conta è la qualità delle persone e non il loro sesso d’appartenenza. Che questa conclusione sia vera è provato al di là di ogni ragionevole dubbio dall’attuale ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Avevamo già incrociato la sua figura ascoltandola parlare in un lungo webinar dedicato al decennale della Convenzione di Istanbul ed eravamo rimasti colpiti dalla sua difficoltà nell’esprimersi in un italiano compiuto, ma soprattutto dalla sua totale incapacità di formulare un pensiero e un’opinione difformi dalla velina che qualche sherpa della Commissione Femminicidio le aveva fatto pervenire. In quel frangente, il ministro Lamorgese si limitò infatti a leggere (male) una sequela di luoghi comuni, in gran parte smentiti dalle statistiche elaborate proprio dai suoi uffici e dagli uffici statistici dell’Unione Europea. Una delusione totale.
Ma quello era evidentemente soltanto l’antipasto. Com’è noto, tra il 14 e il 19 agosto scorso, sulle sponde del lago di Mezzano a Valentano, in provincia di Viterbo, diverse migliaia di persone si sono radunate per partecipare a un rave party. Per chi non lo sapesse: si tratta di incontri di massa, in barba alle norme su distanziamento e al divieto di assembramento, dove viene sparato un muro di suono ritmico e ripetitivo (qualcuno la chiama addirittura “musica”) su cui gli intervenuti, in media giovani o molto giovani, ballano senza sosta, sotto una forma di ipnosi. Quest’ultima viene usualmente favorita dall’assunzione di diversi tipi di droghe, che non rappresentano un’incidentalità: il loro smercio è parte integrante dell’organizzazione dei rave. Di solito questi happening dello spaccio e dello sfaccio vengono organizzati in modo riservato e avvengono tramite l’occupazione temporanea e abusiva di aree, ovvero senza la richiesta di permessi o il pagamento di una locazione. I rave party durano normalmente diversi giorni, producono diversi collassi tra i partecipanti, non di rado anche qualche morte (per overdose, disidratazione, sfinimento o altro). Con queste caratteristiche, appare chiaro che un rave party, per sua stessa essenza, comporta la violazione di una corposa lista di leggi. Cosa ha fatto la Polizia della Lamorgese di fronte a un evento di cui per altro, grazie a una soffiata, si conoscevano giorni e luogo?
Trieste come in Cile o nella Genova del G8.
«Dato l’alto numero di persone e la presenza di bimbi», ha poi riferito il ministro in Parlamento, «è stata ritenuta opportuna un’attività dissuasiva, mentre era controindicata l’azione di forza, con lo sgombero dell’area con il ricorso a idranti e lacrimogeni che avrebbero creato rischi per l’ordine pubblico e la salute». Tale “attività dissuasiva”, consistente nel “cinturare” l’area, avrebbe «impedito che il rave durasse per molti giorni e che vi partecipassero più di 30 mila persone». Nessuno in realtà sa quanto sarebbe durato: esisteva una previsione, ma in eventi del genere le indicazioni sono sempre di massima. Nessuno sa nemmeno quanta gente avrebbe partecipato: il grosso era già arrivato quando la Polizia ha “cinturato” l’area, tutto il resto sono ipotesi. Ed è dunque con le ipotesi che la Lamorgese in Parlamento cerca di trasformare un fallimento imbarazzante in un’opera di responsabilità. Qualcosa di simile si ripete qualche settimana dopo, con le manifestazioni contro il Green Pass avvenute a Roma: lì si palesano alcuni facinorosi oggetto di DASPO e appartenenti all’estrema destra, tra cui anche gente con condanne molto pesanti sul groppone. Costoro assaltano la sede della CGIL, innescando un’utile diatriba pre-elettorale su un fantomatico “ritorno del fascismo”. Nella normalità delle cose, i pregiudicati e diffidati sarebbero stati presi per le orecchie e portati lontano, invece si sono viste immagini di pattuglie di poliziotti passeggiare quietamente davanti alla sede della CGIL mentre l’ingresso veniva assaltato. Agendo come se non esistessero i telefoni cellulari capaci di riprendere immagini, poi, un poliziotto in borghese è stato beccato a infiltrarsi come agente provocatore tra i manifestanti, salvo poi svelarsi e picchiare selvaggiamente uno di loro, un ragazzo inerme finito a terra nel parapiglia.
È noto: qualche giorno fa la Lamorgese si è nuovamente presentata in Parlamento per dare spiegazioni del (non) operato delle forze dell’ordine. Dice che c’era troppa gente per agguantare gli estremisti di destra, i pregiudicati e i diffidati. La polizia della Lamorgese soffre insomma di attacchi di panico, ha la fobia della folla. Come ne vede una, si paralizza, fa “cintura”, scorta i malintenzionati e non interviene. Resterà negli annali poi la giustificazione trovata per il poliziotto infiltrato, ripreso a partecipare al tentativo di rovesciare un furgone della polizia: «verificava la forza ondulatoria scaricata sul mezzo» ha detto, tentando di prendere per i fondelli tutti gli italiani e i suoi rappresentanti, ma soprattutto battendo di fatto il record fino a quel momento saldamente in mano al berlusconiano “Ruby nipote di Mubarak” a pari merito con il tunnel del Cern fino al Gran Sasso della Gelmini. Ma non è tutto: la Lamorgese è stata chiamata anche a rispondere dei fatti di Trieste, dove la polizia ha caricato e disperso con manganellate, lacrimogeni e idranti una folla pacifica di dimostranti, con anziani, bambine, donne e uomini seduti o a braccia alzate. «Il sit-in era degenerato», ha riferito in Parlamento. Le immagini parlano chiaro: a parte forse un po’ di buona grappa, tra i manifestanti circolavano rosari, parole, slogan, baci, niente di più. Eppure “in nome della legge” sono stati violentemente sgomberati. Il principio utilizzato per il rave party di Viterbo («era controindicata l’azione di forza, con lo sgombero dell’area con il ricorso a idranti e lacrimogeni che avrebbero creato rischi per l’ordine pubblico e la salute») per i manifestanti di Trieste all’improvviso non vale più. Avessero organizzato un rave invece di un sit-in, non avremmo visto una donna incinta col naso spaccato da una manganellata, lacrimogeni nel cortile di una scuola, bambini che non riescono a respirare per il fumo. Non avremmo visto uno scenario cileno o da G8 di Genova creato attorno a una folla pacifica che per di più non creava disagi.
L’incubo di tante Luciana Lamorgese al comando.
Sul web si sono scatenati i dileggi (d’altra parte la storia della “forza ondulatoria” è già un meme di per sé) e le critiche per la Lamorgese. Più di uno ha fatto riferimento proprio al concetto di quota rosa e al fatto che questo modo delirante e per certi versi eversivo di gestire l’ordine pubblico poteva provenire soltanto da una donna. Su Twitter qualcuno azzarda: «L’imbarazzante discorso della Lamorgese dimostra, per l’ennesima volta, a cosa servono le quota rosa in politica: a sublimare la gravità di atti violenti, liberticidi e discriminatori coprendoli con un velo di ridicolo (vedi le lacrime della Fornero). Solo la donna può minimizzare come “scomposto” il comportamento di un agente di polizia che massacra di botte un inerme sdraiato a terra e tenuto fermo dai colleghi». Un’opinione dura, capace di scatenare le shitstorm più feroci, ma che però viene lasciata passare, forse perché ad esprimerla è una donna. Di fatto, però, noi non siamo d’accordo: può essere che in qualche misura il “femminile” intervenga sul piano della comunicazione, ma non incide sulla qualità delle scelte assunte. La Lamorgese è un ministro semplicemente disastroso, ma né più né meno di quanto lo fosse Angelino Alfano o altri e altre in diversi dicasteri. Costoro si distinguono per il sesso di appartenenza, dato di per sé assolutamente irrilevante, ma hanno in comune un fattore radicale: la totale mancanza di qualità nel mestiere che sono chiamati a svolgere. Gli incompetenti purtroppo esistono, in un mondo normale dovrebbe esserci un setaccio che, più si sale di responsabilità, più raffina la selezione, lasciando gli incompetenti stessi molto lontano dai vertici. Purtroppo il nostro non è un mondo normale, le maglie del setaccio sono larghissime (anzi forse il setaccio nemmeno esiste), numerosissimi gli incompetenti (uomini e donne) e i risultati si vedono. Le quote rosa servirebbero e servono solo a favorire l’incompetenza di un genere specifico e il risultato è quello di trovarsi ai posti di comando tante altre Luciana Lamorgese.