Il 25 gennaio 2021, presentando il neonato Osservatorio sul Femminicidio di Repubblica, Michela Murgia elenca diverse caratteristiche per definire un femminicidio: “donne uccise dentro a dinamiche tossiche di relazione (…) donne uccise per possessività (…) donne morte per mano di mariti ed ex mariti, compagni ed ex compagni, fratelli, padri, fidanzati lasciati o mai voluti”. Tuttavia l’elenco di 112 vittime contiene un’infinità di casi che non hanno nulla a che vedere con le definizioni di cui sopra, né con altre che nel tempo si sono succedute per tentare di definire in maniera sempre più fumosa un fenomeno – il femminicidio, appunto – che non esiste nel nostro ordinamento né come fattispecie autonoma di reato, né come aggravante. Esiste solo nella narrazione ideologica che vuole connotare il femminicidio come uccisione di una donna inquantodonna, quindi il genocidio senza motivo di soggetti che hanno la sola colpa di appartenere al genere femminile. Le definizioni narrano un’oppressione atavica, con radici storiche, antropologiche, sociologiche e “di sistema” dovute al patriarcato, alla misoginia, alla prevaricazione, alla discriminazione di genere, alle sovrastrutture culturali maschiliste e all’intreccio di tutti questi fattori.
Ogni uomo sulla Terra sarebbe avvantaggiato inquantouomo, ogni donna sarebbe discriminata inquantodonna. Ogni uomo un oppressore, ogni donna un’oppressa. Ogni uomo un carnefice, ogni donna una vittima. Ogni uomo uno stupratore, ogni donna una violentata. Su quest’ultimo aspetto circolano in rete anche dei video con slogan e balli di gruppo. Sembra una visione un tantino razzista, ma viene sciorinata continuamente in nome della democrazia, dell’uguaglianza e delle pari opportunità. Ora, per dimostrare le teorie dell’ideologia totalitaria ascoltate tante volte da più fonti e recitate da Murgia anche in video, nasce questo Osservatorio che, secondo i curatori, è frutto di accurate ricerche. Già abbiamo analizzato dettagliatamente 24 casi (in quattro articoli: 1, 2, 3, 4) cercando documentazione da più fonti su ogni singolo episodio e rilevando caratteristiche che non hanno nulla a che vedere con la discriminazione di genere. Per noi la dimostrazione della bufala era più che evidente, non era necessario aggiungere altro. Abbiamo tuttavia ricevuto tante, veramente tante sollecitazioni ad analizzare altri episodi oltre a quelli già pubblicati su questo portale. Accogliendo il suggerimento, prolunghiamo l’analisi caso per caso, sottolineando però che il fattore numerico è ininfluente, poco importa se le mistificazioni siano 50 o 30 o 10, anche un solo caso di falso femminicidio inserito nell’elenco costituisce il gravissimo indicatore della volontà di gonfiare i contorni del fenomeno.
Così nascono 112 femminicidi.
Carla Quattri Bossi – Apre con questo caso l’elenco dell’Osservatorio di Repubblica sul Femminicidio. Ma già il primo episodio coincide col primo passo falso: l’omicidio della povera Carla, 94 anni, ha un movente economico, viene uccisa per rapina da un dipendente, Dobrev Damian Borisov, 23enne bulgaro. Non c’è una relazione interrotta o un rapporto rifiutato, non c’è gelosia o patriarcato, né movente passionale, né oppressione di genere: l’assassino uccide per soldi. Curiosa la svista perché tante testate evidenziano la rapina finita nel sangue e, tra i tanti, proprio repubblica.it titola «uccise la proprietaria della cascina dove lavorava per rubarle i soldi». «Le ho detto ‘ciao nonna’» – ha messo a verbale il colpevole nell’interrogatorio dopo l’arresto – «’mi presti 10 o 15 euro’, lei non mi ha risposto e io a quel punto ho perso il controllo e l’ho spinta (…) presi i soldi sono scappato e mi sono recato in un locale, esattamente la discoteca Just Cavalli (…) spendendo i soldi con delle ragazze». Damian alla fine ha arraffato ben più dei 10-15 euro che aveva chiesto alla vittima, l’articolo non dice quanto, ma Carla è morta per consentire al suo assassino una notte brava nel locale notturno. A 94 anni era una vittima facile, i criminali da due soldi preferiscono accanirsi su chi non può difendersi. Il bastardo alla ricerca di denaro avrebbe aggredito il proprio datore di lavoro anche se fosse stato un vecchietto 90enne o un 40enne sulla sedia a rotelle, il genere non c’entra nulla. Non c’è oppressione patriarcale, gelosia morbosa o altro, c’è l’avidità di un criminale senza scrupoli. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Carla sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa del maschilismo tossico. Così nascono 112 femminicidi.
Fausta Forcina – Pasquale Forcina spara alla cugina Fausta e al marito Giuseppe Gionta, poi si suicida con la stessa arma. Il duplice omicidio ed il suicidio avvengono per un’eredità contesa, ultimo atto di aspre liti tra parenti che avanzano pretese su dei beni. Il movente è palesemente economico, l’assassino non aveva nei confronti della vittima altri rancori se non quelli legati all’eredità: non era un marito geloso, non era un padre divorziato in lite per i figli, non era un innamorato respinto. In questo caso “o mia o di nessuno” non è espressione del possesso di una donna ma di una proprietà immobiliare: se non riesco ad averla non la avrete neanche voi, al plurale. Infatti oltre al movente che ovviamente non è passionale, un altro elemento – comune a tanti altri casi presenti nell’elenco – rende impossibile catalogare l’episodio come femminicidio: l’omicidio ha vittime ambosessi. Fausta e Giuseppe vengono uccisi dalla stessa persona, lo stesso giorno, con le stesse modalità e per lo stesso motivo, tuttavia Giuseppe è vittima dell’avidità dell’assassino, mentre Fausta è vittima della discriminazione di genere. Non c’è oppressione patriarcale, gelosia morbosa o altro, c’è solo il rancore covato da un cugino che si sentiva truffato ed escluso da un’eredità. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Fausta sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione maschilista. Così nascono 112 femminicidi.
Speranza Ponti – Massimiliano Farci, il compagno della vittima, ha sempre sostenuto che Speranza si fosse suicidata e di averne “solo” occultato il cadavere per continuare ad attingere al suo patrimonio. Ovviamente non viene creduto ed è rinviato a giudizio per omicidio, occultamento di cadavere, furto, utilizzo indebito del bancomat della vittima. «Per gli inquirenti si avvalora sempre più l’ipotesi che il movente dell’assassinio sia di natura economica: la donna aveva venduto di recente l’appartamento di Genova, di cui era comproprietario l’ex marito, e aveva ottenuto una somma consistente come risarcimento da un’assicurazione». Oltre al movente economico, l’elemento più rilevante per il quale l’episodio non può essere inserito tra i femminicidi 2020 è che il delitto risale all’anno precedente (06/12/2019) mentre il 31/01/2020 è la data in cui viene trovato il corpo. Quindi il caso della povera Speranza Ponti viene strumentalizzato raddoppiandone la morte: è catalogata tra i casi del 2019 (ma non dall’Osservatorio di Repubblica, che ancora non esisteva) e di nuovo catalogata tra i casi del 2020. Così nascono 112 femminicidi
Gioies Lorenzutti – «Dramma della sofferenza ad Alessandria presso la struttura per anziani Il Gelso. Lei aveva 72 anni, il marito 79. Ha lasciato un biglietto ai parenti chiedendo scusa per il gesto (…) Giuseppe Prevignano è entrato nella camera con l’intenzione di porre fine a quelle sofferenze. Armato di pistola (la sua) ha sparato alla donna e poi ha rivolto l’arma contro se stesso». Caso analogo a tanti altri, l’ennesimo omicidio-suicidio tra anziani che vengono infilati a forza tra i femminicidi ma da anni definiamo delitti eutanasici: scaturiti cioè dal desiderio del marito di porre fine alle sofferenze della moglie anziana e malata di una patologia irreversibile e degenerativa. Nel 90% dei casi l’autore del gesto poi si toglie la vita, col proposito di non voler sopravvivere alla moglie. Altro elemento comune è una lettera con le spiegazioni del gesto: per non essere di peso ai figli, per non far più soffrire lei, per non soffrire più insieme, per una vita senza più dignità, per l’avanzare della malattia che non consente più di occuparsi l’uno dell’altra, per la solitudine, il dolore, la povertà, la disperazione. Non sono rari i casi in cui nella lettera compare anche la richiesta di essere sepolti insieme, dopo una vita trascorsa l’uno a fianco dell’altra.
Sono episodi da riconoscere come estremi gesti d’amore nel tentativo di restituire un briciolo di dignità, almeno nella morte, a una persona che la sta definitivamente perdendo a causa di malattie incurabili. Sarebbe limitato definire certe patologie solo invalidanti, dolorose e degenerative: più di tutto sono patologie umilianti per chi ne è affetto, e quando i pazienti smettono di avere percezione del mondo esterno diventano umilianti e deprimenti anche per chi di loro si occupa. Va compreso il gesto di chi non ce la fa più ad ascoltare il lamento per dolori che nessuno è in grado di affievolire, non ce la fa a veder soffrire la persona amata che vegeta in un letto, non riconosce più nemmeno i parenti, non capisce cosa accade intorno a lei, non è più autosufficiente, ha perso il controllo degli sfinteri, deve essere accudita h 24 perché è compito di altri nutrirla, somministrarle farmaci, medicare le piaghe da decubito, lavarla, sollevarla a sedere sul letto o spingerla su una carrozzina. L’ omicidio di un coniuge malato terminale non va mai giustificato né tantomeno legittimato, ma compreso si. Crediamo proprio di doverlo comprendere come lacerante ma nobile pietas. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Goies sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della persecuzione maschilista. Così nascono 112 femminicidi
Renata Berto – Marito 87enne uccide la moglie 78enne poi si suicida, entrambi malati. Polesine.it titola «Assieme per la vita, assieme per l’ultimo grande viaggio». «Secondo una lettera ritrovata dagli investigatori, firmata da entrambi, ci sarebbe la volontà di farla finita. Per non soffrire più. Un messaggio che ha sconvolto gli stessi familiari, legati ai genitori (…) Tino e Renata affronteranno l’ultimo viaggio assieme, come assieme avevano trascorso tutta la vita. I vicini, infatti, parlano di una coppia unitissima, nota per la passeggiata assieme che sempre faceva col cane di famiglia. Anche i familiari hanno parlato di una coppia che si era amata per tutta la vita, intensamente, nei momenti facili come in quelli difficili». Vale quanto scritto per il caso di Gioies Lorenzutti: è una grave mistificazione farlo passare per un caso di oppressione di genere. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Renata sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della mascolinità tossica. Così nascono 112 femminicidi.
Rosa Sanscritto – Pietro Maroli, 84 anni, uccide la moglie Rosa, 80 anni, poi si suicida lanciandosi dalla finestra. Il Secolo XIX intervista il geriatra Ernesto Palummeri (consulente della Regione per i problemi della terza età) e lo psichiatra e criminologo Marco Mollica, consulente del Tribunale e dirigente medico della Clinica psichiatrica del San Martino: «tragedia della depressione». È inutile ripetere ancora che gli omicidi-suicidi tra ultraottantenni non sono certo dovuti al patriarcato, alla gelosia, eccetera. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Rosa sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della mascolinità tossica. Così nascono 112 femminicidi.
Irma Bruschetini – 97 anni, immobilizzata a letto da anni, il marito la uccide e si suicida lasciando in un biglietto l’ultima volontà: essere seppelliti vicini. «Era lui che si occupava di tutto, cucinava, faceva la spesa, la curava, sempre accanto alla moglie che non usciva da anni, sono stati uccisi dalla solitudine dicono i vicini». Come Gioies Lorenzutti (24/1/2020, Alessandria), come Renata Berto (14/2/2020, Rovigo), come Rosa Sancritto (16/2/2020, Genova), come Elisabetta Ugolini (19/1/2020, Certosa – GE), come Letizia Fasoli (30/5/2020, Bardolino – VR), come Morena Designati (24/6/2020, Palazzo Pignano – CR) , come Ida Creopolo (27/6/2020, Filottrano – AN), come Giuseppina Picciau (21/8/2020, Quartucciu – CA), come Silvana De Min (27/10/2020, Bolzano), come tanti altri casi precedenti, ma veramente tanti. Però è utile specularci sopra e lasciar credere che Irma e le altre sarebbero state uccise inquantodonne. O meglio, per dirla con la Murgia, «donne uccise dentro a dinamiche tossiche di relazione, donne uccise per possessività». Così nascono 112 femminicidi… Tanto chi andrà a controllare?
Gea Gualtieri – Tra gli assassini che avrebbero commesso un femminicidio c’è perfino il caso di Gualtiero Gualtieri, un genitore 74enne malato oncologico terminale, suicidatosi con i gas di scarico dell’auto insieme alla figlia Gea, disabile al 100% della quale si occupava dalla nascita, che non poteva lasciare sola dopo la propria morte.
Ylenia Bonavera – Uccisa con una coltellata alla schiena, si grida subito al femminicidio. Che l’assassina sia una donna si viene a sapere solo in seguito, quando gli inquirenti acquisiscono un filmato che riprende Daniela Agata Nicotra, 34 anni, mentre sferra la coltellata mortale. Diversi testimoni riferiscono aspre liti tra le due nei giorni precedenti all’aggressione, ma non è subito chiaro il motivo. Poi le indagini fanno chiarezza: «Motivi sentimentali. Questa sarebbe, secondo la ricostruzione emersa dalle indagini, la miccia che ha acceso la lite tra Daniela e Ylenia (…) la donna è quindi accusata di omicidio volontario aggravato da una precedente relazione affettiva». Secondo gli inquirenti il movente è la gelosia per una relazione interrotta, il delitto nascerebbe dal rancore covato per l’abbandono. Ma l’episodio resta catalogato tra i delitti con movente di genere, Ylenia sarebbe vittima del patriarcato, uccisa inquantodonna in un Paese irrimediabilmente maschilista. O, come dice Murgia: «donne morte per mano di mariti ed ex mariti, compagni ed ex compagni, fratelli, padri, fidanzati lasciati o mai voluti». Così nascono 112 femminicidi.
Monica Diliberto – La strage del 31 gennaio a Mussumeli registra tre decessi: la madre, la figlia e l’ex amante della madre che dopo aver ucciso le due donne si toglie la vita. Il movente passionale è verosimile per l’uccisione della madre, assassinata dall’ex che non accettava la separazione. Una morbosa sensazione di possesso – ipotizzano gli inquirenti – può avere armato la mano dell’assassino. Nulla di tutto questo è invece valido per la figlia, il movente non è passionale e non può essere ricondotto né alla mancata accettazione della separazione, né alla gelosia morbosa, né al possesso maschilista, al patriarcato, eccetera. Semplicemente la sfortunata ragazza si è trovata nel posto sbagliato e nel momento sbagliato, l’omicida ha fatto strage di chiunque fosse in casa compreso se stesso, nessuno può escludere che la figlia sarebbe stata uccisa anche se fosse stata un figlio, un nipote, uno zio. Infatti le cronache riferiscono che «l’altro figlio di Rosalia si è salvato dalla strage perché non era in casa». Quindi nonostante la seconda vittima sia una donna, l’oppressione di genere non può essere il movente. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi se fosse stato un ragazzo sarebbe stato risparmiato, invece Monica è stata uccisa inquantodonna a causa delle sovrastrutture patriarcali. Così nascono 112 femminicidi.
Emanuel Alves Rabacchi – 48 anni, «transessuale noto come Manuela nel giro dei siti di appuntamenti a luci rosse», dice Il Giorno. A prescindere dal fatto che la vittima all’anagrafe fosse un uomo, che l’assassino avesse problemi psichici e che il giorno dell’omicidio avesse assunto sia alcol che droga, il delitto ha un movente economico: lite per diverse prestazioni non pagate e un debito accumulatosi che l’assassino non voleva saldare. Cristian Losso, bancario 42enne, temeva che Manuela esigesse il credito tramite ricatto, minacciando di rivelare le sue perversioni sul posto di lavoro. Movente economico dicono gli inquirenti, tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Manuela sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa dell’oppressione patriarcale. Così nascono 112 femminicidi.
Jannatan Natia Billal – Billal Miak, padre bengalese, in un raptus di follia tenta di uccidere entrambi i figli, un maschio e una femmina, poi nel suo delirio esce nudo in strada, sporco di sangue e con un grosso coltello in mano (un machete, dicono i testimoni), voleva uccidere ancora, senza un motivo, infine si getta in un pozzo. Il maschietto riesce a sopravvivere ma la femminuccia muore. Il femminicidio quindi si configura esclusivamente in base al genere della vittima, a prescindere da movente, contesto familiare e modalità omicidiarie che sono identiche per entrambi i bambini.
Elena Bressi – Mario Bressi, in via di separazione dalla moglie, uccide i due figli e poi si suicida lanciandosi da un cavalcavia. Ha ucciso indifferentemente Diego ed Elena, senza distinzione di genere, la follia omicida lo avrebbe spinto ad uccidere e uccidersi anche se avesse avuto due figli maschi. Nel suo delirio ha ucciso i figli per non separarsi più da loro, quindi per un eccesso d’amore patologico. Però quando ha ucciso il Diego lo ha fatto per restare in eterno insieme a lui, quando ha ucciso Elena lo ha fatto per oppressione di genere. Quindi per Diego è dramma della follia, Elena invece è stata uccisa inquantodonna ed è femminicidio.
Aurora Accastello – Strumentalizzazione analoga ai casi precedenti: quando muoiono due figli la morte della bambina è femminicidio. Strage familiare compiuta da Alberto Accastello che uccide la moglie, i due figli, il cane e poi si suicida. Può essere catalogata come femminicidio l’uccisione della moglie, non quella dei figli. La moglie è parte attiva nella separazione che Alberto ha vissuto come un dramma inaccettabile, mentre la separazione dai figli – ancora più inaccettabile – non può essere imputata ai figli stessi. Accastello ha ucciso indifferentemente i gemelli Alessandro ed Aurora, senza operare distinguo in base al genere. Però quando ha ucciso Alessandro lo ha fatto per annientare l’intera famiglia e annientarsi, quando ha ucciso Aurora lo ha fatto per oppressione patriarcale. Il padre assassino uccide il figlio perché è un dramma della follia, invece uccide la figlia perché odia le donne. Così nascono 112 femminicidi.
Francesca Calzarotto – Alessandro Pontin, padre separato, si suicida dopo avere ucciso i due figli, un maschio ed una femmina. Come sempre la bambina viene inserita negli elenchi dei femminicidi, ma questa volta col cognome materno. È sorprendente la forzatura operata sistematicamente quando dallo stesso episodio scaturiscono vittime ambosessi, tale forzatura si verifica in 6 episodi del 2020, 4 bambine e 2 donne adulte vittime di omicidi plurimi: l’assassino è lo stesso (quadro clinico compreso), il movente è lo stesso, l’arma è la stessa, è lo stesso anche il contesto familiare nel quale il dramma matura. Però la motivazione del gesto criminale si sdoppia in base al genere delle vittime: gli uomini, adulti e bambini, possono essere uccisi per motivi economici, per un disturbo mentale dell’assassino, per un delirante desiderio di rimanere uniti anche oltre la morte … per le donne invece la pulsione omicida prescinde dai fatti ed è sempre l’uccisione inquantodonna. Così nascono 112 femminicidi.
Paola Maria Gaglione – Ragazza deceduta per una tragica fatalità: Michele Gaglione, il fratello di Paola Maria, tampona lo scooter sul quale viaggiano lei e il fidanzato Ciro Migliore. L’obbiettivo è proprio il fidanzato: dopo aver provocato l’incidente Michele si scaglia su di lui per picchiarlo e minacciarlo, vuole che interrompa il rapporto con la sorella. L’intento, anche se con modalità delinquenziali, è quello di proteggerla, non certo di ucciderla. Tutta la famiglia di Paola Maria è seriamente preoccupata, vogliono proteggerla da una relazione malsana poiché la ragazza si è legata ad un giovane malavitoso che solo incidentalmente è anche transgender. Il problema non è il passato di Ciro che nasce come Cira, ma l’attività di spacciatore che lascia intuire prospettive di arresti, galera, sofferenza, precarietà, probabilmente anche tossicodipendenza; un futuro che nessuna famiglia vorrebbe per i propri figli. Ma tutti i media accusano Michele di femminicidio e omotransfobia, in un periodo dove si parla molto della legge Zan. Michele invece nemmeno si accorge che Paola Maria cadendo ha battuto la testa ed è morta. Di fatto è l’esito tragico ma involontario di un incidente stradale, anche se provocato. Però viene conteggiato come femminicidio, uccisione di una donna inquantodonna. Episodio già analizzato a fondo. I più recenti sviluppi confermano i timori della famiglia: Cira alias Ciro viene arrestato per spaccio; era questo, non altro, il rischio rivelatosi estremamente concreto dal quale Michele Gaglione intendeva proteggere la sorella. Voleva proteggerla da un pericoloso deficit di lungimiranza, non voleva assassinarla. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Paola Maria sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa delle sovrastrutture patriarcali. Così nascono 112 femminicidi
Marcella Boraso – «Lei si rifiuta di dargli i soldi per le sigarette, lui la uccide. Il movente? Gli inquirenti ipotizzano che la donna abbia rifiutato di consegnare dei soldi e non escludono che l’aggressore fosse sotto l’effetto di benzodiazepine trovate in casa dell’indiziato». Wail Boulaied, 23enne di origine marocchina, uccide Marcella, 60 anni, nel corso di una lite per farsi dare del denaro che lei gli rifiutava. Movente economico, l’assassino non era un marito geloso né un amante lasciato o uno spasimante rifiutato. Tuttavia l’episodio figura nell’elenco dei femminicidi quindi Marcella sarebbe stata uccisa inquantodonna, a causa della discriminazione di genere. Così nascono 112 femminicidi.
Agitu Ideo Gudeta – Chiudiamo con l’ultimo episodio del l’elenco 2020. Esule etiope divenuta piccola imprenditrice di successo in Italia. Viene rinvenuta morta il 22 dicembre a Frassilongo ma le indagini non servono a nulla, i media hanno già pronta la soluzione del caso: femminicidio con l’aggravante dell’odio razziale. I social si riempiono di condanne per la società italiana, i media insistono nel citare una denuncia del 2018 sporta dalla donna contro un 50enne italiano per stalking, lesioni e minacce a sfondo razzista. «Una vittima di discriminazione razziale e stalking», testuale. Salvo poi dover riconoscere che si trattava di una lite come tante tra vicini, l’uomo era stato condannato per essere venuto alle mani con un dipendente di Agita originario del Mali, non con Agita stessa, e assolto sia dal reato di stalking che dall’aggravante razzista. Però come capita spesso gli accertamenti giudiziari non hanno peso, ciò che conta è solo scrivere che era stata presentata denuncia per reati che automaticamente diventano certi ed indiscutibili a prescindere da cosa dicano le indagini ed i processi. C’è persino chi ha scritto che nel condannare il 50enne per il diverbio col casaro maliano i giudici lo avevano assolto dallo stalking verso Agita poiché il reato era “caduto nel dimenticatoio”, testuale. Quindi una distrazione, una svista, non l’accertamento in sede giudiziaria dell’insussistenza delle accuse.
Le accuse sono fondate per il solo fatto di essere state formulate, se non arriva la condanna la colpa è per forza dei giudici che non hanno capito niente, o si sono dimenticati, o hanno valutato male, o forse sono più razzisti del razzista che dovevano obbligatoriamente giudicare colpevole. Ecco che la persona condannata nel 2018 per una lite col dipendente diventa il principale indiziato per l’omicidio due anni dopo della datrice di lavoro. Indiziato per gli inquirenti ma soprattutto per i media ed i social, che hanno già trovato il colpevole. Femminicidio, bisogna rieducare gli uomini italiani. Poi confessa l’assassino ma non è il 50enne di cui sopra e non è nemmeno italiano, inoltre il movente è economico: l’aggressione nasce per rivendicare uno stipendio non pagato. Non cambia nulla, i pregiudizi ideologici sono profondamente radicati, lo stigma sul carattere ossessivamente nazionale dell’oppressione di genere è inamovibile. Gli italiani devono essere rieducati perché il nostro è proprio un Paese che odia le donne. Qui uno dei tanti commenti sul web.
In conclusione ripetiamo lo stesso principio espresso negli anni precedenti: il lavoro di approfondimento non significa negare i femminicidi (fattispecie per altro ancora indefinita), che purtroppo esistono e vanno duramente condannati, ma stornare i falsi femminicidi, le letture ideologiche, le forzature, le strumentalizzazioni, il che è cosa molto diversa. Anche una sola vita persa a causa della gelosia morbosa è intollerabile, ma dobbiamo chiederci per quale motivo nel calderone del femminicidio finisca di tutto e i casi reali vengano raddoppiati. Cui prodest scelus, is fecit.