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Quella di Roberto Pauluzzi è una storia tragica, come quella di molti uomini e padri. Qualcuno, dopo anni di battaglie devastanti, riesce a ritrovarsi ancora in piedi, altri, moltissimi, non ce la fanno. Roberto fa parte di questi ultimi. Sono così tanti e con storie tutte così simili che raccontarle rischia quasi di essere ripetitivo. Eppure in questo caso c’è qualcosa di diverso, di oscuro, ed è per questo che abbiamo deciso non solo di occuparcene nel presente articolo, ma di dedicare a Roberto Pauluzzi tutti gli articoli pomeridiani della settimana. Questo perché l’intero arco della vicenda di Roberto Pauluzzi è la perfetta rappresentazione di quanto conti oggi in Italia la vita di una persona di sesso maschile, ancor più se padre.
Roberto Pauluzzi viveva a Udine, ma per lavoro era spesso in viaggio all’estero. Dopo aver condotto per anni un negozio di riparazioni di elettrodomestici e un internet point, aveva trovato di recente un impiego come tecnico presso la Danieli, una grande multinazionale con sede a Udine. Nel 2004 si era sposato con una donna tailandese, già separata e con una bambina nata dal matrimonio precedente, che Roberto aveva accolto come fosse stata sua figlia. «Pensavo allora», ha lasciato scritto, «che la sensibilità delle donne tailandesi fosse interessante e soprattutto pensavo che il loro sorriso nascondesse un carattere solare». C’è del rammarico in queste righe perché poco tempo dopo il matrimonio la moglie mostra segni di insofferenza. Un assiduo frequentatore della loro famiglia raccoglierà poi lo sfogo della donna: troppi sacrifici economici, si aspettava più benessere venendo in Italia. Un benessere che Roberto non le garantiva, sollecitandola anzi, inutilmente, a contribuire al bilancio familiare. La nascita della figlia Asia, nel 2008, non sembra aiutare e, come spesso accade, Roberto finisce per trasferire sulla piccola tutto l’amore che sa dare. Constata il graduale disfacimento della prospettiva coniugale e porta ogni sua energia affettiva sul ruolo paterno. Per lui Asia è tutto, è la vita.
Una lotta giudiziaria sfiancante.
Poco dopo la nascita della piccola, avviene la rottura. Roberto non si sorprende di scoprire che la moglie lo tradisce, per di più con un uomo che si scoprirà poi essere anch’egli dipendente della “Danieli”. Ingoia il rospo, con fatica, ma lo ingoia. Anche perché il suo faro rimane Asia: fa di tutto perché la separazione non lo estrometta dal suo rapporto con la figlia, ma l’ex moglie accende la macchina del conflitto, sostenuta dal nuovo compagno e da un grosso avvocato della città per il quale aveva lavorato come domestica. Così per lo meno sostiene Roberto in ciò che ha lasciato scritto: «avevo un nemico e non un legale di controparte», dice commentando il processo di separazione, che inizia nel febbraio 2010 e che definisce «una continua battaglia di Davide contro Golia», dove però, evidentemente, a vincere stavolta è stato il gigante. Secondo Roberto, la sua ex moglie mirava soltanto alla cittadinanza italiana e anche a questo scopo si era giostrata con scaltrezza nelle varie udienze per la separazione. Una volta ottenutala, sarebbe poi passata all’assalto delle sostanze dell’ex marito.
L’ex moglie e il suo nuovo compagno, secondo Roberto, erano infatti «a caccia di danaro e dei miei beni». Sì, perché Roberto, dopo un lungo periodo in bilico sulla soglia della povertà, grazie all’impiego alla Danieli se la passava sorprendentemente bene. Tanto da riuscire ad acquistare una bellissima villa in Messico, che pare abbia intestato alla figlia Asia, e da essere, così si dice, intestatario di un corposo conto bancario in Romania. Non è chiaro come riuscisse a fare tutto quel denaro: le informazioni carenti sul suo impiego non aiutano a capire. Ad ogni buon conto la strategia per estrometterlo dai rapporti con Asia e per spennarlo pare sia stata la solita: nell’aprile del 2010, poco dopo l’inizio della procedura di separazione, Roberto viene accusato dall’ex moglie di molestie sessuali sulla figlia di primo letto. Un’accusa infamante, che getta Roberto nella disperazione e in una lotta giudiziaria sfiancante. Dopo un esame degli atti secondo lui superficiale e ideologicamente orientato, il procedimento termina con una condanna sia in primo che in secondo grado. Roberto non ci sta, nessuno tra coloro che lo conoscono crede che sia colpevole e anche questo sostegno lo spinge a ricorrere in Cassazione.
Nessun inquirente si è fatto avanti.
Roberto però non vedrà l’esito dell’esame da parte degli Ermellini, su cui peraltro nutriva pochissima fiducia. Il 4 di marzo è stato trovato morto davanti al Teatro Nuovo di Udine. Il suo ultimo post su Facebook sa di addio, così come l’ultimo post del suo blog, che è poi la fonte da cui abbiamo tratto tutte le citazioni dirette. Eppure i media parlano di “morte naturale”, di «corpo trovato senza vita», come se fosse spuntato così, un fungo insignificante presso il muro del Teatro Nuovo. Fosse stato un corpo di donna si sarebbe mossa anche l’FBI e Bruno Vespa ci farebbe le prossime dieci puntate di “Porta a porta”, con tanto di plastico. Esageriamo? No. Basti vedere con quanto feroce accanimento si stia cercando di incriminare l’ex fidanzato di Carlotta Benusiglio, impiccatasi a Milano nel 2016: inquantodonna deve per forza essere stata uccisa da un uomo e per dimostrarlo si muove un esercito di giudici, investigatori e periti. Invece per Roberto non si muove nessuno: una rapida sepoltura e una manciata di righe su un sito locale, con la curiosa e frettolosa precisazione per cui «non ci sarebbero responsabilità a carico di terze persone nel decesso».
Solo oggi, cinque ore dopo la pubblicazione di questo articolo, ci sono stati fatti pervenire materiali che fanno chiarezza sulla morte di Roberto: si è impiccato proprio davanti al Teatro Nuovo, ai piedi di una telecamera di sorveglianza (foto a destra). A trasmetterci le prime impressioni sull’accaduto sono state persone che ci hanno contattato in privato e che ci hanno chiesto rassicurazioni di non nominarli. C’è tanta tanta inspiegabile ritrosia in chiunque accetti di raccontarci qualche scampolo di questa vicenda. Non è chiaro se sia il carattere riservato tipico dei friulani o qualcosa di altro a serrare le labbra di tutti rispetto ai dettagli di quanto accaduto. Di fatto, al di là di qualche informazione generica, tutti zitti.
Tutti zitti e e anche tutti fermi, nonostante i numerosi lati oscuri della vicenda messi in luce dal suo blog. Impostato come uno strumento di dialogo con quella figlia che non aveva più il permesso di vedere, esso apre uno squarcio chiarissimo su come funzionino le cose per gli uomini che finiscono nel tritacarne del sistema separativo italiano. In quei post indirizzati ad Asia, Roberto fa nomi e cognomi e racconta tutto, sebbene con garbo e mai con rabbia. Ma soprattutto ai suoi post aveva allegato una corposa documentazione: stampe di email e documenti processuali, tutti messi a disposizione su una pagina dedicata. Roberto li aveva caricati perché al loro interno, diceva, c’era la prova della sua estraneità alle accuse mossegli dalla figliastra per tramite dell’ex moglie, e chi ha avuto modo di leggerli lo conferma. Quei documenti però sono magicamente tutti scomparsi, ancora non si sa se il giorno stesso della sua morte o se il giorno dopo. Il giorno prima ancora c’erano. Né si sa se la rimozione sia stata dovuta alla decisione di un’autorità (la Polizia Postale), che però a quel punto avrebbe tirato giù l’intero blog e non solo gli allegati, o all’iniziativa di un terzo estraneo. Fatto sta che è tutto sparito dal blog. Una mano anonima, tuttavia, ce li ha fatti pervenire nella loro interezza. Si tratta di 1,73 gigabyte di documenti che Roberto aveva precisamente datato e classificato e che raccontano nei minimi dettagli tutta la sua vicenda.
La storia di Roberto Pauluzzi non finisce qui.
Non un giornale, nemmeno tra quelli locali, ha menzionato la morte di Roberto come un suicidio e nessuno si appresta a un’analisi dettagliata della documentazione che era presente nel suo blog. Alla fine si tratta soltanto di un uomo, di un padre morto dopo essere stato torturato per anni. Che sarà mai? Non è mica un “femminicidio”, non scherziamo. Eppure a nostro avviso sarebbe necessario riesaminare tutta la vicenda e capire cosa ha spinto Roberto a un gesto così estremo. Noi, per parte nostra, non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo improvvisarci investigatori o criminologi. Qualche idea precisa l’abbiamo, alla luce di ciò che stiamo leggendo nella corposa documentazione lasciata da Roberto. Il nostro dovere è dare visibilità alla sua storia, così perfettamente emblematica di cosa sia un uomo, un padre, quale calvario atroce comporti avere quelle qualifiche oggi in Italia e quale indifferenza si riceva da morti. Ci è stato riportato che la sua vicenda è stata segnalata a “Il Messaggero”, quello che ha la sezione femminista “Mind the Gap”, per intenderci. La risposta del quotidiano pare sia stata: «non ci interessa pubblicare nulla di tutto ciò». Che sorpresa…
Per questo motivo nel corso di questa settimana ripubblicheremo giorno dopo giorno i post che Roberto aveva scritto per sua figlia sul suo blog, accompagnandoli anche con alcuni suoi post pubblicati su Facebook. Nel frattempo ci addentreremo nell’enormità dei documenti che ha lasciato, e quando avremo un quadro chiaro di tutto, torneremo sulla vicenda, sicuramente con un articolo, forse anche con qualcosa di più. Vedremo. In ogni caso decidiamo deliberatamente di dare la massima visibilità possibile ai suoi pensieri d’amore per Asia, ora 11enne, orfana di un padre molto probabilmente indotto al suicidio da un sistema cieco e spietato. Dunque la storia di Roberto Pauluzzi non finisce qui, ma continua con ulteriori dettagli nei prossimi giorni. Intanto aiutateci a diffonderla.