Con lo stesso tono di Benigni quando parlava di Sgarbi nel ’95 (“oh, vieni a vedere, c’è uno strano”) un mio amico tutto agitato mi fa: «oh, vieni a vedere, in questa e in quest’altra università stanno cominciando a fare corsi di teorie di genere e queer». Ero preparato, prima o poi doveva accadere anche questa. Semmai mi ha sorpreso che a fare da apripista non siano state le solite Bologna o Milano ma l’insospettabile Sassari, su cui non avrei scommesso un soldo bucato. Insomma, per la serie “fuffa che i contribuenti non vedono l’ora di pagare”, l’ateneo sassarese si è assicurato, primo in Italia, degli indispensabili corsi di “teorie di genere e queer”. La teoria gender, ma dai, e io che pensavo che non esistesse.
Inizia tutto a Sassari, quindi, dove si recluta gente per prendere uno stipendio da ricercatore, per fortuna a tempo determinato, per “insegnare” ‘sta roba. Parliamo di gente con curricula mirabolanti, zeppi di traduzioni di opere altrui e di una prestigiosa produzione pamphlettistica sulla scia di gigantesse del pensiero tipo Valerie Solanas o Judith Butler, ad esempio. Per chi non le conoscesse, sono soggetti che spacciando fuffa si sono pagate non solo il mutuo ma anche la vasca a idromassaggio devastando le menti di migliaia, se non milioni, di adolescenti, inventandosi per prime o tra le prime tutte quelle puttanate che tanto ci rallegra leggere sui social, tipo che il “genere” non corrisponde al “sesso biologico”, o meglio ancora “assegnato alla nascita”. John Money a quanto pare non era bastato.
Il 30 facile facile.
Questo è quello che inevitabilmente succede quando non si sgombera da subito il terreno dal fatto che queste minchiate abbiano anche la benché minima plausibilità dal punto di vista delle fondamenta teoriche, come ammettere la possibilità che il sesso possa essere “assegnato alla nascita” per un puro arbitrio e non invece determinato al concepimento e riconosciuto alla nascita, se non prima. È curiosa la corrispondenza tra l’adesione a queste boiate “woke” e la manifestazione di comportamenti e pensieri antisociali, sicuramente è una coincidenza, ma vabbè, se uno, sulla base di queste stronzate, si “percepisce” una donna, perché il “genere” è un “costrutto sociale” e quello che hai in mezzo alle gambe non importa e probabilmente sei solo nato nel corpo sbagliato e chi non ti asseconda è un transfobico che ti odia e ti vuole morto, cosa vuoi che contino la biologia e l’evidenza dei fatti di fronte alla “percezione”?
Dopo l’apertura del “corso gender”, qualcuno si è pavoneggiato vantando non so quante megacentinaia di studenti che seguono il suo corso: ma pensa. Non vorrei citare Wanna Marchi su cosa va fatto ai “coglioni”, ma grazie al cazzo: in tutti i corsi di laurea c’è sempre almeno un esame-burla tipo l’ora di religione, quello in cui prendi il 30 che ti alza la media senza studiare un piffero, al massimo ti fai vedere qualche volta a lezione per farti ricordare dal docente, e col minimo sforzo ti sei levato un complementare.

La minoranza egodistonica.
Non si è ancora capito (o perlomeno, non l’ho capito io) chi cazzo abbia avuto l’idea demenziale di autorizzare l’accensione di questo corso. Ma è evidente che ci sono diverse pedine in campo, interessate ma pur sempre pedine, appendici narcisistiche di qualche narcisista ancora più grande che si sente le spalle molto coperte e che però non vuole saltare fuori. Comunque, per farla breve, la politica è ben felice di buttarsi a pesce sulla cosa e regalarci un po’ di karaoke: la “destra” attacca l’iniziativa e la “sinistra” quindi la difende d’ufficio. Una curiosa onorevole che non voglio manco ricordarmi chi sia, pensando di dire una cosa molto intelligente, va in giro per qualche giorno pappagallando l’articolo 33 della Costituzione, «l’arte-e-la-scienza-sono-libere-e-libero-ne-è-l’insegnamento», un po’ come le pecore della “Fattoria degli animali” di Orwell che ripetono «quattro-gambe-buono-due-gambe-cattivo» senza sapere che cazzo dicono. Gioia mia, va bene che hanno entrambi il loro perché, ma non confondiamo il cazzo col pater noster: la “scienza” è una cosa, la “pseudoscienza” è un’altra. La “libertà” di insegnamento è una cosa, il “diritto alla retribuzione” dello stesso con le mie tasse è un’altra. Ti devo insegnare proprio tutto?
Yasmina Pani mi è molto simpatica: perché è stronza quasi quanto lo sono io. Quindi, da buon fan, non ho alcuna remora ad appropriarmi senza vergogna e senza il suo permesso di un bellissimo discorso che ha fatto da poco sui corsi di “linguaggio inclusivo” (vedi sotto), che così ha liquidato: sono stronzate. Ha perfettamente ragione, e per me lo stesso vale per la fuffa gender. Cioè, rendiamoci conto che ormai siamo al punto che se parli di “trans” puoi stare parlando indifferentemente di qualcuno che prende ormoni femminili da quando aveva undici anni e non ha mai attraversato una pubertà maschile, o di un uomo che a cinquant’anni decide di mettersi la parrucca e il tailleur: come se la realtà si modificasse da un giorno all’altro per adattarsi a una piccola minoranza di egodistonici. Perché che la “identità di genere” esista è ancora tutto da dimostrare, che esistano gli organi genitali e i cromosomi no.
La scienza della fuffa.
In questa indiscriminata arbitrarietà degli “insegnamenti” che vengono imposti in questi corsi non viene insegnato alcun metodo, non viene incoraggiata alcuna riflessione critica: è così e basta. Non devi ampliare le tue vedute: devi solo prendere atto di quanto ti viene appioppato ex cathedra. Non c’è dibattito, non c’è confronto, non c’è confutazione: c’è solamente una serie di assiomi che vanno assimilati, che non puoi mettere in discussione, non puoi confutare dicendo che il re è nudo e che la biologia eccetera eccetera, perché se lo fai ci sono delle conseguenze.
La cosa non sarebbe nemmeno così grave, se solo le varie pedine la teorizzazione queer se la facessero a casa loro, senza usare l’università che è un luogo apartitico e apolitico e non può, non deve schierarsi così apertamente. Perché in tutta questa fuffa autogenerata e sempre più invasiva c’è chi ottiene posti universitari, quindi pagati con le tasse dei contribuenti e con fondi statali, e per giunta totalmente deresponsabilizzati. Chiunque “lavori” in quel campo può letteralmente scrivere e dire il cazzo che gli pare, essendo il suo ramo del “sapere” fondato sulla pura teorizzazione e inverificabile per definizione. La responsabilità della sua firma è zero: chiunque può, se gli gira, sparare teorie sceme a casaccio senza alcuna conseguenza, scrivere magari qualche articolo di gusto, inventato o personale, o qualche trattatello puramente soggettivo che userà per autocitarsi, o che gli altri consimili useranno per citarsi tra di loro; non è tenuto a citare fonti, e se lo fa sono fonti autoreferenziali e le può interpretare come gli pare.
Non asservire lo Stato all’ideologia.
Semplicemente questi vanno lì e dicono quello che pensano, senza alcuna responsabilità. È gente che ha trovato l’America ed è in costante aumento: e siccome tra i “benefit” di questa posizione c’è anche la visibilità, questi vengono pian piano invitati a congressi e convegni, e quindi guadagnano pure da quello. Sono piazzisti di false certezze, rivenditori di soluzioni sicure su scala sempre più larga, che diffondono i propri microscopici pareri personali spacciandoli per verità scientifiche. E per aggravare la cosa, queste boiate vengono prese sul serio istituzionalmente dalle pubbliche amministrazioni, comuni, università, questi corsi di pseudoscienza danno crediti formativi, contribuiscono al punteggio nelle graduatorie pubbliche, perché l’inserimento nei curriculum accademici è sufficiente ad avvalorarle di per sé.
La cattedra di “razzismo” affidata a Evola all’università di Roma nel 1939 era la legittimazione di un abominio intellettuale: nel 2025 la distorsione intellettuale di moda è il gender. Tanti da tempo gravitano attorno a questa pseudoscienza autoreferenziale fatta di invenzioni totali, concepite da gente che ha inventato un falso problema che non c’era, si è infilato in una nicchia e ha riempito un vuoto sfruttando l’onda. È come se domani qualcuno si mettesse a insegnare astrologia, lingua elfica o scienze del terrapiattismo, che peraltro esistono da molto più tempo delle teorie queer, dicendo eccomi, sono un esperto della materia, studio divinazione e pozioni magiche da anni, datemi la cattedra. Sì, sei un esperto di minchiate, di cui non frega un cazzo a nessuno. Perché, tesori miei, non è che Judith Butler, Michela Murgia e Vera Gheno fanno scienza: non funziona così. Questa non è né scienza né umanesimo: è attivismo, e tu non puoi usare lo Stato per farlo.
Via i mercanti dal tempio.
Le teorie gender sono un business, esistono per fare soldi, e non per altro. È un vero e proprio giro di affari che smuove fondi pubblici e paga stipendi e che non è per niente innocuo (“ma cosa ti toglieeehh?” “i diritti ti fanno pauraaahhhh?”): perché crea una dottrina fatta di nozioni false e antiscientifiche, segue un metodo formativo inaccettabile fatto di puro dogmatismo, fa passare per verità scientifica, lo ripeto, della emerita fuffa. Per molti si tratta di una vincita alla lotteria, ma ad essi chiediamo: non potreste cercare di arricchirvi senza gravare sui contribuenti e senza creare false coscienze? Che ne so, scorreggiando nelle bottiglie come un qualsiasi tiktoker?