L’omicidio di Ilenia Fabbri, a Faenza, è al momento un coacervo di misteri. La ricostruzione degli eventi, come si può rilevare da diversi articoli, lascia molti “buchi” e molti dubbi, non solo su come si sono svolti i fatti, ma anche sulle strade che stanno battendo gli inquirenti. Raccogliendo informazioni dai mass-media, ciò che si sa è che Ilenia Fabbri e Arianna, un’amica della figlia, erano sole in casa al momento della tragedia. Dieci minuti prima, la figlia di Ilenia, anch’essa di nome Arianna, era uscita di casa per andare con il padre, l’ex marito della vittima, a Milano per scegliere un’auto da comprare in una concessionaria. Tutto sembra insomma essersi consumato in quei dieci minuti che separano la partenza di Arianna dalla telefonata che riceve dall’amica. Terrorizzata, le dice che in casa si è introdotto un uomo e che ha sentito Ilenia urlare. Subito Arianna (la figlia) chiama la Polizia che, intervenuta, trova l’altra Arianna (l’amica) serrata in camera e Ilenia, al piano di sotto, uccisa con una coltellata alla gola. Interrogata, la ragazza rimasta in casa dice di aver sentito il tramestio e le urla di Ilenia («Chi sei? Cosa vuoi?», avrebbe gridato la donna), di essersi affacciata dalla porta della camera e di aver visto l’ombra di un uomo corpulento scendere le scale, cosa che l’avrebbe indotta a barricarsi e a chiamare non la Polizia direttamente, ma l’amica. Al loro arrivo, le Forze dell’Ordine non trovano segni di effrazione da nessuna parte, rilevano che il corpo di Ilenia, oltre al colpo mortale alla gola, presentava diverse ecchimosi sul corpo e ritrovano l’arma del delitto, un coltello da cucina, lavato sommariamente e riposto nel lavello.
La vicenda presenta molti lati oscuri sotto tre profili: la dinamica dei fatti, le scelte compiute ad oggi dagli inquirenti e il racconto che i media ne hanno fatto da domenica, giorno del delitto, fino ad oggi. Proviamo a incrociare tutti e tre gli aspetti andando in ordine cronologico. Sul piano mediatico fin da subito si è parlato di “femminicidio”, sebbene i due uomini appartenenti al circuito di Ilenia Fabbri, l’attuale compagno e l’ex marito, avessero entrambi alibi di ferro: il primo vive distante da Faenza, il secondo al momento del delitto era in auto con la figlia, in viaggio verso Milano. Al contrario dei media, gli inquirenti non seguono i diktat di Michela Murgia, dunque escludono subito il “delitto passionale”. In quei primi giorni molti organi d’informazione descrivono le due Arianne non usando il termine “amiche”, ma dicendo che erano “compagne” alcuni, altri usando il termine “amiche intime”, per alludere al loro rapporto omosessuale. Sul mistero pesa l’assenza di effrazioni alle porte e alle finestre di casa. Le ipotesi, in questo senso, sono tre: 1) l’assassino è entrato per un accesso inavvertitamente lasciato aperto; 2) l’assassino aveva le chiavi; 3) l’assassino era già in casa. Delle tre, l’ultima viene scartata dagli inquirenti, mentre gradualmente i media, rispetto alle due Arianne, smettono di parlare di “compagne” e “amiche intime”, allineandosi disciplinatamente al solo termine “amiche”, quasi che un’ordinaria relazione omosessuale fosse qualcosa da nascondere.
Denunce archiviate tre anni fa.
L’assenza di effrazioni però non è l’unico enigma. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’assassino, dopo aver raggiunto Ilenia in camera da letto e aver avuto una colluttazione con lei, durante la quale avrebbe tentato di strangolarla, la insegue per le scale fino alla tavernetta, dove la accoltella a morte. Commesso il crimine, invece di fuggire e far perdere le proprie tracce, va in cucina, lava il coltello senza troppa cura, per poi lasciarlo lì. Fatto questo, svanisce. Una dinamica che si fa fatica a considerare credibile: secondo la testimonianza di Arianna, l’ombra dell’uomo mostrava una corporatura possente. Difficile che una donna colta nel sonno possa riuscire a sfuggire a un uomo di grossa taglia determinato a ucciderla, eppure Ilenia sembra esserci riuscita. Durante la colluttazione poi, a parte quel «Chi sei? Cosa vuoi?» riportato dall’unica testimone, Ilenia non avrebbe gridato altro. Nessuna richiesta di aiuto ad Arianna presente in casa, nessun avvertimento perché si mettesse in salvo. Anche questo è poco credibile. Così come la vicenda del coltello: un assassino convinto di essere solo in casa, si prende tutto il tempo necessario per lavare con cura l’arma del delitto, oppure non lava nulla e scappa a gambe levate. La via di mezzo è, di nuovo, poco credibile. O meglio è compatibile soltanto con l’idea di un’agitazione per la messa in atto di un piano criminale premeditato eseguito in pochi minuti oppure di un delitto realizzato d’impeto, senza riflessione. Un insieme di elementi troppo inconsistenti per stare insieme. Così, a metà settimana, gli inquirenti vengono a capo del garbuglio ipotizzando un omicidio su commissione.
Questa strada viene imboccata guarda caso mentre sui media esplode una delle tante sessioni periodiche della costante campagna mediatica allarmistica sulla violenza contro le donne e sui “femminicidi”. A tutti pare inaccettabile che, a tre giorni dall’omicidio di una donna, nessun uomo risulti ancora indagato, è cosa quasi contro natura. La risposta della Procura sembra andare incontro a queste ansie e così sforna l’idea del killer prezzolato. A tenerla in piedi è soltanto il fatto che non ci siano impronte estranee in casa. L’assassino dunque ha usato precauzioni: guanti, maschera e qualunque altra profilassi per non lasciare tracce in giro. Naturalmente questa ipotesi fa sì che ogni altra impronta in giro per casa lasciata da chi ci risiedeva poco prima e durante il momento del delitto risulti automaticamente del tutto normale, dunque da non considerare. Chiaro poi che se c’è un sicario, ci sarà anche un mandante. Ed ecco che finalmente si apre la strada per il primo indagato, che non può essere che Claudio Nanni, l’ex marito di Ilenia. Nonostante l’alibi di ferro e le mille cose che non tornano nella dinamica del delitto, finisce lui nel mirino contemporaneamente degli inquirenti e dei media. Che fosse lontano chilometri dalla scena diventa irrilevante per il solo fatto che tre anni prima (tre anni prima!) era stato denunciato per maltrattamenti da Ilenia, con il supporto di un centro antiviolenza. Denunce tutte archiviate (ar-chi-via-te), come capita al 50% circa delle denunce femminili di violenza a carico degli uomini, specie se ex, specie se presentate dietro istigazione di un centro antiviolenza. Tra i due restava soltanto un contenzioso di tipo patrimoniale, questioni di qualche manciata di decine di migliaia di euro che lei pretendeva per presunte collaborazioni nell’azienda di famiglia e per cui era già stata fissata un’udienza.
Meglio un “probabile femminicidio” che una verità scomoda.
Niente o poco di significativo, insomma, ma tanto basta per rendere irrilevante l’alibi dell’uomo, che finisce, lui solo, nel registro degli indagati, mentre le altre tre persone coinvolte, l’attuale compagno di Ilenia e le due Arianne, escono ufficialmente dal novero dei sospettati. Nel momento in cui scriviamo, le Forze dell’Ordine (e con loro ovviamente anche i media) stanno rivoltando come un calzino la sua vita, i luoghi dove vive e lavora, per trovare una prova del suo coinvolgimento quale mandante nell’omicidio dell’ex moglie. Un omicidio, secondo le bizzarre ipotesi degli investigatori, concepito dopo ben tre anni dalla separazione e per evitare una banale causa di lavoro. Un omicidio che a questo punto sarebbe stato concepito fuori dalla prassi solita: l’uomo, invece di provvedere in prima persona alla soppressione della ex moglie, avrebbe adottato la tecnica tipicamente femminile, quella di assoldare un bruto per fare il lavoro sporco, per altro senza avvisarlo che in casa c’era pure un’altra persona che avrebbe potuto vederlo e intervenire o testimoniare. E mentre gli investigatori abbracciano questa ipotesi lunare, sui media è una standing ovation: la notizia della messa sotto indagine dell’uomo viene riportata a reti unificate. Sotto gli articoli nei siti delle testate e sui social network si alza un coro unanime di commenti, antichissimo nella sua ferocia: crucifige! crucifige! crucifige! Un boato assordante, che sembra voler dettare la linea agli inquirenti, ma soprattutto che dà la giusta copertura ai mass media per far scivolare qua e là piccole modifiche nelle loro cronache, specificando fatti che prima stranamente non avevano ritenuto di dover specificare. Negli articoli più recenti appare un po’ ovunque, ad esempio, la precisazione che le due Arianne avessero ottimi rapporti con Ilenia. Ma sono incisi buttati lì quasi distrattamente, in mezzo a ricostruzioni atte a colpevolizzare e demonizzare Claudio Nanni, solide come un castello di carte fatte di burro, ma raccontate come se fossero di cemento armato.
Abbiamo ritenuto di fare il punto su questa vicenda perché essa fa parte del trittico di vittime femminili che è stato di recente sbandierato da associazioni femministe, politici e mass-media come prova della “emergenza femminicidio” in Italia, essendo avvenuto a poca distanza da altri due fatti di sangue: l’omicidio di Piera Napoli a Palermo e quello di Luljeta Heshta a Milano. Ma mentre il primo è a tutti gli effetti, per stessa ammissione dell’autore, un delitto passionale (l’assassino è stato mosso da gelosia), il secondo è un banale, per quanto tragico, delitto di malavita, che i mass media, come abbiamo raccontato qui, nel giro di poche ore hanno trasformato obbedientemente in un “femminicidio” con tutti i crismi. È troppo importante per l’industria dell’antiviolenza, specie ora che forse si può davvero agguantare il Recovery Fund, poter sbandierare un precedente che suoni come “tre femminicidi in 24 ore”, ed ecco che dopo aver ottenuto la manipolazione della notizia sulla povera Luljeta Heshta, ora è in piena funzione la macchina tentacolare per piazzare, nonostante le evidenze, l’etichetta di “femminicidio” anche sull’uccisione di Ilenia Fabbri. È una macchina che marcia a pieno ritmo, visto il graduale e visibilissimo cambio di narrazione fatto dai media, ma visto anche il cambio di pista da parte degli inquirenti, che si indirizzano disciplinati là dove chi può ciò che vuole ha ordinato che si dirigano. Un gioco delle parti già visto per il caso della prostituta albanese uccisa a Milano, grazie al quale ora l’ex marito di Ilenia è probabilmente fritto. E se per caso riuscirà a uscire dalla padella del capro espiatorio dove è stato ficcato, piuttosto che andare a fondo si lascerà il delitto insoluto, in modo da poterlo conteggiare comunque nel novero come “probabile femminicidio”. In ogni caso meglio così che niente. Meglio così che la verità. Specie se è una verità scomoda.