di Giacinto Lombardi. È fastidioso, angosciante, doloroso il successo in Francia del libro “Io gli uomini, li detesto”. Leggere frasi come: “se sei un uomo puoi darmi tuoi soldi, (li prendo io, non preoccuparti) puoi anche stare zitto e imparare alcune cose che le donne della tua vita non hanno avuta la forza di insegnarti”, inquieta e costringe a reagire. Pauline Harmange, autrice venticinquenne del libro scandalo, elogia la misandria come possibilità di un’esistenza libera e felice. Forse anche gli uomini stessi possono essere felici, ma solo se accettano di odiare gli uomini. Provi malessere a sentirti dire certe cose ma, forse, a pensarci bene, ha ragione lei, bisogna imparare a odiare, a cominciare da se stessi. Odiarsi, rinnegare se stessi, disprezzarsi come i mistici del Medioevo, rende liberi. Liberi dal desiderio, dal bisogno, dall’illusione di felicità che viene dall’altro, dal bisogno di approvazione. Liberi da tutto, liberi di vivere, liberi di morire, liberi dalla sofferenza che ti possono provocare certi libri.
Odiare e sorridere, odiare ed essere gentili, odiare e donare, odiare ed accogliere, odiare e non farsene accorgere, odiare di un sentimento puro, disinteressato e commisurato al torto subito, e nello stesso tempo amare ma essere pronti a reagire all’astio, alla calunnia e all’odio altrui. Odiare ma soprattutto pentirsi. Lo stadio etico è esaurito, chi ha combattuto per Dio, Patria e Famiglia è chiamato assassino, l’uomo che ha mantenuto la famiglia da solo credendo di preservare la moglie dal duro lavoro è accusato di averla “relegata a casa”, la società che prepensiona le donne pensando di favorirle, è accusata di escluderle dal piacere di lavorare. Tutto ciò che si fa pensando di fare del bene può essere rigirato a tuo sfavore proprio da chi ne ottiene il beneficio. La “Matria” ha ucciso l’eticità che deve guidare le leggi dello Stato. È tempo di pentirsi in modo profondo e radicale, sganciarsi dalla morale corrente e dare conto soltanto al proprio Dio.
L’eroismo non più alla portata degli uomini.
Il pentirsi di Catullo e del suo infantile bisogno di essere baciato, quello di Marco Antonio e della sua folle passione per la perfida Cleopatra. Quello di Jacopone da Todi che chiede a Maria ai piedi della croce di soffrire al suo posto per poterla consolare: “Eia, mater, fons amoris, me sentire vim doloris fac ut tecum lugeam (Oh, Madre, fonte d’amore, fammi provare lo stesso dolore perché possa piangere con te). Il pentirsi di Guinizelli, che paragona la donna agli angeli e vede l’uomo innamorato come il docile servo il cui unico desiderio è di obbedirle. Il pentirsi di Dante, che vede l’uomo ammutolire al cospetto della donna e di Shakespeare che fece suicidare Romeo e Giulietta credendo ancora che potesse esistere un amore così grande. E il pentirsi ancora di quel cantante che dice: “Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore / dalle ossessioni delle tue manie / Supererò le correnti gravitazionali / lo spazio e la luce per non farti invecchiare / E guarirai da tutte le malattie / Perché sei un essere speciale / ed io, avrò cura di te”.
Promesse che non si possono mantenere, espressioni di onnipotenza ingenua e sfacciata che genera delusione. Rinnegare infine le grandi canzoni d’amore napoletane: miliardi di parole d’amore per strappare l’uomo a se stesso, per esaltare l’alterità assoluta e necessariamente deluderla. E infine odiare le leggi degli uomini, odiare gli stati, odiare i regni, odiare gli imperi costruiti sul sangue degli uomini, odiare questo tempo marcio che scaccia i padri dalla loro casa, li allontana dai loro figli, li deruba di loro beni e li butta nella vergogna della miseria. Odiare chi ha detto che il grado di civiltà di un popolo si misura dal benessere delle donne. E gli uomini? Non contano? Deprecare quel presidente che ha fatto di una vittima donna un’eroina simbolo della violenza maschile e che nulla ha detto sul cadavere del povero A.R. senza volto e senza nome massacrato e ucciso dall’acido di una moglie assassina.
Se la civiltà ci ha portato qui, alla peste femminista, alla “Matria” che avanza, alla giustizia calpestata, alla verità tradita allora non è servito a niente il sangue degli uomini. È tempo di abbracciare Nietzsche, di rinnegare la storia, rifiutare i suoi dei e le sue dee, i suoi principi e le sue principesse, di rinnegare ogni dio, patria, famiglia, partito e sindacato che ha succhiato il sangue degli uomini per poi rinnegarli e dimenticarli. Occorre vagolare nel vuoto di un cielo senza dei, superare il vomito, la vertigine del volo, l’angoscia del nulla e finalmente incontrare la propria anima e comprendere che anima e Dio sono la stessa cosa. Infine, assiso al centro della tua monade divina, ottenere la grande illuminazione: tutto ciò che abbiamo attribuito a donne e madonne è dentro di noi, vi abbiamo proiettato tutte le virtù che ci appartengono e che spesso sono state schiacciate perché gli uomini rimanessero schiavi della materia, asserviti ai bisogni materiali, allontanati da quelli estetici e spirituali.
È giunto il tempo del “redi te ipsum” (parole di Agostino di Ippona), del ritorno a se stesso, è tempo di autocoscienza, di riportare l’uomo al centro, “metro e misura di tutte le cose, delle cose che sono e delle cose che non sono” (Protagora), è tempo di un nuovo umanesimo, è tempo di contemplare l’anima e rimanerne estasiato come Dante al cospetto dell’Empireo. Pauline Harmange, come le altre femministe, invita le donne ad allontanarsi dagli uomini e praticare la sorellanza e questo forse è un messaggio valido anche per gli uomini: spostare l’attenzione su se stessi, riscoprire la vita interiore, l’amicizia, la fratellanza e la condivisione di un comune destino come unica risposta possibile al tempo della “Matria”. Non si tratta di rimanere celibi perché “non è bene che l’uomo sia solo” (Genesi), ma di avere quel giusto equilibrio tra maschile e femminile oggi perduto tra le nebbie dell’ideologia e della propaganda.