Che cosa è diventata nel corso del tempo la giornata internazionale contro la violenza sulle donne? Da celebrazione generica si è trasformata in qualcosa di simile alle tante feste-marketing disseminate lungo l’anno: San Valentino, Festa della Mamma, Festa del Papà. Con la differenza che queste sono ricorrenze gioiose, quella del 25 novembre è lugubre, livorosa, fanatica, estremista, vittimista, lamentosa, piagnona. Una sorta di secondo Halloween ma senza dolcetto né scherzetto, solo una cupa e sfrenata follia retorica dove tutto diventa rosso o viola, dalle facce dei calciatori, alle vetrine dei negozi, ai profili social, alle facciate dei palazzi. Non manca molto che la ricorrenza venga celebrata con qualche gadget splatter o angosciante, chessò un portachiavi con il viso corrucciato della Boldrini, un magnete per il cruscotto con Valeria Valente che punta il dito e la scritta: “ricordati che sei un maschio tossico”, o una nuova app che ti piazza come allarme del telefono la voce di Angela Finocchiaro: “svegliati pezzo di merda, svegliati pezzo di merda”. Di fatto ci siamo accorti e abbiamo registrato da tempo che le varie componenti e portavoce della “Antiviolenza S.r.l.” hanno perso il controllo, tracimando ogni limite del contegno e spesso del ridicolo. E in giornate come quella di ieri danno il meglio di sé producendo contenuti che permettono di comporre un tragico, rappresentativo e talvolta esilarante “stupidario”.
Partendo dal tragico, si registra l’iperpresenzialismo a inaugurazioni ed eventi di Eleonora De Nardis, che ieri mattina è stata relatrice sul tema della violenza contro le donne al noto Liceo classico e scientifico “Socrate” di Roma. Sì, proprio quello del gruppetto di studentesse femministe che sollevò poco tempo fa lo scandalo farlocco delle minigonne. “Quante assemblee organizzammo noi 30 anni fa, Marta!”, twitta entusiasta la De Nardis, chiamando in causa una sua follower, poco prima di andare a spiegare ai giovani liceali quant’è dilagante e feroce la violenza maschile sulle donne. Ma l’instancabile De Nardis non si ferma al “Socrate”. Al pomeriggio, sotto l’egida del Municipio VIII di Roma, presenzia anche all’inaugurazione di una panchina rossa presso il Parco Scott, e via un altro tweet nostalgico ed evocativo (“anche da qui iniziai a salvarmi”, scrive). Non si ha notizia su come siano andati i due eventi. Quello che si sa per certo, però, è che Eleonora De Nardis è stata condannata di recente a sei anni di reclusione per lesioni aggravate contro il suo ex compagno Piero Lorusso, scampando a pelo un’incriminazione per tentato omicidio. Un dettaglio da nulla segnalato da molti sia al Liceo Socrate che al Municipio VIII, i quali tuttavia hanno confermato le ospitate, come se nulla fosse. E mentre noi ricevevamo montagne di messaggi del tipo: “ma perché è ancora a piede libero?”, rispondendo con la banalità: “per forza, è donna…”, è lecito chiedersi cosa costei abbia testimoniato o insegnato agli studenti del liceo romano e se il rosso della vernice della panchina inaugurata somigliasse o no al colore del sangue di Piero Lorusso, quello su cui lei scivolava mentre lo accoltellava (testuale dalle motivazioni della sua sentenza di condanna). Dettagli che forse avrà confidato alle sue amiche Valeria Valente e Valeria Fedeli, con cui ama farsi selfie sorridenti, femministi e antiviolenti.
Una patetica e collettiva “Regina di cuori”, sovrana del Paese delle Merdaviglie femministe.
Una delle vincitrici assolute dello stupidario del 25 novembre è però senz’ombra di dubbio Fiorella Mannoia, che in una delle tante trasmissioni a tema trasmesse ieri in TV se ne esce con: “voglio essere libera di andare in camera di qualcuno a fare sesso e poi cambiare idea“. Sembra di vedere un flipper andato in tilt, un computer impazzito. Le regole base dell’ideologia femminista si sono intorcinate talmente tra i riccioli della cantante che finiscono per fare a pugni partorendo un nonsense degno dei fratelli Marx. Nella sua follia comica però il concetto nasconde un’insidia e svela il piano inconfessabile delle femministe: fare i propri (porci) comodi e avere poi sempre la possibilità di denunciare, mettere nei guai e magari spremere economicamente il malcapitato. E che alla fin fine sempre di soldi si tratti lo dimostra un altro fenomeno “di settore”, cioè la sorellanza di “Non Una di Meno”, che nella sua giovane e psicotica spontaneità scopre involontariamente le carte. Sentendosi autorizzate a fare e a dire tutto ciò che vogliono in generale, e ancor più il 25 novembre, pensano bene di assembrarsi, a Milano, sotto il domicilio di Alberto Genovese, l’uomo arrestato di recente per uno stupro durante un festino coca-hard (su cui per altro un’intelligente opinionista ha fatto riflessioni degne di nota). Vogliono una condanna esemplare, le giovani? Sono lì per sfogare la loro rabbia contro il violentatore o per propagandare le proprie idee per una società paritaria? Nossignori, lo slogan è: “Genovese è uno stupratore seriale, faccia ammenda dando tutto il suo patrimonio alle donne”. Dove dicendo “alle donne” in realtà Non Una di Meno intende “a noi”. L’emancipazione femminile 2.0 che, come quella femminista precedente, si traduce nel banale “datece i sordi”.
C’è poi il fattaccio terribile della trasmissione “Detto fatto” della RAI, dove avviene la scenetta simpatica e un po’ trash di una “spesa sexy” (riportata integralmente qui sotto). Apriti cielo. Il finimondo ha la faccia e le parole di tutta la politica, di gente come Valeria Fedeli o Maria Edera Spadoni: “oscenità sessista”, “assurdo, indegno, offensivo”, “episodio gravissimo“. Si richiama all’ordine tutto il management RAI, la conduttrice della trasmissione si scusa, la trasmissione stessa viene sospesa, forse addirittura cancellata. Seguendo la vicenda pare di stare in quelle zone del Medio Oriente dove se ti si muove l’hijab di un millimetro finisci lapidata. Una prudérie e un moralismo incontenibili, isterici, fuori controllo, da parte di un’accolita che sì, dice di voler essere libera di entrare in camera di uno per trombarselo e poi cambiare idea, che sì predica la libertà assoluta di vestirsi come gli pare e di fare del proprio corpo ciò che si vuole, a meno che non si voglia fare una “spesa sexy” o essere seduttive o semplicemente belle. In quel caso non ci sono più libertà perché si tratta di stereotipo sessista. Tutto talmente schizofrenico da tracimare oltre un ridicolo spiegabile in un solo modo: le femministe sono brutte, dentro e fuori. Per questo odiano la bellezza e ciò che naturalmente comporta (ovvero l’essere sexy, piacevoli, attraenti, quando lo si desidera). Questo le trasforma in Ayatollah in gonnella dedite a dettare le regole di una moralità distorta che nasce dalla loro bruttezza esteriore e interiore (soprattutto). Da quel pulpito condannano e assolvono a seconda della loro interpretazione personale. Se la donna della “spesa sexy” fosse stata un cesso a pedali probabilmente la scena sarebbe stata accettabile (“possiamo essere tutte belle”). Essendo una bella gnocca no. Non c’è una logica, ci sono solo invidia e la ben nota “ira funesta” cantata da De Andrè. Perché Valeria Fedeli, Maria Edera Spadoni, Laura Boldrini e tutte le altre che hanno protestato sanno che una spesa sexy, con tanto di zampetta alzata, non l’hanno mai fatta né potranno farla mai. E per questa ragione nessun’altra deve essere libera di farla e a chi ci prova verrà tagliata la testa, la carriera, gli verrà chiuso il programma e verrà fatto a pezzi sui media. Il comico sta che non si sono ancora rese conto che tutti quanti siamo lì attorno a guardare le loro isterie ridacchiando come davanti a un fenomeno da baraccone, al matto del paese o a una patetica e collettiva “Regina di cuori“, sovrana del Paese delle Merdaviglie femministe.
Qualcuno sostiene che la scenetta TV fosse voluta e preparata, un assist alla polemica mediatica, utile per risollevare le sorti di un 25 novembre sotto tono a causa delle restrizioni anti-covid, che hanno forzato la “Antiviolenza S.r.l.” a workshop e convegni online seguiti da una media di 5 o 6 persone. Dietro a tutta la comunicazione pubblica ci sono grossi investimenti, soldi spesi per fare reportage, speciali, servizi TV, locandine, manifesti e tutto quello che prevede una buona propaganda, ed è roba che deve rendere in termini di consensi, seguendo un programma preimpostato e definito nei dettagli. Non è un caso che, nonostante l’attinenza, non siano stati strumentalizzati come previsto gli omicidi di due donne avvenuti proprio a ridosso della ricorrenza (in Calabria il 24 e a Padova il 25): un apparente colpo di fortuna per la retorica vittimista, ma imprevisti e imprevedibili, impossibili da far rientrare all’ultimo momento nel “piano di comunicazione” già predisposto, di cui forse lo scandalo televisivo faceva davvero parte. Chissà, magari era già stato deciso di chiudere la trasmissione per mancanza d’ascolti e allora perché non sacrificarla sull’altare del 25 novembre? Il meccanismo funziona: in breve tutto il circo mediatico non parla d’altro, taggando ogni discussione con la formula “proprio nella giornata contro la violenza sulle donne!”. La questione viene talmente pompata che finalmente, nel primo pomeriggio, il 25 novembre decolla come desiderato. Poi capita l’imponderabile: Diego Armando Maradona muore. El Pibe de Oro, la mano de Dios, uno dei più incredibili calciatori della storia sportiva, scompare per crisi respiratoria, dopo prolungati e gravi problemi di salute.
Ora… chiudete gli occhi e provate a immaginarle per un attimo, nelle loro stanzette dei bottoni rosa, tutte felici per l’odio antimaschile e moralista sparso a piene mani, finalmente decollato grazie al balletto sexy in TV e alle polemiche. Le vedete lì a brindare per la riuscita del loro piano e dei loro investimenti? Ecco immaginate all’improvviso una telefonata. “È morto Maradona”. Faccia di pietra, bocca serrata, telefono tenuto sospeso al lato dell’orecchio (“pronto? Pronto ci sei?”). E il mondo attorno che crolla… Passato il primo shock, partono telefonate, whatsapp ed email a raffica a politici, dirigenti televisivi, direttori dei giornali: “non darete mica spazio a Maradona ora, vero? Abbiamo lo speciale delle 21, il servizio del TG da 20 minuti, lo spot, l’intervista, la testimonianza! Almeno dite che sua sorella era la vera campionessa e gli ha insegnato tutto e lui le ha rubato la carriera!!!”. Il panico, il panico! E i cicisbei dall’altra parte, usualmente obbedienti come cagnolini, che non possono, stavolta davvero non possono davanti al giganteggiare di Dieguito… “Sì, tranquilla, ora vediamo come fare”. Dopo di che staccano il telefono. Maradona, ma che scherziamo? Da quel momento un fiume di rabbia si riversa ovunque, con una particolare concentrazione sul web. Semplici utenti che protestano
Vignettiste che provano con l’arma tipica del femminismo, ossia suscitare il senso di colpa generale attraverso un vittimismo emozionale.
Si richiama all’ordine anche il servizio Televideo, che teoricamente dovrebbe occuparsi di dare informazioni “flash” sugli eventi dell’ultim’ora. Con una sequenza che ha del comico, cerca disperatamente di tenere desta l’attenzione sulla celebrazione del 25 novembre sparando una raffica di boiate “a tema”.
Niente da fare: Diego Armando Maradona ha fatto il suo ultimo gol, il suo ultimo capolavoro. Come ogni capolavoro, ha tante sfaccettature: ha spazzato via la giornata della bugia istituzionale del 2020, ha minato in eterno anche tutte le altre giornate future per almeno i prossimi vent’anni, ha fatto scoppiare il fegato a una quantità industriale di pericolosissime giacobine del nuovo millennio e ai loro cagnolini da compagnia, ha fatto andare in fumo una gran quantità di investimenti in comunicazione pubblica (non è il massimo visto che erano tutti soldi pubblici, ma vabbè). Ma soprattutto grazie alla sua ultima spettacolare rete, ci dà la possibilità di proclamare Emanuela Valente (delle cui falsificazioni ci eravamo già occupati in passato) la vincitrice assoluta del 25 novembre 2020 e del suo stupidario:
La morte di un uomo è provvidenziale per Emanuela Valente (dev’esserci un bug in questo cognome…) e vale meno di uno speciale del TG2. E quell’uomo si qualifica non per tutto ciò che ha fatto, ma per alcune specifiche sue scelte personali. Le stesse che però, quando fatte dalle donne, non possono essere valutate da nessuno. Se una cosa buona c’è nel 25 novembre, è che fa venire a galla di questa gente tutto quello che di reale hanno dentro e che durante l’anno sta bene attenta a tenere nascosto. Talvolta è roba talmente cringe da far ridere. Talvolta no, fa soltanto preoccupare. Molto.