C’è tempesta a Tivoli. Nel novembre scorso la locale Procura ha pubblicato queste “Linee Guida”, redatte sotto la supervisione del Procuratore Capo Dr. Francesco Menditto, contenenti indicazioni ai Sostituti Procuratori su come trattare i casi di denunce per maltrattamenti in famiglia (art. 572 del Codice Penale). Novanta pagine riducibili a un concetto-chiave: sulla base di uno sceltissimo (cherry picking) numero di sentenze di Cassazione e di alcune normative sovranazionali meno vincolanti della nostra Costituzione, Convenzione di Istanbul in primis, si stabilisce che quando una donna denuncia un uomo per maltrattamenti, lei è sicuramente vittima e lui è sicuramente colpevole. Punto e stop. Da qui si diparte un postulato teorico e una serie di conseguenze pratiche. Il postulato teorico è che oggi l’oppressione maschile verso le donne costituisce un regime cosciente e organizzato che opera soprattutto attraverso la violenza, quale retaggio di un’oppressione storica generalmente tollerata a causa di una serie di stereotipi interiorizzati da tutti. Più numerose sono le conseguenze pratiche. Solo per citarne alcune: saltano, ma solo per gli uomini, diversi capisaldi del processo liberale come l’onere della prova e la presunzione d’innocenza, ma non solo; si esclude a priori che l’accusatrice possa utilizzare la denuncia in modo strumentale, mentre si largheggia con le misure cautelari contro l’accusato e con la necessità di gettargli addosso quante più incriminazioni e quanto più gravi possibile.
Tutte anomalie che non sono sfuggite allo sguardo attento della Camera Penale di Tivoli e all’Unione Nazionale delle Camere Penali, che alla fine dell’anno scorso hanno indetto uno stato di agitazione, accompagnato da un documento fortemente critico. L’Avvocatura non ha dubbi: le “Linee Guida”, imperniate come sono su un virtuale “statuto della vittima”, in realtà scardinano il ben più consolidato e reale diritto di difesa dell’imputato sancito dalla Costituzione, così come il principio d’uguaglianza presente all’Art.3 della stessa Carta fondamentale. A Tivoli si sta insomma cercando di istituire un “doppio binario di giudizio” distinto per sesso, un po’ come già avviene in Spagna. Diversamente dal sistema iberico, però, non lo si fa alla luce del sole, tramite legge (per quanto aberrante), ma sotto banco, attraverso linee guida di natura organizzativa. A margine, non lo notano le Camere Penali ma lo notiamo noi, il postulato teorico affermato dal documento della Procura non ha nulla a che fare con la giustizia e tutto ha a che fare invece con un’impostazione ideologica indimostrata e indimostrabile, la stessa spudoratamente imposta nel “Libro Bianco” pubblicato di recente dal Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio e di cui abbiamo già parlato qui e qui.
Gli interventi micidiali della Camera Penale.
Passano i mesi, ma la tensione non cala. Le Camere Penali rilasciano allora un documento di analisi critica contenente valutazioni tanto severe quanto ampie e argomentate e organizzano una tavola rotonda per confrontarsi proprio con la Procura di Tivoli e il suo massimo dirigente, il Procuratore Capo Dr. Francesco Menditto. Trovate qui sopra il video dell’intero evento, un incontro durato quattro ore e mezza e denso di contenuti forse pienamente apprezzabili soltanto per chi è addentro alla materia giuridica (giudici, avvocati, giusperiti). Per i profani possiamo ridurre il tutto in un concetto singolo e semplificato: le “Linee Guida” sono un vero e proprio attacco ai principi basilari dei delicati meccanismi giuridici del nostro paese, un tentativo di sovversione dei diritti sanciti a protezione di chiunque si trovi sotto accusa e di superamento per via regolamentare delle ampie garanzie costituzionali ad esso riconosciute.
Sono molti gli interventi che, durante il convegno, seppelliscono le “Linee Guida” della Procura di Tivoli nel cimitero delle iniziative irricevibili, ma preme segnalare soprattutto gli interventi semplicemente perfetti del Prof. Vittorio Manes (al minuto 52.42), del Prof. Luca Marafioti (a 1 ora e 59 minuti) e del Prof. Oliviero Mazza (a 2 ore e 48). Senza nulla togliere a tutti gli altri interventi critici, tutti notevoli e approfonditi, questi tre si stagliano come una vera e propria lezione, oltre che di buon senso, di rigoroso rispetto non soltanto delle leggi, ma anche della consapevolezza che queste ultime si applicano in una realtà da cui i tribunali non si posso sottrarre, al netto della loro indipendenza operativa. I magistrati non possono e non devono isolarsi dal mondo in cui operano, che è fatto di persone, dall’apparato mediatico, dalla società nel suo complesso e di un’intera civiltà. Un equilibrio delicato che le “Linee Guida” della Procura di Tivoli cercano di ribaltare per motivi puramente ideologici. E che siano tali lo dimostra l’inefficace e confusionario intervento proprio del Procuratore Capo Menditto (a 2 ore e 29), con il quale pare chiaro che egli abbia come riferimenti prioritari altro che non la Costituzione e le leggi che ne derivano.

I trucchi dialettici della Procura di Tivoli.
All’inizio del suo intervento, Menditto si complimenta con gli avvocati per aver sottoscritto il proprio documento critico distinguendo tra avvocati (uomini) e avvocate (donne). Già questo è sintomatico di una forma mentis ben precisa. Il mormorio del pubblico, in attesa di argomenti seri e non di corbellerie boldrinesche, lo fa subito retrocedere sotto lo scudo della “battuta”. Non pago, ci riprova apprezzando come il documento critico della Camera Penale accosti la mafia ai reati da Codice Rosso, esattamente come fanno le sue “Linee Guida”. Il mormorio precedente diventa vero e proprio rumoreggiamento: mentre infatti il suo documento stabilisce un’assurda analogia tra i due tipi di reato, la Camera Penale ne sottolinea la netta distinzione. E così di nuovo il Procuratore è costretto a cercare riparo: «vi sto provocando in maniera simpatica». Se non che nessuno ride né sorride: non è uno spettacolo d’intrattenimento, gli astanti si aspettano che si parli di tutela dei diritti basilari e di rispetto della legge. Ma niente da fare: Menditto parla d’altro. Ammette che il suo è stato un cherry picking da correggere. Già questa ammissione dovrebbe far saltare l’impianto delle sue “Linee Guida”, invece lui tiene duro, anzi accusa gli avvocati di non aver fiducia nella magistratura giudicante: con le mie “Linee Guida”, dice, voi sapete come si comporteranno i miei PM, a Tivoli siamo trasparenti, poi decideranno i giudici, magari pure attraverso i vari gradi di giudizio. E qui c’è una sorta di pistola fumante, perché mentre la Procura cancella i diritti dell’imputato, sollecita ad affidarsi alle lunghe e costose procedure giudiziarie per l’eventuale ristabilimento della giustizia. Un povero cristo falsamente accusato, sottintende il ragionamento di Menditto, deve sopportare il percorso fino in Cassazione per vedere eventualmente se era innocente o no. E tanti saluti al sistema che dovrebbe tutelarlo, tra le altre cose, anche da questo tipo di calvario.
Da questo momento in poi terminano le osservazioni di tipo vagamente giuridico da parte del Procuratore Capo e inizia il cannoneggiamento distraente, emozionale e inconsistente, come quando cita alcuni dati: «solo una donna su dieci denuncia», ma non solo: «una donna su tre nella sua vita ha subito una forma di violenza», il tutto con la chiosa: «sono dati ISTAT, non di Menditto». Ed eccolo l’immancabile trabocchetto, l’appello all’autorità terza che però autorità non è. È ben noto che quelli citati dell’ISTAT, oltre a essere vetusti (2014), non sono numeri reali, ma stime derivate da indagini campionarie considerate inattendibili a livello internazionale. Fuffa ideologica, insomma, costruita apposta per permettere a molti interessi collettivi (centri antiviolenza) o individuali (arrivisti desiderosi di far carriera) di perseguire i propri scopi, secondo un disegno sovranazionale che si radica negli anni ’90 del secolo scorso. Su quel tipo di armamentario privo di valore sostanziale si appoggiano in tanti da dieci anni, anche per ottenere il rispettoso silenzio delle platee, e così fa anche Menditto. Il trabocchetto funziona, come sempre: la platea, preparatissima a trattare tematiche giuridiche e razionali, tentenna di fronte all’usuale montagna di cartapesta emozionale. Con che fegato si possono contestare “dati ISTAT” così eloquenti su un tema così sensibile? In realtà basterebbe sapere che sono inattendibili e avere lo standing etico di dirlo ad alta voce, ma forse agli avvocati presenti, troppo compressi nella specificità della loro materia, questo genere di informazione non è arrivata.

La dottrina giuridica non basta.
A questo punto Menditto sente di poter andare oltre e sottolinea come i dati ISTAT appena citati siano stati confermati niente meno che della “Commissione Femminicidio”, cioè quell’organismo che in dieci anni non ha saputo dare una definizione di “femminicidio” (!!!), e rivendica con orgoglio di essere stato nominato dal Ministro Nordio per rappresentare l’Italia davanti al GREVIO, cioè l’accolita di commissari politici (in senso staliniano) che vigilano sull’applicazione più feroce possibile della Convenzione di Istanbul da parte dei paesi sottoscrittori. Non ci sarebbe nulla da vantarsi (anzi), ma l’irruzione di argomenti ideologico-politici nel discorso ha ammutolito i critici ed ecco allora che il Procuratore sente di poter tirare fuori un po’ di tutto, appellandosi al principio d’autorità editoriale di fronte ad una contestazione («lei ha di fronte una persona che scrive anche qualche libro») e ancora a quello esterno, in un climax che è un capolavoro: «ciò che dicono le convenzioni del Consiglio d’Europa, la Corte Costituzionale, la Presidente della Corte di Cassazione, è che la violenza contro le donne costituisce una violazione dei diritti umani ed è un fenomeno che ha registrato nel corso degli anni una rapida crescita. Se questa dichiarazione la condividiamo tutti, io mi sento più vicino a voi e voi siete più vicini a me». Il tutto detto di pancia alle pance dei presenti, curiosamente proprio mentre la Direzione Centrale della Polizia Criminale del Ministero dell’Interno certificava una volta di più il calo verticale, in atto da anni, dei casi di violenze e omicidi contro le donne nel nostro Paese.
A nostro avviso il convegno ha avuto un’unica grave mancanza. L’Unione delle Camere Penali, è normale, pensa e organizza questi eventi avendo presente il proprio contesto di riferimento, quello giudiziario, ritenendo probabilmente che ciò possa bastare a far ragionare una Procura caduta preda di un delirio ideologico. In realtà è un errore: come ha mostrato gran parte dell’intervento del Dr. Menditto, ci sono altri piani coinvolti nella questione. Mentre i citati interventi citati dei Prof. Manes, Marafioti e Mazza risultano perfetti in punta di diritto, la replica del Procuratore Capo è in gran parte politica, tale da spiazzare i presenti e da permettergli di proseguire indisturbato su una strada palesemente sbagliata. Cosa è mancato, dunque? Sicuramente l’apporto di specialisti di altre discipline: sociologi, statistici, politologi, ossia soggetti meno ferrati in giurisprudenza, ma con una chiara misura di come essa, impatti sul tessuto sociale, quando deviata, e come possa essere deviata da fattori e poteri esterni. Gran parte della replica della Procura era disinnescabile, in premessa o in coda alle dotte esposizioni giuridiche dei membri della Camera Penale, con una blanda ma competente analisi oggettiva delle citate indagini campionarie ISTAT (irrilevanti), una banale esibizione dei dati del Ministero della Giustizia sulle condanne da Codice Rosso in comparazione con le denunce, e un’esposizione della fiction ideologica che dalla Conferenza di Pechino (1995), passando dalla Convenzione di Istanbul e fino a oggi, si è imposta ad ogni livello, compreso quello dell’amministrazione giudiziaria. Con questo tipo di interazione interdisciplinare, le “Linee Guida” della Procura di Tivoli probabilmente sarebbero già state accantonate con imbarazzo, invece il sentore è che, nonostante la mobilitazione degli avvocati, nulla cambierà, se non in peggio. Ci auguriamo che le Camere Penali comprendano che per il prosieguo di questa battaglia cruciale e per un risultato più rapido occorra aprirsi all’apporto di chi studia la materia da altre prospettive. L’alternativa è di continuare a parlare linguaggi diversi e lasciar vincere chi, pur essendogli teoricamente precluso per statuto, parla di pancia alle pance invece che di giustizia a chi si occupa di legge.