Più cresce la scolarizzazione fra le ragazze, più si affievolisce in loro il desiderio di immaginarsi accanto a un uomo con dei bambini in braccio. Se le donne sono molto “imparate”, è probabile trovarsi di fronte soggetti che non contemplano l’esistenza di altri punti di riferimento se non sé stesse. Il mondo della scuola è l’incubatore funzionale per lanciarle verso una brillante carriera antifamiglia e antinatalità che le diploma dopo (almeno) 13 anni – elementari + medie + superiori e, per molte di loro, Laurea e Master – di studi. Professoresse, dirigenti, “esperte” promuovono per loro la narrativa della realizzazione egotica, e se qualcuna oltrepassa la rete misogina viene presto messa in guardia: occhio, dedizione alla famiglia e alla maternità sono una trappola. La scolarità femminile ha raggiunto tassi elevatissimi: ben oltre il 90%; le ragazze affollano le università e raggiungono la laurea in un numero sensibilmente maggiore rispetto ai ragazzi. La ricercatrice Valentina Tocchioni ha osservato che, più alto è il tasso di scolarizzazione, meno le donne sono orientate a vedersi in ruoli tradizionali e avviare lallazioni con gli infanti. Il fenomeno è riportato nello studio “Exploring the childless universe: profiles of women and men without children in Italy”. Nel campione, anche gli uomini, soggetti che raramente rientrano negli studi sociologici, a differenza delle donne, protagoniste assolute e indiscusse di quasi tutti i sondaggi.
Negli ultimi decenni, esordisce l’analisi, in molti paesi occidentali, insieme al fenomeno del drastico calo demografico, assistiamo al fenomeno delle donne childfree, filosofia di vita che riguarda anche gli uomini. Il problema è determinato non solo da una scelta di stile, ma anche dall’aumento dell’infertilità e, per le donne, dall’aver rimandato troppo la gravidanza, da relazioni instabili, dalla mancanza di un partner. Dall’analisi emerge che più è alto il livello dell’istruzione di una donna, più è probabile che rimanga senza figli, a causa del rinvio o anche perché l’istruzione contribuisce a separarle dal ruolo che la natura ha loro assegnato, allontanandole dall’idea di far parte di un processo naturale fatto di nascita, vita, morte, ricambio biologico necessario per garantire la vita sulla terra. Il campione preso in esame dalla Tocchioni è formato da 1.687 donne e 1.727 uomini nati tra il 1907 e il 1969 (e comprende solo donne senza figli e gli uomini che avevano almeno 40 anni alla data del colloquio). Emerge quanto sia frequente che una donna, rimandi o addirittura rinunci alla gravidanza in vista delle opportunità legate alla sua professionalità.
Al di sotto dei trent’anni, nel pieno dell’età fertile, cresce il fenomeno delle childfree.
Le gravidanze sono meno frequenti fra le donne che hanno un’attività in proprio rispetto a quelle che sono impiegate, dove è difficile conciliare gli obblighi familiari e lavorativi. I figli non suscitano interesse nei gruppi di donne con un forte orientamento professionale: in questo gruppo non ci sono differenze fra chi ha un grado di istruzione superiore e donne meno istruite. Questi risultati confermano precedenti scoperte su uomini senza figli (Keizer, Dykstra e Poortman 2010; Parr 2010) e nel caso delle donne mostrano che c’è una relazione negativa tra lavoro e parto. Un altro dato da considerare è che l’istruzione prolungata e la traiettoria occupazionale instabile sono fattori importanti che incidono pesantemente sulla scelta di mettere al mondo dei figli e questo è particolarmente vero per la coorte più giovane. La situazione del mercato del lavoro, come l’incertezza occupazionale ritarda il matrimonio, favorisce la convivenza e porta a rinviare le gravidanze.
Fra gli uomini, ciò che causa l’assenza di figli non è il livello di istruzione ma la condizione di svantaggio economico: ad esempio i disoccupati o coloro che hanno un lavoro poco retribuito hanno più probabilità di non avere figli. Questo però non succede fra imprenditori e professionisti. La percentuale di uomini senza figli single è più alta nelle coorti più giovani mentre la proporzione di donne senza figli, che erano single da giovani, rimane stabile anche in età più avanzata. Se una donna perde il treno delle gravidanze, quindi, è difficile che recuperi in corsa, a differenza di un uomo che, anche in età matura, ha più facilità a trovare una donna che possa dargli dei figli anche se lui non riuscirà a tenerli in braccio. La partecipazione al mercato del lavoro, come dipendenti, è marcatamente più alto tra le coorti più giovani di donne senza figli. In particolare, quelle della coorte più giovane hanno maggiori probabilità di partecipare mercato del lavoro a differenza degli uomini senza figli. Alla faccia del patriarcato: a parità di mansioni un uomo giovane può essere scalzato da una giovane lavoratrice proprio in quanto signorino. Non avere un partner poi gioca un ruolo chiave nell’essere senza figli, in tutte le coorti di nascita. Nelle coorti più anziane la barriera alla gravidanza è legata principalmente a problemi di fecondità. In questo quadro, fra le donne al di sotto dei trent’anni, nel pieno dell’età fertile, cresce il fenomeno delle childfree, ragazze cresciute senza istruzione all’istinto genitoriale e con un’elementare istruzione sentimentale.
“Lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico”.
L’Italia è nella top ten del fenomeno. Una donna fertile su quattro delle nate nel 1979 è in questa condizione, pari al 22,6 per cento, lo rivela la ricerca Child Zero dell’università di Padova. Nel mondo, di childfree ce ne sono sempre di più, tanto da avere ormai anche una loro giornata internazionale (il 1° agosto). I paesi dove le donne childfree superano il 10% sono Svizzera, Lussemburgo e Belgio, in Italia si collocano intorno al 4%. Gli uomini childfree sono più del 10% in Olanda, Svizzera, Austria, Germania, Svezia, Lussemburgo e Spagna. Gli italiani si collocano sotto la media europea intorno al 9%. In Italia la quota di donne che completano la loro vita riproduttiva senza aver avuto figli è cresciuta dal 10% della generazione della metà degli anni ’50 a oltre il 20% di quella nata all’inizio degli anni ’70 – dice Adele Menniti, demografa ed esperta per gli studi su popolazione, genere e società dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (IRPPS). Il sito Childfree.net spiega la visione: “Siamo un gruppo di adulti che non vogliono avere figli perché ciò significa perdita di libertà personale, soldi, tempo ed energie che avere un figlio richiede”. Le ragioni di questa scelta dipendono per molte dal fatto di non sentirsi (e di non essersi mai sentite) pronte a dedicare il 100% del proprio tempo e della propria vita a un altro essere umano che sia un compagno o un bambino. Altre sostengono di non aver mai sperimentato l’istinto materno e di aver scelto di essere libere non per dedicarsi alla carriera; altre, infine, per “salvare il Pianeta”.
Un’altra analisi dell’Università di Padova, però, dopo aver scandagliato tutte le giustificazioni presentate dalle intervistate, conclude affermando che per oltre il 50% delle donne essere senza figli è una condizione accidentale. In quella di Letizia Mencarini dell’Università di Firenze e Maria Letizia Tanturri dell’Università di Pavia, svolta su circa mille donne in 5 città italiane, si aggiungono altri dettagli importanti: le donne senza figli sono meno religiose rispetto alle coetanee madri, hanno partner a loro volta meno religiosi, hanno famiglie d’origine poco numerose, hanno sperimentato la convivenza, sono entrate in coppia tardi e hanno avuto lavori instabili. La motivazione principale dell’essere senza figli, pur non avendoli voluti, è il continuo rinvio della decisione, dovuto, nella maggior parte dei casi, alla fragilità di coppia. Tra bonus, politiche di conciliazione famiglia e lavoro, qualcuno nel 2011 suggerì in un articolo pubblicato su Libero: “Togliete i libri alle donne e torneranno a far figli”. L’autore, il sempre ferratissimo Camillo Langone, aveva utilizzato gli studi della Harvard Kennedy School of Government, istituzione che evidenziava “lo stretto legame tra scolarizzazione femminile e declino demografico”. L’articolo allora suscitò una decisa campagna social contro Langone che aveva osato mettere in evidenza i risultati, e che rispose: “Se vogliamo convincere le donne a tornare a fare figli bisognerà chiudere qualche facoltà. Così dicono i numeri: non prendetevela con me”.