La Fionda

L’insostenibile impunità di essere donna

Settantacinque anni di Repubblica. «Certo che c’è voluto un disastro come il fascismo per convincervi che era meglio far votare anche le donne, eh?», così recita la vignetta di Treccani nell’anniversario della Repubblica italiana, una bambina che fa la ramanzina a un uomo adulto, forse il padre, forse il maestro. La vignetta è completamente diseducativa e falsa dal punto di vista storico, e il fatto che la mistificazione provenga proprio da Treccani, un marchio di divulgazione culturale e storica che si presuppone serio, accurato e al di sopra delle ideologie, è l’ennesimo campanello di allarme di una società che si trova ormai alla deriva. La vignetta è inadatta per quattro motivi. Primo: è diseducativa perché, in linea con quello che succede spesso da parecchi anni nelle scuole e nelle famiglie con l’autorità genitoriale, la gerarchia dell’età salta. Viene trasmessa l’idea che sono i bambini ad educare gli adulti, quando dovrebbe essere proprio il contrario. L’adulto, quanto più è anziano peggio è, sarebbe colpevole. Da colpevole non merita dunque alcun rispetto, né possiede nulla di buono da trasmettere. Nella società della modernità e dell’accelerazione dei tempi sono i giovani i modelli da proporre, i portatori dei nuovi e veri valori, moralmente autodidatti. L’idea di fondo è la stessa della Rivoluzione culturale cinese, dalla quale tutti ricordiamo i grandi “successi”: il numero stimato di morti varia notevolmente da centinaia di migliaia a 20 milioni.

Secondo: la vignetta trasmette l’idea che il diritto di voto femminile non abbia nulla a che fare con il fascismo, quando risulta proprio il contrario. I movimenti fascisti furono sempre favorevoli al voto femminile e lo promossero attivamente. In Spagna fu il dittatore Primo de Rivera a introdurre il voto femminile amministrativo nel 1924. Finita la dittatura, con l’avvio della Repubblica, di nuovo la Falange (i fascisti spagnoli) e il suo leader José Antonio Primo de Rivera chiesero il voto per le donne. In Italia il primo programma fascista comprendeva il voto femminile. All’atto fondativo del fascismo, durante la riunione di piazza San Sepolcro, Mussolini dichiarò: «Chiediamo il suffragio universale, per uomini e donne». Infatti, prima di lui, durante l’occupazione della città di Fiume, D’Annunzio aveva dichiarato «la parità tra i sessi». Già al governo da un anno, il 9 maggio del 1923, Mussolini dichiarava: «Io penso che la concessione del voto alle donne in un primo tempo nelle elezioni amministrative in un secondo tempo nelle elezioni politiche non avrà conseguenze catastrofiche come opinano alcuni misoneisti, ma avrà con tutta probabilità conseguenze benefiche perché la donna porterà nell’esercizio di questi vivaci diritti le sue qualità fondamentali di misura, equilibrio e saggezza». Il contesto era la discussione di un disegno di legge presentato dall’onorevole Acerbo, difeso da Mussolini, che concedeva il voto amministrativo alle donne. Fu approvato nel 1925: nell’Italia fascista potevano votare alle elezioni amministrative le donne che avessero compiuto gli studi elementari inferiori o pagassero una data imposta, esercitassero la patria potestà o la tutela, avessero certe benemerenze civili o fossero madri o vedove di caduti di guerra. La norma non entrò mai in vigore perché pochi mesi dopo venne decisa la non elettività delle cariche amministrative.

donne oro alla patria
Donne italiane donano con entusiasmo “oro alla patria” su richiesta del regime fascista.

Fu lei che convinse suo marito, Reinhard Heydrich, a entrare nelle SS.

Terzo: la vignetta suggerisce che il fascismo sia qualcosa di estraneo alle donne, una responsabilità esclusiva degli uomini. Il pronome “vi” nella parola “convincervi” sta a indicare “voi uomini”. Ho già contestato questo assunto in un altro intervento e non ho voglia di ripetermi. L’adesione al movimento fascista e le affiliate alle organizzazioni femminili del Partito si contavano nell’ordine dei milioni. Quarto: la vignetta sembra proporre il voto femminile come un contraltare per limitare i guai che combinano gli uomini, in questo caso specifico il fascismo. Sotto questa lettura il voto delle donne sarebbe sempre qualcosa di positivo che porterebbe giovamento e beneficio all’umanità – in linea con il dogma femminista che vorrebbe le donne moralmente superiori. Infatti, questa fu una delle ragioni principali invocate dalle suffragette per richiedere il diritto di voto. Non esiste alcun vincolo di causa-effetto che stabilisca che le cose devono per forza andare peggio se le donne votano, ma la Storia si assicurò di smentire l’ipotesi contraria: non è vero che le cose migliorano per forza quando votano le donne. Il mondo dovette aspettare solo una quindicina di anni per averne conferma. I principali contendenti della Seconda guerra mondiale, l’Inghilterra, la Germania, gli Stati Uniti e la Russia avevano concesso il voto alle donne alla fine della Prima (in Russia il governo provvisorio concesse il diritto di voto alle donne a luglio del 1917, mai entrato in vigore dovuto allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre). Il mondo non diventò migliore. Non mi stancherò mai di ripetere che le donne contribuirono più degli uomini alla vittoria del Partito Nazista in Germania, lo votarono in maggior misura, tanto in numeri assoluti come in percentuale. Il primo paese al mondo a concedere il voto alle donne, attivo e passivo, fu la Finlandia nel 1906 – nel 1893 la Nuova Zelanda concesse solo il voto attivo –, prima volta al mondo che le donne occuparono dei seggi nel Parlamento a seguito delle elezioni del 1907. Undici anni dopo, nel 1918 fu combattuta la guerra civile finlandese. È ingiusto addossare tutta la responsabilità di questo divenire storico bellico al voto delle donne, ma c’è un evento storico che può essere imputato, senza rischiare di sbagliare, principalmente alle donne: il proibizionismo negli Stati Uniti. Il divieto di commercio di alcol fu una misura fortemente voluta dalle donne. Tutti siamo a conoscenza delle nefaste conseguenze.

Anche se tutte le quattro critiche da me sollevate sono parimenti gravi e biasimevoli, la terza è quella che mi turba di più. Non si tratta di irresponsabilità, le donne non sono rese irresponsabili dei loro misfatti. Si tratta di invisibilità. Il giudizio storico-sociale rende i misfatti delle donne invisibili. Le donne sono per forza irresponsabili di misfatti che non esistono, dunque impunibili. La vignetta di Treccani ha fatto sparire milioni di donne fasciste e le proprie responsabilità. Gli effetti si osservano molto meglio se dal generale si passa al caso specifico. Tutti sappiamo che i maggiori criminali e genocidi della Storia, come i milioni di maschi fascisti italiani, erano sposati o avevano delle amanti fedeli che partecipavano attivamente, materialmente e/o spiritualmente ai loro misfatti. Condividevano con loro tavola, letto e valori. Qual è la loro responsabilità? Chi sono? Qualcuno mi sa dire come si chiamano le fedeli compagne sentimentali di Josef Mengele, Augusto Pinochet, Joseph Goebbels, Idi Amin, Pol Pot, Al Capone, Mao Tse-tung, Saddam Hussein, Nerone, Himmler, Attila, Rafael Videla o Stalin, per nominarne solo alcuni? Reinhard Heydrich, fu uno degli organizzatori dello sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Qualcuno conosce Lina Matilde von Osten? Lina Matilde von Osten fu una fervente attivista del partito nazista e fu lei che convinse suo marito, Reinhard Heydrich, a entrare nelle SS nel 1931. Dopo la guerra, Lina Heydrich, nome da sposata, negò di essere a conoscenza delle famigerate gesta del marito e continuò a percepire la pensione vitalizia. Nel 1965, sposò un imprenditore finlandese e cambiò il cognome. Scrisse un libro, nel quale difese la memoria del suo primo marito, Heydrich, e gli ideali nazionalsocialisti. È morta all’età di 74 anni nel 1985, ipotizzo di vecchiaia.

Jean-Claude Duvalier e Michelle Bennett
Il dittatore di Haiti Jean-Claude Duvalier nel giorno delle sue nozze con Michelle Bennett

Treccani ha cancellato l’esistenza di tutte le donne fasciste dalla Storia.

Troppo spesso il giudizio storico siede sul banco degli imputati solo uomini. Le donne che sostennero i criminali e ne trassero vantaggio raramente ne rispondono. Margarete Himmler, moglie del criminale nazista Heinrich Himmler, capo delle SS, dopo la guerra fu condannata a 30 giorni di lavori speciali/punitivi. Insomma, 30 giorni di servizi sociali. Fa effetto scorrere la lista dei dittatori e le loro moglie e constatare la fine diversa che spesso la vita procura loro. Jean-Bedel Bokassa, dittatore della Repubblica Centroafricana, morì in esilio in povertà. In vita, da dittatore, ebbe 17 mogli, la più nota e preferita, Catherine Denguiadé. Rientrata in Centrafrica, Catherine – principessa, ma sempre imperatrice nelle relazioni private – si dedicò alla coltura dei fiori e a una grande azienda agricola con una piantagione di manioca. Sostenuta dal presidente del Gabon Ali Bongo Ondimba, costituì la “Fondazione Catherine Bokassa” e nel dicembre 2010 le fu conferita la medaglia d’onore di Stato da parte del presidente François Bozizé. Non è l’unica a vivere nel lusso, grazie al ricavato delle malefatte del marito spodestato e ormai deceduto. Vivono nel lusso, all’estero, le gemelle Mobutu, vedova e presunta amante di Mobuto Sese Seko, ex dittatore della Repubblica Democratica del Congo; Leila Ben Ali, vedova dell’ex dittatore tunisino Ben Ali; Imelda Marcos, vedova di Ferdinand Marcos, ex dittatore delle Filippine; Grace Mugabe, vedova di Robert Mugabe, ex dittatore dello Zimbabwe; o Dewi Sukarno, vedova di Sukarno, ex dittatore dell’Indonesia. Il divorzio, brutta bestia per gli uomini, non risparmia nemmeno gli ex dittatori. Jean-Claude Duvalier, ex dittatore di Haiti, conosciuto come Baby Doc, era partito in esilio con un bel bottino. Durante gli ultimi anni di vita ha dovuto abbassare notevolmente il suo sfarzoso stile di vita – gli rimanevano poco più di 6 milioni di dollari – dovuto presumibilmente a investimenti discutibili, ma soprattutto per aver perso gran parte del suo patrimonio in seguito al divorzio dalla prima moglie, Michelle Bennett, nota per le sue spese sontuose. La fortuna stimata di Michelle Bennett è di 130 milioni di dollari.

Quando non vivono nel lusso, sono comunque benestanti, e vivono senza rispondere dei benefici che a lungo ricavarono dalla posizione di potere dei loro ex mariti. Vivono o hanno vissuto indisturbate Carmen Polo, vedova del dittatore spagnolo Francisco Franco; Nancy Doe, vedova di Samuel Doe, ex dittatore della Liberia; Krupskaya, vedova di Lenin; Felicidad Noriega, vedova di Manuel Noriega, ex dittatore di Panama; Lucia Pinochet, vedova del dittatore cileno Pinochet. Purtroppo per loro, non tutte le “imperatrici” riuscirono nel tentativo di rendersi invisibili. Come Clara Petacci, o Elena Ceausescu, giustiziate insieme ai loro mariti dittatori, o Jiang Qing, Madame Mao, la vedova di Mao Tse-tung, che finì la vita in carcere. Ma queste sono le eccezioni. Anche quando furono condannate, le condanne furono ragionevolmente miti – Nexhmije Hoxha, moglie del dittatore albanese Enver Hoxha, trascorse meno di cinque anni in prigione condannata per corruzione –, e mai superiori a quella dei loro uomini – Simone Gbagbo, moglie del ex dittatore Laurent Gbagbo della Costa d’Avorio, fu condannata a 20 anni per crimini contro l’umanità, amnistiata nel 2018 dal presidente Alassane Ouattara, dopo aver trascorso 3 anni in prigione, mentre il marito Laurent Gbagbo rimase in stato di arresto dal 2011 al 2021, fino all’assoluzione concessa dalla Corte penale internazionale. A volte non venivano nemmeno incriminate. Mira Milosevic, moglie di Slodoban Milosevic, non dovette mai rispondere per crimini di guerra nella ex-Jugoslavia come il marito, e visse in esilio in Russia fino alla sua morta nel 2019. Parimenti Margot Honecker, moglie di Erich Honecker, capo della Repubblica Democratica Tedesca, si trasferì in Cile nel 1992, mentre Erich veniva processato in Germania per i crimini commessi dal suo regime (rilasciato nel 1993 per le precarie condizioni di salute). Suzanne Moubarak nel 2011 fu messa in arresto, e rilasciata qualche giorno più tardi, dopo aver rinunciato alla sua lussuosa villa nell’elegante zona residenziale di Heliopolis e dopo aver pagato circa 4 milioni di dollari allo Stato. Tutto sommato, la ricchezza della famiglia era stimata in diversi miliardi di dollari, oltre alla comoda pensione di oltre 15.000 dollari al mese assegnata dallo Stato all’ex First Lady. L’unica del clan Mubarak che viveva in libertà da allora ha potuto trascorrere le sue giornate visitando le prigioni dove erano detenuti il marito e i suoi due figli maschi, Alaa e Gamal. L’invisibilità delle donne fa rima con impunità, questa è la diretta conseguenza. Qualcuno mi sa dire di qualche femminista che, all’ora di denunciare i feroci crimini dei dittatori patriarcali, ha denunciato nel contempo la connivenza delle loro mogli e amanti? Senza dover disturbare le femministe, Treccani ha appena cancellato l’esistenza di tutte le donne fasciste dalla Storia e addossato tutta la responsabilità del fascismo agli uomini. Treccani: “Certo che ci è voluto un disastro maschile!”



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