Il 9 marzo scorso la BBC titolava: «Una donna su tre al mondo (circa 736 milioni di donne) ha subito violenza fisica o sessuale, secondo l’ultimo report dell’OMS». Il report in questione era stato appena pubblicato e ovviamente le testate di tutto il mondo, comprese le nostre, hanno fatto eco a questa allarmante emergenza. Ma è proprio così? Non esattamente. Anzitutto diamo una lettura al report illustrandone alcuni fatti chiave. Si tratta di una meta-analisi di sondaggi compiuti tra il 2000 e il 2018 nei 194 Stati membri dell’ONU e altri territori, sui risultati dei quali è stato aperto anche un database. Il report dichiara esplicitamente che si è basato su tutti i sondaggi disponibili: si deve quindi mettere in conto preventivamente che la difformità di campioni, definizioni, e metodologie impiegate rende impossibile una qualsiasi proiezione dei risultati sulla generalità della popolazione. Nel report si dichiara poi che i dati raccolti si focalizzano su due tipi di violenza (subita “almeno una volta nella vita”): quella cosiddetta “domestica” o IPV (Intimate Partner Violence), ossia maltrattamenti e abusi nel contesto della coppia, e quella “sessuale” in generale.
Le definizioni ci rivelano che nella descrizione mediatica dei risultati del report c’è un’omissione importante: infatti nella violenza domestica si considera inclusa quella psicologica, a sua volta comprensiva di casi quali: «intimidire, offendere, sminuire la partner, tentativi di controllarne il comportamento (isolare una persona dalla propria famiglia, monitorare i suoi spostamenti…)». In pratica se una donna una volta nella vita si è sentita dal proprio partner sminuita, offesa, o ostacolata nell’andare in visita presso la propria famiglia di origine, o anche solo controllata in merito a dove andasse (magari per semplice curiosità, o preoccupazione?) il caso rientra nella casistica di violenza qui raccolta. Stesso discorso per la definizione di violenza sessuale: non è incluso solo lo stupro, ma anche il tentato stupro, i contatti non graditi, e «forme di violenza sessuale senza contatto» (ad esempio l’invio di messaggi o commenti erotici).
Risulta prevalente la vittimizzazione dell’uomo.
Ed ecco che il report snocciola i suoi numeri da emergenza globale: il 23% delle donne intervistate (questa la media globale accertata; una stima incerta la alza fino al 27%, e ovviamente è questo il numero che viene usato) sono vittime di violenza domestica/IPV definita come sopra. La drammatica statistica “1 su 3” è ottenuta prendendo la proiezione più alta e sommandola alle vittime di violenza sessuale definita come sopra, la cui media globale è stimata al 6%, ignorando completamente eventuali sovrapposizioni (ad es. le vittime di abuso sessuale nel contesto della coppia). Assistiamo quindi a un fatto semplice quanto prevedibile: allargando a dismisura le definizioni di ciò che viene richiesto ai soggetti e giocando un po’ coi numeri, si ottengono statistiche gonfiate ad libitum. Ma il problema principale è un altro. Il report dell’OMS è commissionato dall’UN Women e quindi, ovviamente, ignora la violenza sulle vittime maschili. In una nota a margine (!!) l’ufficio giustifica così questa scelta: «Pur riconoscendo che le donne possono perpetrare violenza contro i partner… le evidenze empiriche mostrano che è perlopiù (most commonly) perpetrata da uomini contro donne». Il che è semplicemente falso, oltre che metodologicamente aberrante, come abbiamo spiegato qui.
Lo dimostrano sempre più studi, a partire da quello ormai classico di Whitaker et al. 2007 i cui autori si dovettero dichiarare, nero su bianco, sorpresi di trovare che nei casi di violenza di coppia non reciproca, il 70% dei perpetratori erano donne. Una fonte particolarmente ampia e autorevole che conferma e sancisce una volta per tutte la falsità dell’affermazione “a margine” dell’OMS, è il cosiddetto P.A.S.K. (Partner Abuse State of Knowledge Project), un vastissimo database e meta-studio sulla violenza domestica/IPV realizzato dalla rivista accademica Partner Abuse insieme a un’associazione di contrasto alla violenza domestica. Il progetto ha passato in rassegna migliaia di studi accademici e sondaggi, ma non indiscriminatamente come il report dell’OMS, bensì facendone una selezione ragionata in base a campioni e metodologie corrette (ad es. campioni randomizzati e non presi all’interno di una specifica categoria, come successo invece per il recente sondaggio di Hollaback!). Ebbene, risulta che il 23,1% delle donne e il 19,3% degli uomini riportano di aver subito violenza fisica in un contesto di coppia; che tra i perpetratori dei casi di violenza di coppia non reciproca (42%), il 13,8% sono uomini, il 28,3% (quindi il doppio) donne; e guardando al contesto globale, per quanto riguarda la violenza fisica, risulta prevalente la vittimizzazione dell’uomo da parte del carnefice donna nel 62% degli studi analizzati – ma non manca la violenza psicologica, compresi comportamenti di controllo e sottomissione del partner, perpetrati prevalentemente da donne nel 67% degli studi analizzati.
Le persone credono più facilmente a una grossa bugia.
Interessante anche notare che si conferma il dato già noto per cui la violenza di coppia è significativamente più frequente nelle coppie omosessuali rispetto a quelle eterosessuali (e maggiore tra le coppie lesbiche che tra quelle gay), con buona pace del mito del maschio etero cis quale essere violento per eccellenza. Gli autori del progetto sottolineano che: «Nel loro complesso, questi risultati vanno ad aggiungersi a una crescente mole di letteratura che documenta una simmetria tra le vittime di violenza maschili e femminili. Questa vasta analisi dello stato dell’arte in questo campo documenta la necessità di una risposta più inclusiva a questo problema di salute pubblica; in particolare, ci sono attualmente pochissimi servizi offerti alle vittime maschili, ma la realtà dei fatti suggerisce la necessità di strategie di intervento e prevenzione per entrambi i generi». Il peso dell’uso dei media di riportare statistiche false, o gonfiate, od omettendone una necessaria contestualizzazione, è facilmente attestabile se guardiamo alle numerose campagne che stanno nascendo in reazione a dati come quello, che qui abbiamo smontato, del 97% di donne vittime di violenza di strada (report UN Women UK 2021): un movimento di giovani inglesi si è addirittura chiamato “The Ninety7 Group”, mentre qui in Italia è nato ad esempio DonneXStrada che con l’agghiacciante sottotitolo «Vogliamo tornare a casa senza essere ammazzate», in pochissimo tempo ha già raggiunto oltre 75.000 followers (e se ancora soldi non ci girano, ci gireranno presto, a giudicare dalle intenzioni dichiarate).
Questa martellante e costantemente rinnovata campagna di falsità e terrore (e ricerca fondi) è tanto più vergognosa, in quanto viene alimentata sulla pelle delle vittime maschili di violenza, scientemente trattate quali invisibili e abbandonate a se stesse, e sulla paura delle giovani ragazze, indotte a temere il maschio in quanto tale, a prescindere, e in ogni luogo e contesto. E questa, vorremmo dire, è una vera e propria forma di violenza – verso entrambi i generi. Nel 1943 lo psicologo Walter Langer fu incaricato dall’esercito americano di delineare un’analisi psicologica del modo di pensare e delle strategie di Adolf Hitler, e nel suo interessantissimo rapporto scriveva che le regole principali della strategia del dittatore erano così sintetizzabili: «Mai tranquillizzare il pubblico; mai ammettere una colpa o un errore; mai concedere che ci possa essere qualcosa di buono nel nemico; mai lasciare spazio ad alternative; concentrarsi su un singolo nemico alla volta, e dare a lui la colpa di tutto ciò che va male; le persone credono più facilmente a una grossa bugia, che a una piccola; e se la si ripete abbastanza spesso, prima o poi tutti finiranno per crederci». Suona familiare?