L’anno nuovo inizia all’insegna dell’imparzialità, dell’inclusività, della democrazia: Linda Laura Sabbadini è di nuovo direttorA ISTAT. La ricercatrice più gender oriented della storia guiderà di nuovo l’autorevole istituto di ricerca nazionale, quindi prepariamoci ad avere esclusivamente indagini finalizzate a dimostrare quanto sia penalizzata la condizione di ogni donna, quanto la società italiana sia inquinata dal patriarcato e quanto tutti gli uomini italiani godano di un clamoroso privilegio maschile al quale corrisponde una cronica oppressione di tutte le donne italiane. Separazioni e divorzi, affido dei figli, infortuni sul lavoro, occupazioni pericolose ed usuranti, aspettative di vita inferiori, tassi di suicidio, abbandono scolastico, detenzione in carcere e riduzione sotto la soglia di povertà… solo alcuni dei settori nei quali parlare di privilegio maschile risulta a dir poco ridicolo. Ma il leit-motiv del vittimismo è sempre la violenza, propagandata a senso unico con i ruoli stereotipati di uomo-carnefice (sempre) e donna-vittima (sempre). In questo Linda Laura Sabbadini è maestra.
È in arrivo una ulteriore ondata, e non stiamo parlando del covid, ma del diluvio di report farlocchi su un femminicidio ogni due giorni, una denuncia per stalking ogni 15 minuti, un catcalling ogni 30 secondi, una violenza sessuale ogni due ore, una violenza fisica ogni mezz’ora. La statistica al servizio dell’ideologia, con questionari confezionati ad hoc per costruire quadri allarmistici. Le mappe mentali di lady Sabbadini emergono dalle sue ultime esternazioni sulla sentenza di Benevento, dove un PM donna (PubblicA MinisterA, come preferirebbe qualcunA) ha chiesto l’archiviazione per le accuse di presunta violenza sessuale, lamentate da una donna che, dopo essersi separata dal marito, ne ha denunciato gli approcci insistenti. Un classico: ciò che non è reato in costanza di matrimonio, lo diventa dopo la separazione. Tanto basta dirlo, è indimostrabile il contrario, e di solito fioccano le misure cautelari fondate sul nulla. Intanto viene fatto poi con calma, piano piano, senza fretta, salta fuori che non c’erano reali motivi per farlo. I lettori di questo portale sanno quante volte abbiamo trattato questo argomento e sanno che abbiamo in archivio una miriade di archiviazioni, proscioglimenti ed assoluzioni da accuse che alla verifica giudiziaria si rivelano infondate. Di recente sul tema abbiamo anche prodotto un video piuttosto significativo:
Quando è la presunta vittima a definire il reato.
La casistica registra false accuse nelle cause di lavoro, nelle liti di condominio, nelle dispute economiche, negli attriti genitori-figli, nelle ritorsioni tra ex amanti e nelle vendette tra ex fidanzati, ma la stragrande maggioranza matura proprio nei contesti separativi come rilevano ormai da anni le stesse operatrici del Diritto. Quando capita un magistrato che non abbocca e valuta diversamente, si scatena un putiferio; sono tante le voci levatesi nella protesta corale contro la dottoressa Flavia Felaco. La sua richiesta di archiviazione non è certo tombale, sarà oggetto del contraddittorio dinanzi ad un gip che dovrà decidere se archiviare, approfondire con ulteriori indagini o rinviare a giudizio come succede ogni giorno, più volte al giorno, in ogni Tribunale d’Italia. È solo uno dei diecimila casi che intasano gli uffici inquirenti di tutto lo Stivale, però gli indignatissimi contestatori gridano allo “scandalo”. Contestatori tra i quali emerge la Sabbadini, che dichiara candidamente:
Si autocita! L’indagine sui femminicidi è anche farina del suo sacco e sulla sua cristallina imparzialità abbiamo già scritto qui e qui. Comunque, nel perfetto stile del Vittimificio SRL, fa sempre comodo scivolare dal rapporto coniugale, seppure chiesto con insistenza, al femminicidio: non c’entra nulla ma certa gente con la logica ha litigato da tempo. Poi si avventura in nel terreno per lei impervio del Diritto, sostenendo che le donne non sempre vengono credute quando si dichiarano vittime di violenza, mentre lo stesso scetticismo non c’è per rapine, scippi e borseggi. Beata ingenuità, se di ingenuità si tratta. Stia attenta, direttorA, provo a spiegarlo con parole semplici: la rapina è un fatto oggettivo, la violenza sessuale no. Diventa violenza nella misura in cui la vittima la percepisce come tale, lo stesso identico gesto può non essere violenza se lascia una donna indifferente o addirittura le fa piacere, può essere violenza se invece non le fa piacere ma la fa sentire umiliata, violata, costretta. Un esempio chiarificatore è il recentissimo clamore suscitato dalla pacca sul sedere dell’anonima giornalista toscana, improvvisamente elevata a simbolo di tutte le vittime di violenza sessuale: per l’autore della terribile violenza i media e i social hanno invocato la condanna a 12 anni di reclusione. Il giorno dopo un ex atleta è stato palpato dalla conduttrice in diretta RAI ma lui rideva, non si è indignato, non ha protestato, non ha fatto nascere un caso nazionale. Il gesto è identico (anzi, è più lascivo e invasivo quello subito dal ragazzo), ma la configurazione del reato dipende esclusivamente dalla percezione della presunta vittima.
I fondi PNRR sullo sfondo di statistiche deviate.
Tutto ciò è l’effetto dello spostamento dall’oggettività alla soggettività dell’asse giudiziario, ormai da tempo – almeno dal 2009, con l’introduzione nel nostro ordinamento dell’art. 612 bis cp – slegato dall’oggettività di un comportamento e legato all’effetto di tale comportamento nella percezione di chi se ne dichiara vittima. Inoltre il paragone è fazioso, nel perfetto Sabbadini-style: lamenta che le donne non vengano credute quando raccontano una violenza, ma evita di fare il parallelismo con l’identica casistica al maschile che testimonia come gli uomini, molto più delle donne, si scontrino con lo scetticismo sia delle Forze dell’Ordine che dell’Autorità Giudiziaria quando denunciano di aver subito violenza dalle mogli o ex mogli, conviventi o ex conviventi, fidanzate o ex fidanzate. Chissà se ha un’idea, la direttorA, della percentuale di archiviazioni delle denunce maschili in tal senso? Oppure crede e vuol far credere che l’intera magistratura, intrisa del più becero maschilismo, non veda l’ora di accogliere acriticamente migliaia di denunce maschili per il gusto di condannare eserciti di donne?
Fa invece il paragone tra le donne che denunciano violenze sessuali, unica categoria eternamente ed patriarcalmente penalizzata, e i cittadini che denunciano rapine, scippi, borseggi. Ecco con quali argomenti Linda Laura Sabbadini tenta di dimostrare la secolare discriminazione della quale sarebbero vittime le donne. Nei prossimi anni le indagini conoscitive dell’ISTAT verranno condotte con tale strategia, evitando quindi di sottoporre un identico questionario a un campione composto da uguale numero di uomini e donne. Riflettori puntati esclusivamente sulla condizione femminile, in modo tale da evitare di conoscere (ma soprattutto di far conoscere) dati, stime e proiezioni sulla violenza subita da donne e uomini, sull’asimmetria delle pene erogate a donne e uomini per reati analoghi, sulle attenuanti concesse a donne e uomini, sulle chiamate al 1522 sempre magicamente in aumento qualunque cosa accada, sull’assoluta necessità di moltiplicare i centri antiviolenza, sulle misure a tutela delle vittime di violenza previste per le donne e inesistenti per gli uomini, sui redditi di donne e uomini a parità di rendimento, e tanto altro ancora. Si prospettano anni pieni di “imparzialità” sabbadiniana, insomma. D’altra parte ci sono ben 17,1 miliardi di euro di recovery fund da distribuire per le “politiche di genere” e una copertura statistico-ideologica del conseguente sperpero è assolutamente fondamentale.