L’idea che i maschi valgano meno delle femmine (F=m+kF) rimanda a un divario nelle relazioni individuali che deve essere compensato affinché i due si collochino allo stesso livello. Starà così all’uomo operare per raggiungere la parità attraverso il corteggiamento il quale, posto a carico dei maschi ovunque in natura, è la prima conseguenza di quella disparità. Un complesso di azioni che richiedono applicazione di energie, di tempo, l’assunzione di rischi, l’investimento di risorse economiche, psicologiche e che implica scelte e rinunce. Il risultato è un insieme di benefici materiali e immateriali da offrire alla femmina, unico modo a disposizione per pareggiare il valore. È una dote che deve ovviamente venire comparata a quella che gli altri maschi possono mediamente offrire in ciascun contesto e ambiente socioeconomico. In natura gli esempi di corteggiamento sono praticamente infiniti e tra essi vanno computate anche le lotte inframaschili, sia nel periodo degli amori, sia quelle permanenti connesse alle gerarchie di gruppo (con i rischi e le perdite connesse) il cui scopo è sempre lo stesso: la conquista di opportunità sessuali/riproduttive.
Il corteggiamento però non va confuso con i gesti classici che lo rappresentano: la cena offerta, i regali, le anticipazioni nelle piccole incombenze quotidiane e meno ancora – per carità – con la serenata e le rose (che non si usano più, come cantava Massimo Ranieri ben mezzo secolo fa). Questi sono gesti simbolici emergenti che rendono (o meglio: rendevano) visibile il sottosuolo. La dote maschile è sempre stata il possesso di un reddito e di uno status, con quel che essi consentono di avere e perciò di offrire, per ottenere i quali però bisogna “darsi da fare” (se si ereditano non cambia nulla, vuol dire solamente che a suo tempo qualcun altro si era “dato da fare”). Un tetto, il pane e la legna sono state per millenni la vera sostanza del corteggiamento maschile, a fronte del quale alla donna non veniva chiesto nulla. Ciò spiega – en passant – perché il corteggiamento inverso, da parte delle femmine, sia un nonsense, suoni stonato e fuori luogo anche quando è puramente simbolico. Con esso infatti la femmina aggiungerebbe ulteriore valore a se stessa, allargando il divario a dismisura e operando, per giunta, su un piano che non è il suo, quello dell’azione. Per questo risulta sempre goffo, maldestro e imbarazzante. Il corteggiamento speculare – ventilato, propagandato – è una fiaba femminista.
Tutto ciò che esiste è un fantasmagorico atto di corteggiamento.
Allo scopo di procurarsi benefici e utilità da donare, il maschio si mette in moto, agisce nel mondo creando, inventando, costruendo, scambiando, operando in modo lecito ma anche illecito, moralmente degno ma anche indegno, giacché alla specie non interessa il modo con cui quella dote compensativa venga acquisita. Può suonare inammissibile includere gli atti immorali/illegali tra quelli funzionali all’acquisizione di risorse da destinare al corteggiamento, ma è un fatto che l’origine dei beni non viene mai indagata dalle corteggiate. Se l’origine etico-legale dei beni offerti avesse importanza, truffatori e strozzini, ladri e rapinatori, mafiosi e narcos non avrebbero chance. Invece ne hanno al pari degli onesti. Delinquere però è pericoloso e infatti da sempre le prigioni di tutto il mondo abbondano di uomini e scarseggiano di femmine. Nove milioni all’inferno (a fronte di un 3-4% di donne, in purgatorio).
Le risorse da impiegare nel corteggiamento sono dunque frutto dell’azione, diretta o indiretta, remota o immediata, esercitata in qualsiasi modo e forma, con i suoi presupposti e i suoi costi. I funambolismi della pirotecnica e spesso autolesionista azione maschile non si limitano però all’obiettivo della relazione individuale con le femmine. Non vi è infatti alcuna ragione per la quale debba e possa confinarsi in quell’alveo. Al contrario, riguarda l’intero spettro degli scopi possibili e si espande fino a comprendere la totalità dell’agire. E qual è il prodotto collettivo e complessivo, globale e universale di tale azione se non la quasi totalità dell’esistente? Mi chiedo allora se questo “tutto” non debba portare il nome di Civiltà dal momento che Civiltà indica precisamente e per definizione proprio il Tutto. Mi chiedo se il “Cantami o Diva…” non sia l’incipit, l’invocazione, talvolta espressa ma quasi sempre implicita, di ogni creazione e perciò la Civiltà un colossale, fantasmagorico gesto di corteggiamento, la dote che un intero Genere offre all’altro.
Le meraviglie create dall’uomo per la Musa.
Le Civiltà non sono forse creazioni modellate con l’invenzione di nuove forme sociali, istituzionali, relazionali, organizzative, tecniche, economiche, valoriali, architettoniche, artistiche materiali e immateriali? La loro creazione non presuppone forse quelle stesse qualità, capacità, predisposizioni, orientamenti, vocazioni impiegate ed esercitate nel corteggiamento? Le medesime. Sono dunque connesse a quel “disvalore” di cui parla l’equazione. A quella carenza sono legate inestricabilmente/radicalmente. Sembra impossibile che una condizione di svantaggio porti con sé potenzialità tali da trasformarla in ricchezza. Ma il paradosso è solo apparente, giacché in natura i limiti sono sempre stati il trampolino che ha lanciato le creature verso nuove speciazioni, nuove forme e nuovi comportamenti.
La fecondità di quella ambivalenza si manifesta già nel fatto che alle donne viene universalmente riconosciuto il diritto alla paura e che nessuno le biasimi se rifuggono da rischi e pericoli. Ovvio: chi vale di più ha il dovere di tutelarsi. Dagli uomini, invece ci si aspetta la vittoria sulla paura e cioè il coraggio. Cosa si può fare senza di esso? Quella formula sintetizza così una condizione ambivalente che non va negata né respinta e della quale è giunta invece l’ora di considerare e ammirare la parte feconda e luminosa giacché è generatrice di una cornucopia di meraviglie. Le Civiltà possono finalmente esser considerate espressione di un corteggiamento collettivo praticato su scala planetaria, sotto ispirazione di quella Musa della quale parla questo podcast di Davide Stasi. Musa: allegoria dell’ispirazione/pulsione che lancia l’uomo nel mondo verso la creazione. Teniamoci dunque stretto quel disvalore darwiniano perché è in forza di esso che gli uomini da sempre fanno cose grandi e ammirevoli. Talvolta meravigliose.