Troia era una città nell’attuale Turchia, nei pressi dello stretto dei Dardanelli. La sua economia era basata sugli scambi commerciali e l’allevamento di ovini, ma è passata alla storia e entrata nel lessico comune grazie ai cavalli, in particolare uno. Secondo l’Eneide, esausti dal conflitto con i Troiani che si trascinava da molto tempo, i Greci escogitarono lo stratagemma di fingere di ritirarsi lasciando un enorme cavallo di legno sulla spiaggia di fronte la città. Il cavallo era carico di soldati ben nascosti al suo interno: scambiato come un pegno pagato agli Dèi per la ritirata, venne portato dentro le mura dai Troiani ignari. I soldati Greci poterono così uscire nottetempo dal nascondiglio equino, e aprire le porte della città all’esercito dei compagni. La città fu data alle fiamme e gli abitanti massacrati. Questa è con ogni probabilità una leggenda letteraria, ma l’uso di cavalli di questo tipo non lo è affatto e se ne colgono molti esempi nella contemporaneità: scopriamone uno molto attuale.
Abbiamo discusso ampiamente le ragioni per cui il “Ddl femminicidio” proposto dall’attuale Consiglio dei Ministri costituisce un’aberrazione discriminatoria e anticostituzionale. In questi giorni il Ddl è stato criticato anche da molti soggetti gravitanti in quell’area politica e intellettuale che di solito fa delle “questioni di genere” il proprio cavallo di battaglia, ma non per le stesse ragioni: sinistra, destra, centro e angoli sono tutti d’accordo sul fatto di discriminare gli uomini e dare una narrazione della violenza a sesso unico, l’oggetto del contendere sta piuttosto nelle strategie da privilegiare per risolvere questa “terribile piaga”. Secondo tale critica, il Ddl sarebbe l’ennesima misura repressiva atta a punire più duramente il reato, nella speranza che ciò costituisca un deterrente, ma la strategia di deterrenza risulterebbe inefficace oltre una certa soglia (ovvio: chi delinque nella stragrande maggioranza dei casi sa benissimo che certi atti sono illegali e duramente puniti, ma li commette lo stesso). Bisognerebbe perciò puntare piuttosto sulla prevenzione, da attuare tramite un “cambiamento culturale”, strumento prioritario del quale sarebbe la “educazione sessuale-affettiva nelle scuole”, obbligatoria in molti paesi ma ancora facoltativa in altri tra cui l’Italia.
Cavalli di legno glitterati e pieni di soldati queer.
«Nei Paesi dove c’è l’educazione sessuale nelle scuole non c’è un calo dei femminicidi» ha affermato Roccella in risposta a queste critiche. Da più parti gli oppositori si sono affrettati a sostenere che questa affermazione sarebbe smentita dall’evidenza scientifica internazionale, ad esempio così Fanpage: «Il Global Education Monitoring dell’Unesco ha pubblicato il rapporto “Comprehensive sexuality education (CSE) country profiles“, analizzando politiche e attività di ‘Educazione sessuale comprensiva’ effettuata su 50 nazioni. Già nel 2018, Unesco aveva sottolineato l’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole. E già nel 2010, l’OMS aveva raccomandato l’avvio di tali programmi educativi fin dalle scuole materne. Secondo l’Unesco, nelle nazioni dove sono stati implementati questi percorsi, si è riscontrato un netto miglioramento della situazione»; Più Europa: «Roccella dice no all’educazione sessuo-affettiva nelle scuole perché, dice, non ridurrebbe i femminicidi … Ma la realtà è un’altra: la violenza contro le donne ha radici culturali e sociali precise, e la scuola è uno degli strumenti più potenti per spezzarle. Lo dicono, tra gli altri, l’OMS e l’Unesco: dove si insegna il rispetto, il consenso, l’educazione alle emozioni e alle relazioni sane, i benefìci ci sono»; oppure il giornalista di Domani Simone Alliva con un commento dello stesso tenore, con riferimento alla fonte Unesco 2018.
Poiché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, sarà bene dare un’occhiata diretta a queste fonti. Il documento OMS del 2010 non cita evidenze scientifiche a sostegno dell’efficacia preventiva della CSE sulla violenza (si limita ad affermare che vi “contribuisce”, a pag. 27, ma senza spiegare come né fornire prove). Esso fornisce piuttosto un quadro di riferimento standard per l’implementazione dell’educazione sessuale-affettiva nei programmi scolastici: documento da tempo famigerato, perché in esso si sostiene che sarebbe «importante» che queste lezioni vengano impartite già «prima dei 4 anni» (pag. 34); e già tra gli insegnamenti per la fascia 0-4 anni sono presenti una serie di cavalli di legno tinti di arcobaleno, cosparsi di glitter e pieni di soldati queer e drag queens, tra cui «rispetto per l’equità di genere; acquisire consapevolezza dell’identità di genere; il diritto di esplorare le identità di genere; la consapevolezza che possono decidere per sé stessi» (pp. 38-39, corsivo nostro, qui e nel seguito). Sarebbe interessante chiedere di articolare meglio la propria posizione su questi punti, a coloro che hanno citato il documento OMS 2010 a sostegno dell’educazione sessuale-affettiva nelle scuole. Il rapporto citato da Fanpage è un breve documento del 2023 che inizia con la domanda: «perché l’“educazione sessuale comprensiva” è importante?». La risposta è: «una corretta CSE fornisce ai giovani l’opportunità di ricevere insegnamenti sulla sessualità in modo equilibrato … e contribuisce a costruire le condizioni per creare una società inclusiva»; «gli effetti benèfici della CSE includono una ridotta vulnerabilità a rischi di salute sessuale; la comprensione corretta del “genere” (“gender”) e dei ruoli di genere; il riconoscimento dell’uguaglianza di genere, dei diritti e della giustizia sociale (“social justice”); una migliore conoscenza e attitudine in merito alla violenza di genere, inclusa quella omofobica»; e finalmente, dopo questa nuova serie di cavalli di legno tinti di arcobaleno, cosparsi di glitter e pieni di soldati queer e drag queens, viene menzionata «una diminuita perpetrazione di violenza sessuale e relativa vittimizzazione».
Nessun riscontro vero.
Ma, come chiunque può verificare, non si fa nessuna menzione né della violenza domestica (o intimate partner violence, IPV) né di quello che secondo certe teorie delle piramidi assassine sarebbe il “culmine” di essa, il “femminicidio”: si menziona unicamente la violenza sessuale. Ad ogni modo, le fonti citate a sostegno di queste affermazioni sono due: 1) un altro documento Unesco, le “linee-guida” internazionali per l’educazione sessuale rilasciate nel 2018; 2) una review di Goldfarb e Lieberman pubblicata sul Journal of Adolescent Health. Dato che fidarsi è bene, non fidarsi è meglio, sarà bene dare un’occhiata diretta più da vicino anche a queste fonti. Le linee-guida del 2018 – che a pag. 3 sfoggiano il bel logo della Agenda 2030 per l’educazione globale, tra i cui obiettivi espliciti c’è la «perturbazione» dello «status quo» (cfr. pag. 18 della relativa “tabella di marcia”) – delineano la CSE in tutti i suoi aspetti: quali bisogni di bambini e adolescenti andrebbe a colmare, i concetti chiave, come dev’essere proposta e realizzata nelle scuole, eccetera. Il capitolo (e unica porzione del documento) dedicato all’evidenza scientifica a supporto dell’utilità e degli effetti benefici della CSE è un breve testo di quattro pagine (28-31). In esso sono estremamente sintetizzati i risultati delle review commissionate da Unesco nel 2008 e poi nel 2015, pubblicati i rispettivi anni seguenti (di cui ad esempio Alliva cita convenientemente solo il numero di studi interpellati, senza fare ulteriori analisi), secondo i quali la CSE obbligatoria sarebbe efficace nel produrre i seguenti effetti benèfici negli studenti: «un inizio più tardivo dell’attività sessuale; una minore frequenza degli atti sessuali e dei partner sessuali; un aumento dell’uso della contraccezione e del preservativo». Punto.
In seguito (pagg. 28-29) viene affermato sì che «la review del 2016 menziona un buon numero di studi, i quali però non sono stati considerati per mancanza dei requisiti minimi di attendibilità (es. non-randomizzati, o privi di campione di controllo, o di bassa qualità) che possono comunque suggerire potenziali effetti della CSE nel contribuire a produrre cambiamenti oltre quelli menzionati, come la prevenzione e la riduzione della IPV, della ‘violenza di genere’, e della discriminazione di genere». Un tantino aleatorio. Per quanto una maggiore consapevolezza sul fare sesso protetto specie in età molto giovane possa essere certamente valutata come positiva, viene da chiedersi cosa ca…vallo c’entri con il “femminicidio”, o anche solo con la violenza sessuale, e soprattutto se valga la pena spendere soldi pubblici per inserire attività curriculari obbligatorie, fin da prima dei 4 anni (come raccomanda l’OMS), per ottenere (forse) questo unico risultato, sapendo peraltro che a latere verranno pompati nei cervelli dei bimbi quintali di omini genderbread, mascolinità tossiche, piramidi della violenza e quant’altro. (continua)