È trapelata, anche se più su alcuni profili social che sui media mainstream, la notizia dell’iniziativa di alcuni stati americani orientata a permettere l’aborto in modo estensivo, fino a dopo la nascita del bambino. Come facemmo già in passato per una legge similare approvata dallo Stato di New York, siamo andati alla ricerca delle fonti, arrivando al testo delle normative in causa. Al momento si tratta soltanto di proposte di legge, depositate a inizio marzo nello Stato del Maryland (qui il testo della proposta di legge) e qualche giorno fa in quello della California (qui il testo della proposta di legge). Quest’ultima rappresenta la più “spinta”, e come tale chiude la sequela orientata all’apertura indiscriminata all’aborto inaugurata appunto dalle precedenti disposizioni newyorchesi e di recente legittimata anche da coraggiose elaborazioni scientifiche e bioetiche, di cui parleremo a breve. Prima è opportuno vedere nel dettaglio cosa prevedono le due proposte di legge.
In nessuna delle due si dice a chiare lettere che l’aborto è consentito in qualunque momento della gestazione e anche dopo il parto, ovviamente. A questo punto non ci sono arrivati. Per ora. Il meccanismo legislativo è molto più sottile. Entrambe premettono che nessun diritto, né lo status di persona, vengono riconosciuti al feto. Dopo di che, nel dettaglio, le due proposte differiscono leggermente. In quella del Maryland si vieta ogni tipo di indagine o investigazione o condanne penali in casi di morte del feto susseguenti a procedure abortive fallite (failure to act nel testo di legge) o omissioni di cura, avvenuti durante la gestazione 0 fuori grembo nella fase “perinatale”. Quest’ultimo termine indica usualmente un periodo pari a un mese dopo il parto. La legge viene presentata come un modo per depenalizzare casi in cui un aborto non riesce: se succede, lasciar morire il feto omettendo di curarlo, anche dopo che è nato, sarà un atto non perseguibile. Il punto è che se non è permessa alcuna indagine, sarà possibile a chiunque abortire fino a 28 giorni dopo il parto in qualunque circostanza e non solo a seguito di procedure abortive fallite. Non solo: secondo la proposta di legge, chiunque svolga indagini su un aborto o sulla morte di un feto nelle circostanze previste dalla legge, potrà essere denunciato da chi è stato oggetto delle indagini stesse e conseguentemente sanzionato.
L’infanticidio legittimato dalla scienza.
La proposta di legge californiana, lo si è anticipato, va oltre. Sotto l’eufemismo del “diritto a decisioni riproduttive personali” amplia l’immunità già prevista dal Maryland aggiungendo casi in cui la morte del feto è causata non solo da omissions (omissioni) o failure to act (fallite procedure abortive), ma anche da actions, cioè da vere e proprie azioni volontarie orientate alla soppressione del feto sia nel grembo materno in qualunque momento della gestazione, sia, essendo sempre compreso il periodo “perinatale”, nelle quattro settimane successive alla nascita. In California sarà quindi legale non solo “lasciar morire” il feto o il neonato, ma anche sopprimerlo. L’immunità, nella proposta californiana, è estesa anche a chiunque aiuti o assista a qualunque titolo le procedure di soppressione. Anche in questo caso è prevista la denuncia e severe sanzioni contro chiunque svolga indagini, investigazioni o tenti di portare in tribunale chi abbia provocato la morte di un feto nella casistica rientrante nella normativa. Che, se approvata, altro non sarebbe, così come quella del Maryland (e prima ancora quella dello Stato di New York o di altre leggi simili in Australia, Francia e Olanda), che una legittimazione dell’infanticidio, nascosto dietro la foglia di fico dei “diritti riproduttivi femminili” e del “diritto all’aborto”. Ripetiamolo: infanticidio legalizzato. Né più, né meno.
Come ci si è potuti spingere così in là in quella che, anche ammettendo l’interruzione di gravidanza come strumento terapeutico che si ha il diritto di utilizzare in determinati e specifici casi, è una vera e propria aberrazione ritenuta universalmente inaccettabile fino a poco tempo fa? Ci si è riusciti grazie a una connessione fatale e letale, quella che ormai da diversi anni si è stabilita tra cultura “liberal” (noi diremmo “progressista”) e scienza (con la sua versione degradata, lo “scientismo”). Da tempo l’una, con i suoi business correlati, tiene bordone all’altra: l’ambito scientifico può spingere la ricerca oltre i confini dell’etica grazie al benestare e alle risorse della politica, che a sua volta trae dalla scienza la legittimazione per attuare un’agenda specifica. Nel dettaglio, la legittimazione dell’infanticidio è stata scientificamente affermata già da un po’, tra gli altri anche per opera di alcuni ricercatori italiani. È degli studiosi Alberto Giubilini, Francesca Minerva e Nicola Riva, infatti, il saggio “L’aborto post-nascita”, che potete leggere qui, edito dal Centro Einaudi. Noi l’abbiamo letto, con fatica e sofferenza. Semplificando al massimo per brevità (ma vi invitiamo a leggere il testo integrale, per farvi un’idea più articolata), la tesi centrale è: se finora è stato permesso sopprimere un feto durante la gestazione, perché non dev’essere possibile farlo dopo la gestazione? Le tesi dei tre studiosi hanno suscitato molto interesse in ambito scientifico e bioetico, anche perché sono state proposte su importanti riviste scientifiche internazionali. Alcuni legislatori e tutt’intera la cultura “liberal” ha colto la palla al balzo, ed ecco, anche, come si arriva alle proposte di legge del Maryland e della California.
Rispondere all’emergenza con l’orrore.
Che a noi, aperti sostenitori dell’interruzione di gravidanza per motivi terapeutici o sociali (stupro, incesto, eccetera) accertati, appaiono un’aberrazione assoluta. Saremo vecchi, obsoleti, antiscientifici, ma questo è il nostro parere. Che non può fare a meno di inquadrare la questione su una prospettiva più ampia, ovvero quella dell’utilizzo della morte come strategia nel presente per impostare il futuro. Proposte di legge come queste fanno il paio con gli sforzi che in varie parti dell’occidente si fanno per facilitare il “fine vita”. Anche quest’ultimo è uno scenario che, a nostro avviso, ammette diverse concessioni, in determinate circostanze, eppure la sensazione è che il progressismo punti anche in quel caso all’apertura di possibilità indiscriminate di distribuire morte, il tutto travestito (naturalmente) da “diritto”. Ci pare insomma che emerga un’ansia di uccidere, a monte (aborto post-natale) e a valle (vecchiaia e malattia) dell’esistenza delle persone. Il vero dilemma è trovare il motivo alla base di questo culto della morte indiscriminata. Sulla questione abortiva, c’è chi dice che il mercato dei tessuti fetali abbia sempre più bisogno di materia prima; altri, in modo più credibile, sostengono che questo culto della morte è un modo per perseguire uno degli obiettivi malthusiani dell’Agenda 2030 dell’ONU, ovvero ridurre in fretta la popolazione per evitare future catastrofi ambientali. Il che significherebbe rispondere a un’emergenza con l’orrore. Cosa tipicamente “liberal”, grave di per sé e ancor più in presenza di alternative assai più razionali, conservative ed etiche.