di Fabio Nestola. Sorprende, ma poi neanche tanto, la deriva unidirezionale presa dal Consiglio d’Europa. E dall’articolo de Il Messaggero. Le linee guida del Consiglio sono influenzate dal GREVIO, come all’ONU dal CEDAW, come al gruppo GEDI dalla Murgia. La sostanza cambia poco, si tratta sempre di un orientamento fortemente ideologizzato lontano anni-luce da una cristallina imparzialità. La preoccupazione nasce dalla percentuale anomala (rispetto a cosa, viene rilevata una media europea? Quali sono le percentuali e dove sono pubblicate? Come si colloca l’Italia rispetto agli altri Paesi?) delle denunce per violenza domestica che finiscono con un proscioglimento in istruttoria. Probabilmente a Strasburgo non sanno che in Italia il reato di violenza domestica non esiste. È una dicitura utilizzata esclusivamente a livello di comunicazione gender oriented, un chiaro richiamo alla Convenzione di Istanbul, di cui il Consiglio d’Europa è stato promotore, ma resta il fatto che nel nostro codice penale tale reato non esiste.
La violenza domestica, termine mediatico ma non giuridico, è l’errata dicitura sotto la quale possono intendersi reati effettivamente previsti dal codice penale quali abuso di mezzi di correzione (571), maltrattamenti in famiglia (572), percosse (581), lesioni (582), violenza sessuale (609 bis), minacce (612), atti persecutori (612 bis) ed altri meno frequenti. Tuttavia la preoccupazione del Consiglio d’Europa risulta essere estremamente curiosa sia per la sua genesi che per le clamorose omissioni. L’asserita preoccupazione nasce da un singolo ricorso preso in esame a Strasburgo, Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per il caso Andrei Talpis. Andrei nel 2013 uccide il figlio Ion e ferisce la moglie Elisaveta, che in precedenza ne aveva denunciato le violenze. Poi nel 2015 il tribunale di Udine condanna l’assassino all’ergastolo, ma l’Italia non avrebbe adeguatamente valutato le denunce, non avrebbe fatto abbastanza per prevenire l’evento delittuoso e per questo viene condannata al risarcimento.
I casi che abbiamo in archivio sono centinaia.
Per quale motivo il Consiglio d’Europa (che, ricordiamolo, non è un’istituzione dell’Unione Europea, ma un soggetto indipendente collegato all’ONU) sceglie di cosa preoccuparsi e di cosa no? Dovrebbe essere la ricorsività di una violazione a generare allarme. L’italia, ad esempio, è da sempre il Paese europeo più frequentemente condannato dalla CEDU per la violazione dell’art. 8, diritto alle relazioni familiari. Lombardo vs Italia, Bondavalli vs Italia, Improta vs italia, Sanseverino vs Italia, Giorgioni vs Italia, Endrizzi vs Italia, Strumia vs italia, Bove vs Italia… il Ministero di Giustizia ne pubblica a decine. Gli atti di Stasburgo riconoscono precise responsabilità nel tutelare male o non tutelare affatto le relazioni genitori-figli, individuate nell’inerzia dei tribunali, nell’erogazione reiterata di misure inadeguate, nell’inefficacia dei servizi sociali. Ne emerge la fotografia di un sistema che fa acqua da tutte le parti, funzionale alla propria autolegittimazione ma non ai diritti dei soggetti coinvolti, adulti e soprattutto minori. Però questo non preoccupa nessuno, né in Italia né in Europa. La scelta della preoccupazione del Consiglio d’Europa sembra orientata dall’ideologia, che porta a filtrare i temi ai quali dare visibilità.
Il Consiglio è preoccupato dal “non luogo a procedere” durante le indagini preliminari quindi dal proscioglimento in istruttoria, dice l’articolo. Perché limitarsi ai proscioglimenti e non considerare l’immensa mole delle denunce che si dimostrano prive di fondatezza nella maggior parte dei casi: 1) archiviazione prima dell’apertura di qualsiasi istruttoria; 2) proscioglimento in istruttoria; 3) in caso di rinvio a giudizio, assoluzione al termine del processo per l’art. 530 cpp, primo e secondo comma. I casi che abbiamo in archivio sono centinaia.
Quindi la domanda più logica, che però non ha sfiorato i consiglieri di Strasburgo: non è che per caso in Italia ci sia un uso disinvolto della denuncia? O c’è un proliferare di false accuse, oppure abbiamo la magistratura più incapace del mondo. Non c’è una terza ipotesi. Se l’assunto è che le denunce sono tutte fondate su basi solide, dovremmo avere un’intera classe di giudici, PM, GIP e GUP inadeguata a svolgere il proprio lavoro o, pur essendo a oltre il 70% costituita da donne, minata da pregiudizi anti-femminili. Ed è proprio questa l’imbarazzante opinione esplicitata da chi si aggancia al Consiglio d’Europa e alle sue propaggini ideologiche (GREVIO in primis). Secondo costoro abbiamo una magistratura maschilista e misogina che archivia a piene mani senza mai saper cogliere gli elementi degni di valutazione, proscioglie a piene mani senza mai capire le responsabilità degli accusati, largheggia nelle assoluzioni, senza mai credere alla fondatezza delle accuse. Eppure i segnali per sollevare dei dubbi su una diversa lettura ci sono. Da anni le operatrici di giustizia – tutte di genere femminile – denunciano un uso strumentale della carta bollata: il ricorso alle false accuse oscilla dal 70 a 90%, a seconda delle Procure, proprio nel settore specifico delle relazioni familiari, separazioni, divorzi, interruzioni di convivenza. Ma a Strasburgo si preoccupano per i proscioglimenti, non per le false accuse. Hanno mai analizzato i casi in cui il PM, dopo l’assoluzione dell’accusato, invia gli atti in Procura per valutare la calunnia dell’accusatrice? Abbiamo anche quelli, e sono veramente tanti Se i componenti del Consiglio d’Europa volessero altri elementi sui quali esprimere preoccupazione, sappiano che il materiale non manca. Siamo disponibili a fornire una casistica immensa archiviata negli ultimi 20 anni
Forse è questa l’aspirazione nemmeno tanto nascosta?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ad esempio, non opera discriminazioni di genere e sottolinea che la violenza domestica può generare danni anche di lunga durata in soggetti ambosessi: “la violenza domestica è un fenomeno molto diffuso che riguarda ogni forma di abuso psicologico, fisico, sessuale e le varie forme di comportamenti coercitivi esercitati per controllare emotivamente una persona che fa parte del nucleo familiare. Può portare gravi conseguenze nella vita psichica delle donne, degli uomini e dei bambini che la subiscono perché può far sviluppare problemi psicologici come sindromi depressive, problemi somatici come tachicardia, sintomi di ansia, tensione, sensi di colpa e vergogna, bassa autostima, disturbo post-traumatico da stress e molti altri. […] Il fenomeno della violenza domestica risulta essere diffuso in tutti i paesi e in tutte le fasce sociali; gli aggressori appartengono a tutte le classi e a tutti i ceti economici, senza distinzione di età, razza, etnia. Le vittime sono uomini, donne e bambini che spesso non denunciano il fatto per paura o vergogna”.
La fonte è quanto mai imparziale. Non si dimostra altrettanto imparziale l’articolo de Il Messaggero, che prosegue citando le telefonate al numero antistalking 1522 e “le donne che hanno chiesto aiuto”, sebbene sia stato ormai dimostrato che trattasi di dati non significativi. Si persevera inoltre nell’equivoco denunciato più volte: presentare 1.000 denunce significa avere 1.000 colpevoli. Se poi non arrivano 1.000 condanne vuol dire che i colpevoli l’hanno fatta franca perché i giudici non hanno saputo fare il proprio lavoro o sono misogini. Ora si alza l’asticella, non solo ogni denuncia presentata ma anche ogni telefonata nasconde la sicura colpevolezza dell’accusato. I tribunali dicono il contrario, e i tribunali servono proprio a erogare le sanzioni dopo aver verificato la fondatezza delle accuse. Altrimenti aboliamo lo Stato di Diritto, aboliamo i tribunali e l’inutile perdita di tempo per verificare le accuse: ad ogni telefonata al 1522 corrisponda una misura cautelare. Forse è questa l’aspirazione nemmeno tanto nascosta? Attendiamo una risposta, dal Consiglio d’Europa in giù.