Ci capita tra le mani il post che una ragazza ha pubblicato di recente su un gruppo Facebook chiuso (motivo per cui nello screenshot che segue censuriamo la sua identità e il nome del gruppo stesso). È uno dei tantissimi contenuti che appaiono giornalmente sui social, su cui anzitutto occorre chiedersi se siano veri o frutto di una fantasia asservita alla necessità di esserci, di esistere e di raccogliere un po’ di dopamina a buon mercato con qualche like. Ciò che dice, inventato o meno che sia, è però rappresentativo di un modo di vedere le cose sempre più diffuso e radicato, una visione alterata della realtà, come se l’osservatore fosse sotto l’effetto di qualche sostanza psicotropa. E così effettivamente è se si considera, tra le tante possibili analogie, l’ideologia femminista come una droga. Ecco allora che un posto di blocco della Polizia di Stato durante il periodo di lockdown viene vissuto e raccontato come l’occasione di una molestia a carattere vagamente sessuale. Leggete come la fanciulla racconta il tutto (le sottolineature in rosso sono nostre).
La tentazione immediata, non lo nascondiamo, è quella di sminuzzare questo resoconto per mettere in scena una presa in giro feroce dell’autrice di questo resoconto. Ma non lo faremo: non è più tempo di scherzare nel momento in cui davvero ci sono in circolazione persone che leggono in questo modo la realtà (o inventano storie dove la realtà viene letta in questo modo). Il dovere di un paio di agenti di Polizia viene quindi visto come un pretesto per molestare sessualmente una donna. Lo sguardo dell’agente viene definito “viscido”: così lo vede lei e non è detto che fosse viscido davvero. A innescare il tutto è la richiesta di rimuovere la mascherina, avanzata con una battuta cortese e finta-galante. L’autrice dimentica che è dovere delle forze di Polizia, oltre al resto, di accertarsi dell’identità di una persona, confrontando la foto presente nei documenti con la realtà. L’agente avrebbe potuto usare mille formule per esprimere la sua richiesta. Avesse avuto di fronte un uomo si sarebbe probabilmente espresso con un ordine ultimativo: “si tolga la mascherina”, magari senza neppure un grazie o un per favore. Lo stramaledetto istinto alla galanteria gli ha probabilmente dettato di fare il proprio dovere zuccherando il tutto con un po’ di savoir faire. Che la fanciulla legge come viscidume. Ma dove sta la distorsione, nel messaggio o in chi lo riceve? Il bombardamento mediatico che rappresenta gli uomini tutti come feroci predatori suggerisce una risposta quasi certa a questa domanda.
Ci sono ampi margini di derisione anche quando l’autrice si dichiara sconvolta dal fatto che l’agente di polizia, terminato il controllo, sappia di lei tutte le informazioni per rintracciarla. Ignora, più probabilmente finge di ignorare, che le forze dell’ordine hanno a disposizione banche dati tali da poter rintracciare chiunque, in qualunque momento, anche al di fuori della circostanza di un posto di blocco. Stupida. La sua osservazione non può essere che definita stupida. Tipica di chi è istupidito da messaggi distorti, da una visione alterata della realtà derivata da una droga inoculata costantemente a sconvolgere le sinapsi di moltissime persone. Può essere poi che la poliziotta al telefono abbia sminuito l’accaduto. Difficile che abbia detto “ti ha fatto solo dei complimenti”. Questa è quasi certamente un’invenzione di sana pianta dell’autrice. Molto più facile che si sia sentita rispondere la verità: “l’agente ha fatto solo il suo dovere”. E la poliziotta, nostra mera ipotesi, dall’altro lato avrà probabilmente anche pensato: “il collega ha fatto il suo dovere mettendoci un garbo che tu, povera isterica, assolutamente non meritavi”. L’autrice parla di derisioni e indifferenza: improbabile. La Polizia è addestrata dai centri antiviolenza a prendere come oro colato la parola femminile. La derisione è riservata agli uomini che vanno a denunciare le donne, mai viceversa. Siamo nel mondo della fantasia, è piuttosto palese.
Nonostante l’evidenza, comunque, l’autrice non ha dubbi: si è trattato di un caso di “molestie” e di “abuso di potere” (scritto tutto maiuscolo). Non perché ci siano stati atti concreti che, sul piano del Codice Penale, possano integrare davvero i due reati. Di fatto nulla di illegale o improprio è accaduto. Ed è qui che il femminismo allucinogeno produce tutti i suoi effetti: “So di avere il DIRITTO di sentirmi così”, cioè violata e molestata. Indubbiamente l’autrice ha quel diritto, nessuno glielo nega. Ma in un mondo normale da quel diritto non discende né può discendere un reato penale, altrimenti si potrebbe denunciare il tizio che parla ad alta voce al cellulare sul tram, quello che ti dà una spallata involontaria incrociandoti per strada, quello che ti passa davanti nella fila al panificio e così via. Ma l’allucinogeno è implacabile e trasforma il sentore personale (distorto) in verità giudiziaria. E così l’autrice ritiene di darci una notizia dell’ultima ora: “se sento di essere stata molestata, allora è molestia”.
In quest’ultima asserzione c’è tutta intera la sovversione di ogni criterio di giustizia vigente in uno Stato di Diritto, ma soprattutto l’effetto visibile di quanto un veleno ideologico possa far danni nel vissuto quotidiano di tanti, se non di tutti. Immaginate cosa possa accadere a un uomo qualunque che faccia una gentilezza qualunque all’autrice di questa idiozia: cederle il posto sulla metro, raccoglierle la sciarpa caduta, tenerle la porta mentre entra in un ufficio. Rischierebbe la denuncia in base al “sentore” della ragazza, probabilmente variabile a seconda dell’avvenenza e della ricchezza esibita dal soggetto maschile in questione. Di certo se l’agente fosse stato un bel trentenne aitante con un Rolex al polso (improbabile visti gli stipendi della Polizia, ma usiamo la fantasia anche noi, come l’autrice del post…) la reazione non sarebbe stata così isterica. Ebbene, negli anni ’80 eravamo abituati al pietoso spettacolo di eroinomani caracollanti per le strade con l’aspetto di penosi zombie. Se non si cambia narrazione, l’era moderna ci deve abituare a sapere in circolazione donne con un’uguale tossicodipendenza, più pericolosa perché non si manifesta nell’immediato, ma solo quando si riceve la telefonata della Polizia Giudiziaria per la notifica di una querela “lunare” per molestie.