La Fionda

Le femministe odiatrici e disperate che raschiano il barile

La convocazione mia e di Fabio Nestola in audizione alla Commissione Giustizia del Senato sul DDL 2530 ha scatenato un vero e proprio putiferio nel variegato associazionismo donnista e femminista nazionale, con punte di isterismo incontenibile espresso con abbondanza di sforzi creativi soprattutto nell’evanescente mondo dei social network. Ci sono profili e pagine che, specie su Facebook, strillano come se fossero apparsi i primi segni dell’apocalisse. Effettivamente lasciare che analisti come me e Nestola (ma ce ne sono anche tanti altri in giro per il paese) portino al pubblico la propria opinione documentata può rappresentare per molte realtà portatrici di grandi interessi una ferita molto profonda, potenzialmente letale. Il grande show del vittimificio unilaterale deve continuare senza disturbi o interruzioni, dunque chiunque provi a sottolinearne le profonde incongruenze o le finzioni che porta in scena va semplicemente soppresso. Ecco allora che la sortita mia e di Nestola al Senato, riuscita essenzialmente perché non annunciata (l’avessimo annunciata, ci avrebbero censurati preventivamente, come già accaduto più volte in precedenza), ha indotto i gruppi d’interesse dell’Antiviolenza S.r.l. a mobilitare l’artiglieria pesante. La prima pedina che hanno mosso è stata una delle loro parlamentari di riferimento, la Sen. Valeria Valente, che com’è noto si è prodotta in un bieco attacco più alle nostre persone che ai nostri contenuti, ricevendo in risposta un fuoco di sbarramento e una gragnuola di critiche da parte di un sorprendente numero persone. Il suo «siamo in democrazia ma…» non è passato inosservato, persino a cittadini che non sapevano chi fossero Stasi e Nestola ma erano da tempo molto delusi dal PD e dalle sue innumerevoli ipocrisie.

Fallito il primo attacco, si sta tentando dalle ultime ore di ieri e ancora oggi di organizzare una shitstorm mediatica, attraverso gli immancabili social network, ma anche mobilitando alcune testate giornalistiche nazionali. “La Stampa” ieri ha dato notizia delle baruffe tra la Valente e Pillon, nominando il sottoscritto e Nestola come fossimo soggetti conosciutissimi a livello nazionale, ovvero senza minimamente riportare chi siamo, qual è la nostra posizione o cosa abbiamo detto in Commissione Giustizia. La premessa data per scontata è che siamo quelli brutti e cattivi e tanto basta. Il “Fatto Quotidiano” si spinge un po’ oltre, con un articolo firmato dalla redazione ma in realtà, ne abbiamo notizia da fonti certe, scritto su dettatura di un paio di nostre hater di lungo corso. Tra le tante sciocchezze che vi sono scritte c’è che io nel mio intervento al Senato avrei «minimizzato i 100 femminicidi del 2021». A parte che i femminicidi propriamente detti nel 2021 sono stati 21 (altro che 100…), che io li abbia minimizzati è un falso clamoroso: basta ascoltare il mio intervento al Senato per rendersene conto. Il problema è che una senatrice della Repubblica ha scritto pubblicamente che io e Nestola siamo due misogini impegnati da anni a insultare l’intero genere femminile e a inneggiare alla violenza maschile sulle donne. Una falsità clamorosa, per cui ora serve materiale per comprovarlo, onde evitare una figuraccia alla senatrice in questione, alle sue mandati e un vulnus a tutta la loro narrazione. Ecco il motivo della mobilitazione anche di grandi testate nella produzione di sostanziali fake news.

Valeria Valente
Valeria Valente

Si raschia il barile per sostenere la posizione.

A quello scopo, in particolare, si riesumano anche reperti preistorici, roba vecchia già spiegata e ampiamente superata, quisquilie ingigantite con un calcolato battage mediatico e additate istericamente come a dire: «vedete? Vedete come odia le donne?». Questo riguarda soprattutto me, ed è il motivo per cui compilo questo articolo e ribadisco cose in realtà già ampiamente dette in passato. Dunque per poter dire che Stasi odia le donne, le insulta eccetera eccetera si riesuma un mio post su Facebook datato luglio 2019. In esso, è vero, mi esprimevo rabbiosamente contro un certo tipo di donne, usando un linguaggio pieno di livore. Fu la reazione “di pancia” e immediata alla lettura dell’ultima lettera d’addio con cui un padre di Roma spiegava su Facebook perché si sarebbe tolto la vita. Le sue parole andavano nel profondo di una atroce violenza psicologica subita dalla propria ex, mi sconvolsero e mi travolsero emotivamente, tanto da dettarmi quel post, che usa un linguaggio ed espressioni che assolutamente non mi appartengono, che ho disconosciuto poco tempo dopo in un articolo apparso nel blog precedente a questo (qui un estratto del 2019, comprensivo del mio post “incriminato”), di cui mi sono scusato e mi scuso ancora. Non è in quei termini che penso e mi esprimo e sfido chiunque a trovare altri casi in cui l’emotività mi ha preso la mano in quella misura. A quel tempo le parole di quel padre (che non nomino su richiesta della sua famiglia, ma la cui vicenda è facilmente ritrovabile sui media del luglio 2019), in quel messaggio grondante sofferenza, vinsero il mio proverbiale autocontrollo e stupidamente misi per iscritto la mia rabbia. Lo ribadisco, speriamo una volta per tutte: mi scuso per quelle espressioni e la mia storia testimonia che non mi appartengono nel modo più assoluto.

Mentre su quel mio post ho davvero il dovere di scusarmi e di disconoscerlo, nulla devo su un secondo cimelio storico che viene riesumato in questi giorni per dire quanto sono brutto e cattivo e quanto quindi la Valente e le sue mandanti abbiano ragione sul mio conto. Si tratta di nuovo di un mio post Facebook ancora più antico, risalente al 2017 e all’ultimo periodo della legislatura precedente. Marco Travaglio in un suo articolo auspicò che quella legislatura si sciogliesse presto e, con una delle sue frequenti battute al vetriolo, aggiunse: «si spera nell’acido». A stretto giro gli rispose su Twitter Lucia Annibali, parlamentare PD, partito ai tempi in maggioranza, per difendere la quale non trovò di meglio che strumentalizzare la propria vicenda personale (è stata sfigurata con l’acido dall’ex). Rintuzzò infatti Travaglio con un concetto che a occhio e croce diceva: «ci sono persone che, come me, hanno sofferto a causa dell’acido, dunque certe battute non si dovrebbero fare». Ai tempi lessi questa penosa replica della deputata PD su un articolo di Repubblica, mi colpì la sua pochezza e volli commentarla menzionando appunto l’articolo della Repubblica:

mio post FB originale

La mia critica, per quanto sprezzante e sarcastica, era evidentemente politica e metodologica. Additavo l’uso strumentale e abbastanza misero di una vicenda personale allo scopo di limitare la libertà di espressione di un giornalista critico verso il Governo e la maggioranza. Che la chiave di lettura del mio commento fosse quella lo confermò lo stesso Travaglio, che il giorno dopo fece un tweet dove esprimeva quasi esattamente lo stesso concetto espresso da me. A quel punto però le mie hater, che erano già molte, colsero la palla al balzo, fotografarono il mio post e lo diffusero apportandovi una sostanziale modifica: tagliarono la parte sottostante contenente il riferimento all’articolo di Repubblica, ottenendo questo risultato:

facebook post stasi tagliato

È un gesto astuto. Nel primo screenshot io sono un osservatore che, riferendomi a un articolo pubblicato da un quotidiano, elabora una critica politica e metodologica verso la pochezza argomentativa di una deputata del PD, e lo fa con una battuta volutamente sferzante, “alla Travaglio” (che infatti il giorno dopo la fa quasi uguale). Nel secondo screenshot, tolto il riferimento all’articolo, io risulto un pazzo che straparla e deride il volto deturpato di Lucia Annibali con parole senza una vera logica. Ed è con questo secondo significato che il mio post alterato finisce nelle mani di un giornalista senza scrupoli che nel settembre 2019 fa partire una shitstorm nazionale contro di me, definendomi “il blogger che deride le donne sfigurate con l’acido”. L’0biettivo, oltre a quello di annientarmi, è anche quello di far fallire una mia presentazione prevista di lì a poco. Quest’ultimo scopo viene raggiunto, il primo no. Naturalmente ai tempi denunciai il giornalista per diffamazione e altrettanto naturalmente i giudici della mia città (Genova) archiviarono tutto, due volte. Ci mancherebbe… In ogni caso, oggi si riesuma ancora quel mio post, debitamente alterato, e lo si fa ancora circolare cercando nuovamente di farmi passare per “il blogger che deride le donne sfregiate con l’acido”. Cosa che ovviamente non sono mai stato né sarò mai.

donna isterica

Corbellerie da invasate.

In conclusione, si sta grattando il fondo del barile per cercare qualcosa che comprovi la narrazione ufficiale su quei due inqualificabili soggetti nominati Nestola e Stasi. Specie su quest’ultimo, le cose che vengono fatte circolare sono quelle di cui ho parlato in questo articolo. Insieme alla mia fedina penale immacolata, ritengo di aver dato qui, di nuovo, una risposta completa alle bubbole che vengono fatte circolare sul mio conto e che per fortuna hanno oggi molta meno risonanza che nel settembre 2019: ci sono ben altri e ben più grandi problemi sul tavolo nazionale e internazionale che non le corbellerie manipolate contro di me e i miei collaboratori da un gruppo di invasate, terrorizzate di perdere la loro fetta di potere e di business. Resta da capire se qualcuno tra gli imbrattacarte agli ordini delle varie congreghe o dei vari politici avrà voglia di leggere queste mie risposte e prenderne atto, insieme alla montagna di articoli pubblicati dal 2016 a oggi per i quali la sfida resta sempre la stessa: trovarvi all’interno un incitamento all’odio misogino, alla violenza contro le donne o una qualunque forma di negazione del fenomeno delle violenze contro le donne. Riscontrato che non ve n’è traccia, agli imbrattacarte in questione rimarrà l’opzione di dare spazio a una chiave di lettura diversa e alternativa rispetto a quella ideologica, repressiva, illiberale e antidemocratica dettata dall’alto. Nel caso, io, Nestola e tanti altri siamo a completa disposizione, come lo siamo stati per la Commissione Giustizia del Senato.



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