Il suffragio universale «è più stupido del diritto divino», la democrazia è «la negazione del diritto», scriveva Gustave Flaubert alla scrittrice George Sand, commentando nell’aprile del 1871 l’esperienza in corso della rivoluzione popolare della Comune di Parigi. Nella lettera augurava per la Francia «un governo di mandarini […] un’aristocrazia legittima», dal momento che «il popolo è un eterno minorenne». Gustave Flaubert non fu l’unico intellettuale dell’epoca a stigmatizzare la democrazia e il diritto di voto, sono opinioni largamente condivise dalla grande maggioranza degli intellettuali francesi del tempo, con le eccezioni di Victor Hugo, Paul Verlaine e Arthur Rimbaud. Per Edmond de Goncourt «la società muore col suffragio universale. È lo strumento fatale della sua prossima rovina. Con esso, l’ignoranza della vile moltitudine governa», ed Ernest Renan sostiene la necessità di affidare a un’aristocrazia rigenerata un legittimo potere politico e sociale, poiché «la democrazia è la negazione della disciplina». Dello stesso parere sono Hippolyte Taine o Alexandre Dumas figlio. Un parere negativo degli intellettuali già comune prima, Proudhon è contrario, anche il filosofo Kierkegaard. Sulla scorta di Aristotele, Tommaso d’Aquino elenca la democrazia tra le tre forme di governo cattivo, assieme alla tirannia e all’oligarchia, nelle quali chi comanda (il tiranno, gli oligarchi, il popolo) tutelano solo il proprio interesse e non si curano del bene comune. La forma ottima di governo, secondo Tommaso, è la monarchia.
La mia scelta di mostrare per primo l’opinione di Gustave Flaubert, rivolta a George Sand, non è casuale. Flaubert è l’autore di Madame Bovary, un classico della letteratura, usato spesso dal femminismo per mostrare e denunciare la condizione della donna. La scrittrice George Sand (pseudonimo di Amantine Aurore Lucile Dupin) è, invece, secondo la storiografia femminista, un modello positivo di donna ribelle e libera che cerca di imporsi all’interno della società patriarcale dell’Ottocento. Bisogna rammentare che le femministe francesi offrirono a George Sand, data la sua popolarità all’epoca, la candidatura alle elezioni – in Francia esisteva il suffragio passivo per le donne – a rappresentazione e lotta dei diritti delle donne, che lei rifiutò. Ecco due insegne della storiografia femminista contrari al voto democratico e, per estensione, al voto delle donne. Durante l’Ottocento in molti erano convinti che l’applicazione del suffragio universale sarebbe stata pericolosa, oltre che impossibile. Alla prime elezioni a suffragio universale maschile mai avvenute, in Francia nel 1848, erano stati predetti terribili sommovimenti e nelle campagne gli elettori per paura si radunavano davanti alla chiesa e si recavano in gruppo a votare.
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La maggioranza delle donne non voleva il diritto di voto.
Per poter affermare nella società l’idea di qualsiasi diritto, come è il suffragio universale, è necessario prima di tutto riuscire a concepirli, dopodiché consolidare una massa critica sufficiente di persone favorevoli. Come ho già approfondito in un altro intervento, La conquista dei diritti, titolo molto eloquente, «la lotta per il diritto al voto femminile non può essere spiegata autonomamente. La concezione e la conquista di uno specifico diritto, come è il diritto al voto femminile, è il frutto di un processo lento e lungo di concezione e di conquista di tanti altri diritti, di tante altre lotte e di tanti altri sacrifici». Non basta che uno o pochi intellettuali abbiano difeso o richiesto il diritto di voto, ad esempio Sir Francis Burdett nel caso degli uomini, o Olympe de Gouges o John Stuart Mill nel caso delle donne. Prima che gli uomini abbiano potuto godere universalmente del diritto di voto, hanno dovuto lottare a lungo per conquistarlo, lotta che consisteva anche nella creazione di una coscienza sociale favorevole, perché la maggior parte degli uomini era o contraria o indifferente. Una volta sperimentata per primi dagli uomini l’innocuità o la nocività di questa novità sociale – come succede per qualsiasi scoperta, invenzione, sperimentazione o conquista del territorio –, accertatane la bontà, il diritto è stato esteso velocemente alle donne, in molto meno tempo e senza pagare il dazio di sangue rilevante che gli uomini sì avevano dovuto pagare.
Anche tra le donne è stato necessario creare prima una coscienza sociale favorevole perché, come succedeva per gli uomini, quando le suffragette combattevano per il loro diritto di voto, la maggior parte delle donne era o contraria o indifferente, argomento che è già stato trattato e ampiamente approfondito qui. La questione, quindi, non è mai stata, come vorrebbe suggerire esplicitamente la storiografia femminista, l’avversione maschile a danno delle donne, che impediva loro di votare. Tanto è vero che la Comune di Parigi del 1871 riconobbe il diritto di voto alle donne, ma non ebbe applicazione a causa della immediata caduta della Comune, voto femminile concesso finalmente nel luglio del 1944 da Charles de Gaulle. La questione riguardava la necessità di creare una significativa massa critica favorevole ad affermare il suffragio universale, e questo è stato necessario tanto per il suffragio maschile, e tra gli uomini, come per il suffragio femminile, e tra le donne. La lotta per il suffragio (femminile) non fu mai una lotta di donne contro uomini, ma fu una lotta di tutti contro tutti, e questo è vero, per quanto assurdo possa sembrare, anche all’interno dello stesso movimento femminista (con posizioni simili a quelle prese da Gustave Flaubert o da George Sand).
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Contrari anche il femminismo anarchico, comunista e fascista.
Intanto, sul fronte contrario al voto delle donne bisogna annoverare, necessariamente, tutte le femministe con posizioni politiche contrarie al voto di chicchessia: il femminismo anarchico, il femminismo comunista o proletario e il femminismo fascista. Michail Bakunin, padre dell’anarchismo, scrive sul suffragio universale: «Il sistema rappresentativo, ben lungi dall’essere una garanzia per il popolo, crea e garantisce, al contrario, l’esistenza permanente di una aristocrazia governativa contro il popolo stesso ed il suffragio universale è unicamente un mezzo eccellente per opprimere e rovinare un popolo in nome proprio di una pretesa volontà popolare, presa come pretesto, o un gioco di prestigio grazie al quale si nasconde il potere realmente dispotico dello Stato, basato sulla Banca, la Polizia e l’Esercito». Tutte le femministe anarchiche (preminente in certe aree, ad esempio in Spagna) erano contrarie al voto, ad esempio, tra le anarchiche e femministe, Lucía Sánchez Saornil. La più nota e famosa rappresentante del femminismo anarchico, Emma Goldman, si posizionò esplicitamente contro. Stesso ragionamento per le femministe che aderirono al comunismo e per quelle che aderirono al fascismo. Ecco un esempio di fascista e femminista, Clarita Stauffer. Sul fascismo femminista è stato già trattato l’argomento qui, riporta degli esempi di femministe che aderirono al nazismo/fascismo.
Riporto per esteso quanto già avevo scritto qui: “Sul diritto di voto femminile non c’era consenso nemmeno tra le femministe. Come era successo a Seneca Falls e anche nel parlamento spagnolo, nel 1878 a Parigi, al Primo Congresso Internazionale per i Diritti delle Donne (First International Congress of Women’s Rights), non fu permesso alla femminista Hubertine Auclert (1848-1914) di presentare la richiesta per il suffragio femminile perché la proposta non era sostenuta da molte delle partecipanti al congresso. Prima di lei, la mobilitazione femminile per il suffragio delle donne in Francia si era già dimostrata fallimentare. Durante la Rivoluzione francese le donne sanculottes furono favorevoli al suffragio universale solo maschile – alla Convenzione nel 1793 soltanto due cittadine e tre club riprovarono l’ineguaglianza politica fra i sessi. Nelle elezioni di 1848, alla stessa proposta ci fu l’opposizione esplicita di scrittrici di spicco come George Sand o Marie d’Agoult, alias Daniel Stern, oggi annoverate spesso tra le figure femminili storiche degne di encomio nella loro lotta per la libertà e contro i pregiudizi patriarcali. La capostipite del femminismo spagnolo, Concepción Arenal (1820-1893), ne era contraria: «non vogliamo né partiti né voto» scrive nella sua opera La mujer del porvenir.
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L’essenza del femminismo.
Secondo lei, le donne «influiscono nel voto attraverso il fratello, lo sposo, il figlio, il padre e persino il nonno», riconoscimento di quel potere tanto invisibile e immateriale quanto tremendamente efficace che possiedono le donne sugli uomini. Non fu l’unica femminista a posizionarsi esplicitamente contro il voto delle donne, la più nota tra loro fu Emma Goldman, che si posizionò esplicitamente contro. Queen of the Desert è un film del 2015 interpretato da Nicole Kidman, che racconta la vita di Gertrude Bell (1868-1926), archeologa, politica e scrittrice britannica. Appartiene al filone di protagoniste femminili, nello specifico, alla riesumazione e promozione di figure storiche di donne, intraprendenti, libere e combattenti contra ogni sorta di avversità e pregiudizio – di solito patriarcali. L’aspetto a mio avviso più interessante del film è il fatto che i produttori si sono dimenticati di “menzionare” il suo ruolo attivo contro il voto delle donne. Lei fu segretaria onoraria del Comitato della Lega anti-suffragio nel 1908. Nessun accenno.”
Se “le donne possono votare oggi grazie al femminismo”, come si concilia questa affermazione con la realtà storica che vede una parte (minoritaria) del femminismo contraria al voto delle donne? Si può essere allo stesso tempo a favore e contro qualcosa? È evidente che l’asserzione sopraccitata non può essere corretta, perché storicamente una parte (minoritaria) del femminismo era contraria. L’errore logico risiede sulla diffusa e mancata conoscenza dell’essenza e del significato del termine femminismo, che qui cerchiamo di spiegare per l’ennesima volta. Tutte le ideologie, nella loro applicazione, si occupano dei più svariati ambiti. Durante il regime nazista si costruì la rete stradale oggi ancora presente in Germania, si emanarono le prime leggi contro la sperimentazione di animali vivi, si incrementò la crescita economica e i tassi di suicidi non raggiunsero mai i livelli di quelli americani durante la crisi del ’29, tra le altre cose. Ma nessuno di questi argomenti definisce l’essenza del nazismo, e non rende le persone, al di là della loro posizione, più o meno naziste. Ci sono femministe a favore e contro il suffragio femminile, l’aborto, la prostituzione, la nudità, il velo islamico, le relazioni sessuali libere, le quote… perché nessuno di questi ambiti – anche se esiste talvolta una tendenza maggioritaria – definisce l’essenza del femminismo, e non rende le persone, al di là della loro posizione in questi ambiti, più o meno femministe.
Un’ideologia schizofrenica.
Il femminismo è l’ideologia che sostiene l’oppressione e la discriminazione storica e attuale delle donne da parte degli uomini, in un sistema sociale denominato Patriarcato. Per questo motivo ci sono oggi femministe che denunciano il velo islamico come un capo patriarcale imposto dagli uomini mentre altre femministe (islamiche) difendono il velo e denunciano invece la prevaricazione degli uomini che vorrebbe imporre loro cosa indossare (senza velo). La diversa posizione sul velo islamico non definisce la loro natura femminista, ma ciò che unisce loro in quanto femministe è che entrambe le posizioni colpevolizzano gli uomini e vittimizzano le donne. La prostituzione è l’oggettivizzazione del corpo femminile a danno delle donne da parte degli uomini, oppure alle donne non è permesso di prostituirsi perché gli uomini vogliono comandare sul loro corpo e impedire loro la libertà di scelta. L’aborto è una libera e lecita scelta delle donne che gli uomini vogliono impedire, oppure il tragico destino e crimine (soprattutto per le femministe della prima ondata) al quale sono costrette le donne dalle tragiche condizioni sociali per colpa degli uomini. E così all’infinito. In conclusione, è scorretto sostenere che le donne votino grazie al femminismo perché questo stesso movimento si è opposto anche al voto delle donne. Il caso della Spagna, ma non solo, che vedremo nel prossimo intervento, è paradigmatico.