Le donne non stanno bene nel loro corpo, ma non stiamo parlando di buttare giù i chili di troppo o di raddrizzare un naso adunco. Sono in preoccupante aumento le ragazze che non vogliono essere femmine, preferendo sembrare un maschio e chiedono di sottoporsi a terapie ormonali. In Gran Bretagna, tra il 2010 e il 2018, si è passati da poco meno di un centinaio di casi a oltre 2500. In Italia a stimare la popolazione-transgender adulta ci ha pensato un’indagine elaborata da un team formato dall’Azienda ospedaliera universitaria Careggi, Università di Firenze, Istituto superiore di sanità, Fondazione The Bridge, attraverso un censimento anonimo composto da sette domande a risposta multipla. L’ultimo studio risaliva al 2011 ed era riferito agli anni 1992-2008. La stima conteggiava 424 donne transessuali e 125 uomini transessuali. Secondo Marina Pierdominici, ricercatrice del Centro di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto superiore di sanità: “I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0.5 e l’1.2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400 mila italiani”. Di essi, tre su quattro sono donne.
Ad indagare sul fenomeno transgender è stata Abigail Shrier, giornalista ed editorialista per il Wall Street Journal, nel suo “Irreversible Damage: The Transgender Craze Seducing Our Daughters”, un’indagine incentrata sulla “mania” diagnostica della disforia di genere che ha travolto le ragazze adolescenti negli ultimi dieci anni. Due sono i dati significativi che emergono: 1) la decisione di cambiare sesso sconvolge il resto della famiglia; 2) cambiare sesso è diventata una “moda” intorno alla quale si è creato un entusiasmo culturale contagioso. In un’intervista rilasciata alla testata quillette la giornalista dichiara: “Ho voluto indagare sull’improvviso e grave picco di identificazione transgender tra le ragazze adolescenti americane. Sostengo la transizione medica, ma per adulti maturi. Quello che ho voluto fare, come giornalista, è indagare sui fenomeni culturali che stanno promuovendo questa tendenza: negli Stati Uniti tra il 2016 e il 2017, il numero di donne che hanno cercato un intervento chirurgico di genere è quadruplicato”.
Perché le adolescenti occidentali si autodiagnosticano una condizione disforica che probabilmente non hanno? Cosa le spinge a sottoporsi a trattamenti ormonali e interventi chirurgici, seguendo processi diagnostici superficiali? Perché queste giovani non vengono ascoltate e accompagnate a rimettere ordine al disordine che stanno vivendo? Gli insegnanti, i terapisti, i medici, i chirurghi e le organizzazioni di accreditamento medico stanno tutti facendo il tifo per queste transizioni, spesso anche per paura che convincere le ragazze a cambiare idea venga segnalato come un segno di “transfobia”, ben sapendo che questi interventi fanno più male che bene come è stato molto ben documentato dalle numerose testimonianze di persone pentite di essersi sottoposti a mutilazioni. Per la giornalista questa ondata di disforia di genere tra gli adolescenti oltre ad essere un fenomeno preoccupante è ideologicamente guidato. Il disturbo è sempre esistito, ma fino a poco tempo fa affliggeva quasi esclusivamente i maschi; ora a viverlo maggiormente sono le ragazze.
Si tratta delle stesse ragazze (per lo più bianche) che, nei decenni precedenti, sono state vittime di anoressia e bulimia o disturbo di personalità multipla, colpite ora dalla disforia di genere nuovo modello violento promosso da tutte quelle personalità (musicisti e cantanti, attori e politici, influencer e intellettuali, si veda il recente caso di Ellen Page) che le incoraggiano verso decisioni irreversibili, come l’amputazione di una parte del corpo, vero e proprio autolesionismo. Come sottolinea Shrier, solo otto anni fa non esisteva letteratura clinica su donne di età compresa tra gli undici e i ventuno anni affette da disforia di genere. Ora ci sono aumenti esponenziali nel numero di ragazze che scoprono improvvisamente di essere “nate nel corpo sbagliato”, sebbene non abbiano mostrato alcun accenno di disforia di genere prima dell’adolescenza. Attualmente, il 70% degli interventi chirurgici di “cambio di sesso” viene eseguito su donne. Shrier ha osato fare la domanda: “Cosa stanno soffrendo queste ragazze?”.
Per analizzare il fenomeno la giornalista ha intervistato circa 200 famiglie che presentavano al loro interno un caso di transizione, giovani trans “influencer” che sui social appoggiano questa scelta di vita e spingono l’ideologia di genere nelle scuole. Inoltre ha incontrato i medici che operano scoprendo che in questo campo sono i pazienti a decidere, al dottore resta solo il compito di eseguire le operazioni chirurgiche. Secondo le dichiarazioni di un chirurgo plastico canadese, Hugh McClean, dal 2019 avrebbe condotto oltre 1.000 “mastectomie mascolinizzanti” su donne di età inferiore ai sedici anni. Una scelta punitiva. Quando una donna decide di avviarsi verso questo percorso la sua voce naturale viene alterata in modo permanente anche se un giorno smetterà il testosterone; mutilandosi i seni, rinuncia ad una zona erogena e alla futura capacità di allattare qualora desiderasse avere un figlio. Prosegue la Shrier: “Nessuno sta peggio delle ragazze di questa generazione. Sempre più sole, poco apprezzate e sempre più depresse, il loro principale collegamento con gli altri sono i social media. Con una pornografia onnipresente e sempre più violenta; le ragazze sono giustamente spaventate e fuggono dalla femminilità”. La cultura che ha acceso la miccia della guerra fra i sessi, tra maschile e femminile, ora punta alla loro distruzione esaltando in modo infingardo la loro presunta libertà di scelta che le condanna all’infelicità: separate da se stesse e isolate. Siamo disposte a difendere la nostra femminilità per salvare le nostre figlie?