Il Presidente della Repubblica è un po’ ingenuo. Bravissima persona, stimatissimo dalla maggioranza degli italiani e sottoposto a enormi fatiche sia per l’era covid che per mantenere la barra dritta nonostante i capricci e le intemperanze di certi monelli dispettosi che siedono in Parlamento. Però è ingenuo, poverino. Lo è nella misura in cui si lascia fuorviare dalla narrazione dominante e nel discorso dell’8 marzo inanella una serie di inesattezze che la metà basta. Per qualsiasi altra persona avremmo scritto “cialtronate” ma per il rispetto dovuto al Presidente preferiamo scrivere “inesattezze”. Parte con la sparata iniziale sul femminicidio (non c’entra nulla, Presidente, la data della lotta alla violenza è il 25 novembre) annunciando 73 vittime e definendolo «un fenomeno impressionante, che scuote e interroga la coscienza del nostro Paese».
Sorvolando sulla fumosità del dato, visto che fonti diverse diffondono dati diversi e nemmeno Polizia, Carabinieri, Commissione Femminicidio, Repubblica e ISTAT riescono a convergere su un dato unico, resta da chiedersi come mai 73 vittime sarebbero il fenomeno più impressionante di qualunque altro. Non ha usato le stesse parole, non ha manifestato lo stesso allarme né la stessa empatia lo scorso 11 ottobre, in occasione della giornata nazionale per ricordare le vittime sul lavoro. Eppure le morti bianche nel nostro Paese sono dieci volte superiori ai cosiddetti femminicidi. Fonte ILO – International Labour Organization: «Solo in Italia si registrano circa un milione di incidenti sul lavoro ogni anno, di cui oltre 1 000 mortali. E il costo per la collettività supera i 28 miliardi di euro». Però l’emergenza è sempre un’altra.
Il capitalismo esclude il paygap.
Poi il Presidente Mattarella abbozza una definizione di femminicidio quando sostiene «Un distorto concetto del rapporto affettivo – che, non a caso, si trasforma in odio mortale – è alla base dei gravi e inaccettabili casi di femminicidio Una mentalità che, al dunque, è solo possesso, bramosia, dominio e, in fin dei conti, disprezzo (…) Se si giunge a uccidere una donna è perché non si rispettano il suo desiderio di libertà e la sua autonomia. Perché ci si arroga il potere di non consentirne le scelte, i progetti, le aspirazioni». Non siamo certi che possa essere la definizione ufficiale di femminicidio, questione che abbiamo già sollevato. Dove però il Presidente dimostra la maggiore ingenuità è nel passaggio sulla violenza economica : «Va acceso un faro sulle forme – meno brutali, ma non per questo meno insidiose – della cosiddetta violenza economica, che esclude le donne dalla gestione del patrimonio comune o che obbliga la donna ad abbandonare il lavoro in coincidenza di gravidanze. Pensiamo all’odioso ma diffuso fenomeno della firma delle dimissioni in bianco».
Presidente, ci chiediamo se se è a conoscenza del fatto che non esiste un solo CCNL, pubblico o privato, che stabilisca retribuzioni diverse in base al genere della persona assunta. A parità di qualifica, mansioni, anzianità di servizio e ore lavorate, l’eventuale differenza in busta paga è data esclusivamente da straordinari, festivi, indennità di rischio, indennità di trasferta, incentivi produzione, premi per obiettivi raggiunti. Tutti benefit, senza esclusione alcuna, ai quali possono avere accesso sia lavoratrici che lavoratori. Quindi a parità di rendimento non esiste alcuna discriminazione sessista. Eventualmente è solo la disparità di rendimento, non altro, a incrementare la retribuzione di un lavoratore rispetto ad una lavoratrice di pari livello: se viene pagato di più è perché lavora di più, non viene pagato di più in quanto uomo. D’altronde – non occorre essere fini economisti per capirlo – è la stessa logica del capitalismo che smentisce l’esistenza del gender paygap: se veramente fosse possibile, a parità di rendimento, pagare meno le lavoratrici in base al genere, qualsiasi azienda assumerebbe solo donne, cosa che invece non avviene.
Si lascia trasportare dalle cattive amicizie?
Poi la chicca: «Pensiamo all’odioso ma diffuso fenomeno della firma delle dimissioni in bianco». Non è vero. Ormai da anni non è più possibile costringere una lavoratrice a firmare le dimissioni con la data in bianco, da utilizzare in caso di gravidanza. Fenomeno esistente negli anni passati, utilizzato indifferentemente per uomini e donne e non necessariamente per casi di gravidanza, ma ormai definitivamente debellato con Decreto Legislativo n°151 del 14 settembre 2015. È ormai impossibile far valere un documento cartaceo senza il coinvolgimento del lavoratore stesso. È infatti il lavoratore o la lavoratrice che deve farlo in autonomia attraverso il sito dell’INPS o del Ministero del Lavoro, oppure per formalizzare in tempo reale le proprie dimissioni può farsi assistere da un patronato, un CAF, un sindacato o altri soggetti abilitati.
Sorprende che il Presidente non lo sappia: la pretesa di firmare le dimissioni al momento dell’assunzione, vera spada di Damocle sul capo di lavoratori e lavoratrici, è stata una pratica tanto odiosa quanto diffusa per diverso tempo, ma fortunatamente non lo è più. Ormai non è proprio più possibile farlo. E non da oggi, il DLgs ha ormai oltre 5 anni. Però la narrazione ideologica continua a tenere stetti i propri capisaldi: femminicidi sempre in aumento, violenza domestica dilagante e sempre sottostimata perché le donne non denunciano; gender paygap inarrestabile. Sempre, ovviamente, senza che nessuno si prenda il disturbo di dimostrare con casi concreti quella che è solo narrazione ideologica. Slogan, slogan, slogan, basta prendere una bufala e ripeterla all’infinito senza doverla dimostrare. Quest’ultimo episodio, tuttavia, lascia sconcertati: è lecito attendersi che qualche barricadera reciti ancora nel 2021 la favola delle dimissioni in bianco; ad ignorare il DLgs. n°151/2015 (o fingere di ignorarlo) può essere NonUnaDiMeno, è abbastanza strano che ad ignorarlo sia il Presidente della Repubblica. È ingenuo o si lascia trasportare dalle cattive amicizie?