In questi giorni sono accaduti due fatti, apparentemente del tutto scollegati ma che in realtà un nesso in qualche modo lo condividono. È di pochi giorni fa un’intervista al Maestro Riccardo Muti in cui emerge tutto il suo disappunto per la condanna dell’intero canone occidentale messa in atto da parte del femminismo (e quindi da parte del codice ideologico dominante): «Con il MeToo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima…». L’altra vicenda a cui ci riferiamo è il linciaggio ricevuto da un consigliere comunale, Marco Dondolini, a seguito di alcune dichiarazioni rilasciate durante una seduta dell’organo di cui fa parte. La colpa di Dondolini sarebbe quella di aver parlato un po’ male delle donne (sottolineando l’enorme potere che la sessualità femminile esercita su quella maschile); la colpa di Mozart, Beethoven, Paganini (ma anche Schopenhauer, Melville, Dickens o Pirandello) è quella di aver affollato la storia della cultura occidentale come maschi bianchi etero, magari un po’ incazzati o con una certa propensione a valorizzare l’isolamento maschile.
Che gli uomini abbiano nell’approvazione femminile una ragione d’essere è la cifra stessa della storia dell’umanità. Questo potere immenso di cui il femminile è espressione ha dato luogo a componimenti musicali, sistemi filosofici, costruzioni di civiltà e anche devastazioni: se gli uomini hanno cercato o creato il potere (o una sublimazione rispetto a queste pulsioni che sconquassavano il loro animo), si potrebbe dire che le donne sono il potere. Esso viene spesso misurato valutando la capacità degli uomini di sottomettere altri uomini. Uno degli elementi “volgari” a sostegno di questo rilievo è l’attrazione per le donne verso gli uomini in divisa, Murgia a parte, o in generale verso uomini che appaiono in grado di imporsi su altri uomini. Considerazioni di questo tipo non hanno il fine di esimere i soggetti che hanno posto in essere certe azioni dalla propria responsabilità, e neanche quello di attribuire ogni fatto di violenza a una presunta responsabilità femminile. Tuttavia, al polo opposto, è altrettanto assurdo accusare Dondolini di misoginia e sessismo, senza neanche preoccuparsi se quanto ha detto possa avere una verosimiglianza, sia in senso generale che nella vicenda specifica.
Supereroi impossibili nella vita quotidiana.
Del resto, dalla propria esperienza personale a quella delle vicende di cronaca, è innegabile che molte risse abbiano come movente una istigazione femminile, più o meno consapevole (è avvenuto anche nel caso di Willy Monteiro). Da questo punto di vista, se le responsabilità penali sono chiarissime, chi ha la responsabilità politica e morale delle condizioni vita della comunità, come ad esempio Giorgio Del Ghingaro, sindaco di Viareggio, dovrebbe avere la schiena un po’ più dritta, preoccuparsi di meno dei post e degli articoli della Murgia, della Valente, della Cirinnà o della Boldrini, e sforzarsi almeno di non apparire totalmente asservito al sistema. Le ragioni di questa isteria (ormai) endemica sono ben note: i mezzi di comunicazione, la scuola, l’accademia, diffondono le tesi femministe in modo praticamente uniforme e senza alcuna opposizione. Queste tesi, che vedono il maschile come un eterno inemendabile, non consentono di certo di poter neanche lontanamente affrontare una condizione di sofferenza specificatamente o precipuamente maschile. E ancora meno sono compatibili con ogni (seppur timida) affermazione che del femminile sottolinei una natura non propriamente foriera di virtù supererogatorie.
Per comprendere il rapporto tra approvazione femminile e condotte violente, basterebbe indagare il contenuto di quelle opere cinematografiche (e letterarie) che assicurano agli uomini il ruolo di sex symbol. L’esaltazione della violenza maschile infatti è un elemento centrale di quei prodotti mediatici che proprio presso il pubblico femminile ottengono un successo maggiore. Tuttavia, i ruoli che decretano il summenzionato successo di questi attori, oscillano tra quello dell’uomo ricco e potente, quello dell’uomo dotato di poteri sovrannaturali, quello dell’uomo in grado di schiacciare e distruggere chiunque, disposto ad autodistruggersi e con una propensione al rischio sovrannaturale ma, al tempo stesso, di essere “Ufficiale e Gentiluomo”. Inutile aggiungere che alla maggior parte degli uomini riuscirebbe difficile nella vita reale assolvere a tutte queste fantasia simultaneamente: uccidere, autodistruggersi, essere ufficiale e gentiluomo e al tempo stesso figurare nelle copertine delle riviste come sex symbol dell’anno. Nella vita reale del resto, ci sono luoghi preposti a chi mette in atto condotte violente: le prigioni (e questo lo scoprono amaramente molti uomini, che anche per ottenere l’approvazione femminile talvolta scivolano verso comportamenti antisociali o illegali).
Giocare ai rimbrotti politici e moralistici.
A proposito dell’autodistruttività, un altro degli aspetti oscurati dalla narrazione femminista ad esempio è la dimensione del suicidio maschile nella letteratura (prosa o versi). In essa è (o sarebbe meglio dire, “era”) presente una rappresentazione di questo estremo gesto come manifestazione di un idealismo tipico del maschile. Il sentimento di amore provato dagli uomini, in queste opere, non è soddisfacimento dei bisogni, illimitatezza del desiderio, ma affermazione spirituale dell’uomo contro il caos della natura, pura trascendenza che supera l’immanenza (nel chimerico tentativo di voler far coincidere ad ogni istante forma e sostanza). Questi temi sono complessi e meriterebbero un approfondimento che, per ragioni di spazio, non è possibile fornire in questa sede. Tuttavia, se il fine è quello di comprendere le contraddizioni che attraversano i sistemi sociali contemporanei e ridurne i conflitti (quindi il tasso di violenza), sarebbe necessario riconoscerli nella loro totalità, quella di uomini e donne, anziché giocare ai rimbrotti politici e moralistici in difesa di una visione (quella femminista) totalmente miope della realtà.