Il circo politico sta per ricominciare ed è quindi il momento di riannodare i fili lasciati in sospeso prima delle ferie. Primi tra tutti quelli riguardanti la iattura degli emendamenti della Senatrice Valente al processo civile, di cui ci siamo occupati una ventina di giorni fa. La chiave di quella terrificante proposta è far sì che tutto il sistema giudiziario, inclusi i professionisti chiamati come CTU, si conformino alla logica della “violenza di genere”, da intendersi naturalmente in modo unilaterale come quella dell’uomo contro la donna. La mera ipotesi che vi sia, autocertificata dalla presunta vittima, dovrebbe predeterminare l’andamento di una causa civile di separazione, con l’esclusione del lato maschile-paterno e l’affido alla cieca alla accusante, senza che vi sia alcuna sentenza definitiva dal lato penale per l’accusato. Le CTU chiamate eventualmente in causa dovrebbero operare nello schema dato, dimenticando che due separandi spesso sono in conflitto e fanno ricadere il loro reciproco astio sui figli e concentrandosi sul fatto che potrebbe esserci un caso di violenza. Anzi che quasi sicuramente c’è, naturalmente perpetrato dall’uomo. E per averne prova può bastare chiedere ai minori, senza andare oltre.
Una follia giuridica, scientifica, logica, insomma, dentro cui l’emendamento Valente cerca di tirare tutti: sistema giudiziario, esperti tecnici esterni, investigatori. Le reazioni alla proposta sono state le più disparate, tutte tendenzialmente critiche, salvo qualche accolita fanatica che bazzica i social media. Notevole però che a questo delirio si sia associata l’AIPG – Associazione Italiana di Psicologia Giuridica, che in agosto ha rilasciato questo comunicato stampa, con cui si dichiara sostanzialmente allineata alla posizione espressa dagli emendamenti della Senatrice Valente. I quesiti alle CTU, secondo l’AIPG, dovrebbero in effetti essere «formulati tenendo conto delle
situazioni di violenza intrafamiliare e di genere». Si tratterebbe di capire cosa intende l’AIPG con l’espressione “di genere”: violenza tout-court o solo quella maschile contro le donne? In questo secondo caso la posizione dell’Associazione è già irricevibile. Non solo: quando parla di “violenza intrafamiliare”, intende quella formalmente accertata da un giudice, previo regolare procedimento penale, o quella unilateralmente attestata a chiacchiere da una presunta vittima? La questione è dirimente, ma l’AIPG non specifica nulla in questo senso.
Una coraggiosissima asserzione dell’AIPG.
Nemmeno si spiega il motivo per cui l’Associazione ritenga corretto ridurre il peso della “circolarità conflittuale” all’interno di alcune coppie separate, per aumentare il peso di un’asserita “violenza di genere”. Mentre la prima rappresenta un fattore estremamente frequente (purtroppo), la statistica ci dice che la seconda rimane un fatto marginale e piuttosto raro (per fortuna). Non si comprende per quale motivo si dovrebbe sottostimarne uno e sovrastimarne l’altro, se non quello di compiacere la parte politica che pare incline a proporre siffatte follie. Che si tratti di una forma di piaggeria o di adesione politica, più scientifica, lo dimostra la successiva presa di posizione dell’AIPG rispetto a quel tormentone insopportabile chiamato “PAS” (sindrome da alienazione parentale), su cui ovviamente parte il pippozzo solito: «non riconosciuta a livello scientifico internazionale». Il che è noto e accettato da ogni professionista del settore, che però non può fare a meno di rilevare, quando ci sono, atti concreti messi in opera da un genitore per porre l’altro in odio al bambino. Non è necessario che ci sia una sindrome per commettere atti che “alienano” un bambino rispetto all’altra figura genitoriale. Ed è sacrosanto che si possa dire.
Per l’AIPG invece no: non va bene se capita che «il CTU tenda a scrivere di alienazione e condizionamento (magari non utilizzando più il termine PAS ma sostenendo più o meno un concetto simile) quando un figlio non vuole frequentare l’altro genitore, dando poco peso alle motivazioni di un minore. Ovvero: anche davanti all’evidenza dei fatti, non si deve parlare di un tentativo di allontanare il minore dall’altro genitore, perché ricorderebbe da lontano la PAS, quindi niet. Bisogna ascoltare il minore e credergli sulla parola. Poco importa che i bambini siano tra i soggetti più condizionabili che ci siano (tanto che si possono anche trasformare in soldati o kamikaze senza grossi problemi): bisogna ascoltare e dar retta a loro, lasciando stare i fatti. Per corroborare questa sciocchezza, l’AIPG cerca di coprirsi dietro alcune convenzioni internazionali, dicendo che esse stabiliscono il dovere di ascoltare il minore in casi di contenzioso giudiziario. Si impantana da sé, però, l’AIPG, perché le cita in nota i passaggi delle convenzioni, dove si dice tutt’altro, ovvero si afferma la necessità di riconoscere il supremo interesse del minore. Che questo coincida con il suo ascolto «immediato e diretto», come scrive l’AIPG, e la fiducia incondizionata in ciò che dice, è dunque solo una coraggiosissima asserzione dell’Associazione (oltre che della Senatrice Valente).
Perché l’AIPG sostiene gli emendamenti Valente?
La definiamo coraggiosissima essenzialmente alla luce di eventi come quelli della Bassa Modenese o della Val D’Enza, tutti determinati proprio dal narrato di minori palesemente condizionati da altri adulti. Perché è un po’ questo il centro di chi fa riferimento a metodologie ben diverse da quelle auspicate dall’AIPG, ossia quei professionisti che si richiamano ai contenuti internazionalmente riconosciuti della Carta di Noto. Il minore va certamente ascoltato, e pure con infinita attenzione e massima protezione, ma ciò che dice non può essere creduto alla lettera, tanto meno se si tratta di un bambino in età pre-puberale, quella fascia d’età dove il confine tra reale e fantasia è spesso molto labile. Non che dopo si rafforzi: si ha certezza di una reale consapevolezza nei minori soltanto da una certa età in poi, ad adolescenza quasi compiuta, dunque è essenziale che il narrato riportato da un bambino venga acquisito come uno dei tanti possibili elementi, senza che diventi dirimente. Il suo “supremo interesse” non può risiedere esclusivamente in ciò che asserisce, solitamente frutto di suggestioni o desideri più o meno inconsci. Esistono valori oggettivi e razionali ben definiti che costituiscono precondizioni per il supremo interesse del minore. Uno di questi, riconosciuto dalla scienza e dalla legge ad ogni livello, è la bigenitorialità. Che è poi ciò che gli emendamenti Valente e approcci come quello dell’AIPG tendono a voler cancellare.
Sono tante le richieste di chiarimento a cui l’AIPG dovrebbe dare risposta rispetto alla sua presa di posizione pubblica, che tra l’altro si fa forte di «numerose tesi di fine corso sulla violenza di genere» (!!!) e delle dichiarazioni di un magistrato che parla di «diritto di visita», istituto non previsto da nessuna legge italiana (!!!!!!). Si tratta di richieste che nascono dalle domande che ci siamo posti nel commentare il loro comunicato stampa e, come abbiamo deciso di fare in questa prima fase di riaccensione dei motori, riteniamo doveroso fare un tentativo di capire cosa ci sia dietro a quella che ci pare una colossale insensatezza, rivolgendoci direttamente agli interessati. Ecco dunque la comunicazione che abbiamo inviato all’AIPG, con la richiesta di precisare meglio il loro punto di vista per come è espresso nel loro comunicato stampa. È improbabile che ci rispondano, ma vale comunque la pena tentare di richiamare costoro a un’assunzione di responsabilità rispetto a ciò che sostengono. Dal nostro lato, l’abbiamo detto, riteniamo le ipotesi di cambiamento annesse agli emendamenti Valente come una vera e propria iattura, qualcosa di irricevibile sotto ogni aspetto. È essenziale capire cosa spinga un’associazione di settore a sostenerli, anche per evitare, fra qualche anno, di stupirsi quando salteranno fuori altri fenomeni come la Bassa Modenese, Bibbiano o si registrerà un aumento vertiginoso di suicidi di uomini e padri.