Lo scorso 8 marzo compariva, sul portale studiocataldi.it, un articolo che magnificava un provvedimento del Tribunale di Potenza: reale e concreto affidamento condiviso, mantenimento diretto e assoluta pariteticità non solo nei tempi, ma anche nelle responsabilità e nei compiti di cura della prole. Ciò che risultava particolarmente anomalo era il contesto all’interno del quale tale decisione maturava: un’aspra e insanabile conflittualità tra le parti, anche attraverso reciproche accuse e rivendicazioni protratte per anni. Un particolare riconoscimento veniva tributato alla categoria forense che, come e più della magistratura, in troppi casi ha mostrato e continua a mostrare una certa ritrosia nel recepire la ratio della novella nata ormai 15 anni addietro.
Nel caso di specie, tuttavia, proprio agli avvocati delle parti hanno giocato un ruolo-chiave nel condurre per mano i propri assistiti verso la tutela del superiore interesse del minore attraverso una sana conservazione dei ruoli genitoriali, lasciando che gli attriti coniugali, pur senza affievolirsi, rimanessero confinati su un piano diverso. Quindi i diritti del minore – formalmente indisponibili, molto meno nella realtà dei fatti – una volta tanto non rimangono sulla carta e vengono tradotti in misure estremamente concrete. Abbiamo voluto sentire almeno uno dei legali, per registrare le sensazioni dirette di chi ha ottenuto il provvedimento di cui sopra. Rintracciamo l’avvocato Luciano Natale Vinci del Foro di Matera, difensore del padre. Dal colloquio con l’avvocato emergono però stati d’animo contrastanti che spaziano dalla soddisfazione all’amarezza: soddisfazione per aver raggiunto l’obiettivo prefisso, amarezza per l’attenzione ricevuta da media e portali dedicati.
Un inspiegabile sdoppiamento.
«Vengo cercato da colleghi e cronisti quando ottengo ciò che dovrebbe essere prassi giurisprudenziale» – esordisce l’avvocato Vinci – «questo non può che essere fonte di amarezza. Un provvedimento che dovrebbe essere normale desta invece stupore, è atipico rispetto alla maggioranza delle sentenze che continuano a replicare il modello di affidamento precedente alla riforma del 2006».
Cioè, può spiegare meglio?
«Nella maggior parte dei casi viene formalmente disposto l’affidamento condiviso, tuttavia i tempi di frequentazione continuano a privilegiare un genitore a scapito dell’altro. Benché la riforma dovrebbe garantire ai figli una piena bigenitorialità, l’asimmetria tra genitori sembra resistere nella mentalità di alcuni giudici, nonostante sia esattamente ciò che il legislatore del 2006 intendeva eliminare».
Nei dettagli, come viene equiparato il ruolo di entrambi i genitori?
«Con una piena compartecipazione e una paritaria assunzione di responsabilità. Vede, una equa suddivisione dei tempi è fondamentale per la suddivisione, come conseguenza diretta, anche delle responsabilità nei confronti dei figli. C’è un luogo comune da sfatare: troppo spesso emerge dalle relazioni degli ausiliari del Giudice, ed anche dalle sentenze stesse, la teoria secondo la quale non sarebbe importante la quantità ma la qualità del tempo dedicato ai figli. Non è vero, lo scriva, non è affatto vero: la qualità non può prescindere dalla quantità. Vedere i figli tre ore il mercoledì pomeriggio non è il modo corretto di fare il padre».
Quindi un bravo genitore non può definirsi tale se il suo ruolo viene limitato.
«Certo, la prova è nel curioso sdoppiamento dei livelli comunicativi: diventa tutto più comprensibile se facciamo il parallelismo tra genitore coniugato e genitore separato. Il padre che in costanza di matrimonio delegasse alla madre i compiti di cura dedicando ai figli un pomeriggio a settimana e due domeniche al mese, verrebbe valutato un genitore assente, inadeguato, incapace di comprendere le esigenze dei figli dei quali, invece, dovrebbe occuparsi senza limitazioni. Limitazioni che invece vengono imposte al padre separato, il quale deve spesso elemosinare un pomeriggio in più, un giorno in più, un pernottamento in più. Col padre separato il sistema giudiziario utilizza un diverso livello di comunicazione, imponendo al secondo livello ciò che viene considerato biasimevole al primo livello».
“I giudici illuminati esistono”.
Quindi non possiamo parlare di piena soddisfazione.
«Ma si, è un riconoscimento dell’ottimo lavoro svolto tra legali, genitori e tribunale, risultato ancora più prezioso in considerazione dell’humus altamente conflittuale nel quale è maturato. Sarebbe sbagliato dire che non sono soddisfatto. Non riesco ad esserlo pienamente perché tutti noi avvocati dovremmo ottenere provvedimenti analoghi, invece non è così. Troppo spesso ci scontriamo con pregiudizi antipaterni duri a morire».
Altruista?
«Non è altruismo, è stupore (nell’intervista l’avvocato Vinci aveva usato un termine più sanguigno, poi ha chiesto di stemperarlo in “stupore”, n.d.A.) nel constatare che si parla della sentenza che rispetta i principi-cardine della norma, mentre viene steso un pietoso velo su migliaia di sentenze che non li rispettano. In un Paese normale sarebbe logico il contrario, dovrebbe essere anomalo – e fare notizia – il provvedimento che aggira la norma e restaura l’asimmetria tra genitori spacciandola per bigenitorialità».
Leggendo il testo del provvedimento emerge una cura minuziosa nel definire i più piccoli particolari delle frequentazioni.
«È indispensabile farlo, ho già detto che quei genitori sono particolarmente conflittuali. Hanno fatto un ottimo lavoro riconoscendo la necessità per il figlio di avere uguale accesso ad entrambi, a prescindere dalle reciproche rivendicazioni; però devono essere aiutati, e l’aiuto va dato chiudendo tutte le falle che potrebbero lasciare spazio ad interpretazioni soggettive. Facciamo chiarezza: nelle separazioni conflittuali la formula peggiore è quella che apparentemente sembrerebbe più ampia; scrivere “il padre vedrà i figli quando vuole, previo accordo” è un suicidio giuridico. È sufficiente che l’accordo non ci sia perché “quando vuole” si traduca in “mai”. Consegnando una sorta di potere di veto ad un genitore si alimenta un prevedibilissimo aumento della conflittualità».
Perle di saggezza
«No, amara constatazione che deriva da anni di esperienza. La casistica accumulata è il capitale più prezioso per noi avvocati. Mi consenta un appello: accantoniamo l’atteggiamento arrendevole , consigliando ai clienti di non chiedere misure poco usuali , difficili da far accettare in quanto sgradite alla maggior parte dei magistrati. Chi si arrende ha perso ancor prima di cominciare, i giudici illuminati esistono, dobbiamo lavorare perché diventino la maggioranza».