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di Davide Stasi. Da quel momento il piccolo Alessio vive in una sorta di altalena quotidiana. Ogni giorno quel signore grande e grosso che si fa chiamare “papà”, lo va a prendere e lo porta con sé, insieme a una signora che si chiama Gianna. Sono tutti e due pieni di attenzioni verso di lui, lo portano ai giardini, gli leggono un sacco di storie, gli fanno cose buone da mangiare. E poi ha già una stanza tutta per sé. Non se ne accorge subito, è troppo piccolo. Servono due o tre anni per rendersi conto che a casa di papà si sta benone. Grande, pulita, con tanto di piscina dove poter giocare d’estate. Certo non mancano momenti di severità, specie quando papà e Gianna cercano di insegnargli già a riconoscere le lettere e le cifre. Ma tutto è compensato di tanto in tanto dalla presenza dei nonni. Tenerissimi! Arrivano sempre con qualche dolce delizioso o qualche regalino. Alessio è raggiante in quelle tre ore giornaliere che un giudice, con un decreto esecutivo, ha deciso deve passare con papà e Gianna.
Poi c’è lo sbalzo, il rientro a casa di mamma. Ed è come passare ogni volta dalla luce al buio e viceversa. Non è un caso che Alessio pianga disperatamente ogni volta che deve lasciare papà e corra come un fulmine quando deve raggiungerlo per le sue tre ore di ossigeno. In senso letterale, perché a casa della mamma, dove vive anche la nonna, l’aria è davvero irrespirabile. Ha un che di acido che Alessio non sa definire. Forse è il fatto che nonna è malata: dorme sempre. E quando non dorme è sempre attaccata a una medicina che non smette mai di bere, talvolta dal bicchiere, talvolta dalla bottiglia. E dev’essere una medicina abbastanza cattiva, perché ogni volta che la nonna si avvicina ha il fiato che sa di disinfettante, come l’alcol che si usa quando ci si sbuccia le ginocchia. Dopo aver bevuto un sacco di quella roba, nonna barcolla, parla ma non si capisce, poi va sul divano o sul letto e dorme.
Poi c’è lo sbalzo, il rientro a casa di mamma.
Anche mamma ha la stessa malattia. Non così grave, lei la medicina la prende meno della nonna. Però anche lei spesso ha quel cattivo odore acido, cammina male e molte volte non Alessio non capisce cosa dice. Vivendo le due realtà Alessio non riesce a non vedere le differenze. Gianna pulisce spesso casa e cucina cose buone, mentre mamma o esce o, se sta a casa, guarda la TV, beve la sua medicina, gioca col cellulare. Sarà anche per questo che a casa di mamma c’è un cattivo odore e ogni volta che Alessio cammina a piedi nudi si ritrova le piante tutte nere. Non di rado anche marroni. Sì, perché a casa di mamma c’è anche un cane. Mamma e nonna tengono la sua cuccia in cucina, spesso si dimenticano di portarlo fuori e capita spesso che Alessio, zampettando per casa, schiacci una delle sue cacche. Potrebbe essere tutto sopportabile, alla fine, se non fosse che a casa di mamma non si fa niente. Lei e nonna non gli parlano tanto e se lo fanno è per sgridarlo o dirgli di star zitto o per dirgli di andare a guardare la TV. Baci, carezze, coccole, manco a parlarne.
Alessio si ritrova così sballottato da due anni in poi in queste due realtà parallele e contrastanti, che non contribuiscono sicuramente a plasmare il suo essere in un modo equilibrato. A un certo punto le cose però cambiano. In peggio. Alessio non ne capisce il motivo e in realtà nemmeno Mauro, suo papà. Un giorno, arrivato davanti a casa della mamma, puntuale alle 17.00 come ogni giorno, Gaia non si presenta con Alessio. Mauro la chiama al cellulare, ma lei non risponde. Alle 17.30, preoccupato, suona al campanello. Risponde la nonna. “Chi è?”. “Sono Mauro, mi portate Alessio per favore? Abbiamo perso già mezz’ora…”. Mauro deve ascoltare il ronzio del citofono per una decina di secondi prima di sentire una risposta che lo lascia secco: “no”. “Cosa no? Come sarebbe no?” dice al microfono, ma la nonna ha già chiuso la comunicazione. O forse è caduta in coma etilico, non si sa. Mauro non sa che fare. D’istinto si farebbe aprire il portone da qualcuno, andrebbe su e si prenderebbe Alessio con la forza, ma sa che cose del genere lo potrebbero mettere in grossi guai.
Baci, carezze, coccole, manco a parlarne.
“Ho un decreto esecutivo del Tribunale”, pensa tra sé, ritrovando la calma. Subito dopo digita il numero dei Carabinieri. Che arrivano, dopo un po’. Salgono e parlamentano con Gaia e la nonna. Dalla strada si sente anche qualche urlo delle due. Mauro immagina cosa Alessio stia provando a sentire quel vociare, a vedere quelle uniformi. Sarà spaventatissimo, si dice. I Carabinieri scendono poco dopo, da soli. Abbiamo fatto il possibile, dicono. Non possiamo prelevare il minore di forza, dicono. Si rivolta al Tribunale, dicono. Poi se ne vanno. Sebbene sia cosa grave, anzi un vero e proprio reato non consegnare un minore al padre nel rispetto delle decisioni di un Tribunale, ci si potrebbe anche passar sopra. Gaia magari era mal disposta, le era presa l’ubriacatura cattiva, vai a sapere. Il fatto è però che da quel momento i suoi rifiuti diventano sistematici e smette di lasciare che Alessio raggiunga il papà, senza addurre alcuna ragione al diniego.
Ogni volta Mauro chiama i Carabinieri, che correttamente arrivano, parlamentano, poi se ne vanno allargando le braccia. Una storia che si ripete giorno dopo giorno, per mesi, finché i Carabinieri non arrivano più. In quegli stessi mesi Mauro deposita trentotto denunce per il mancato rispetto da parte di Gaia del decreto esecutivo del Tribunale. Trentotto… trentotto prima che il Tribunale si decida ad esaminare il caso e convochi entrambi per cercare di dirimere il contendere. Non agisce di forza, come forse sarebbe accaduto se a non consegnare il bambino fosse stato un uomo, ma convoca le parti. E la prima domanda che fa è indirizzata a Gaia: “signora, perché non consegna il minore al padre, come da decreto esecutivo”? Gaia guarda nel vuoto per un bel po’ prima di rispondere. Lancia un’occhiata rapida a Mauro, prende un respiro e dice: “non è un genitore idoneo”.
A Mauro scappa una risatina. Ma si accorgerà in breve che c’è poco da ridere. Tra poco entrerà in campo di tutto: droga, violenza e soprattutto, per cominciare, nientemeno che la magia.