di Davide Stasi. C’era una volta un bambino, che oggi ha dieci anni. Chiamiamolo Alessio. Lo potete vedere ora. E’ là, nella sua stanza. Sta davanti al computer, digita e clicca, clicca e digita. Gioca a “Fortnite”, un videogame molto in voga in questo periodo. Non si stacca un momento da lì, non esce mai. Se gli andate a parlare, dovrete richiamare due o tre volte la sua attenzione prima che vi risponda. E’ il suo modo per estraniarsi, oggi. Sì, è vero, è sovrappeso. Parecchio. Non è un bene per la sua salute, prima ancora che per l’estetica. Ed è un peccato perché Alessio fino a non molto tempo fa giocava a calcio, e pure bene. Non di rado andava anche a cavallo. Avreste dovuto vedere che figurino. Ah, Alessio era anche tutto sommato un bambino vivace, allegro, solare, pieno di amici. Ora no. Ora è immusonito, malinconico, sempre solo in casa, assorto in pensieri difficili da intuire. O che forse è meglio non intuire. Per lo meno è meglio che li intuisca la psicologa da cui gli tocca andare una volta a settimana.
Perché Alessio è ridotto così, alla sua età? Cosa gli è accaduto? Ha avuto un incidente. E’ stato investito dal “supremo interesse del minore”. A guidare il tir che l’ha travolto c’erano alcuni soggetti ben precisi, che dopo averlo centrato in pieno hanno frenato e gli sono passati sopra in retromarcia. Poi ancora in avanti e ancora in retromarcia, più e più volte, per anni. Alessio ha visto, senza riconoscerla coscientemente, la targa “supremo interesse del minore” sovrastarlo a più riprese, fino ad annullare poco a poco la sua personalità, la sua innocenza e la sua persona tutta intera. Questo è il motivo generale per cui ora si rifugia dove può, nascondendo quello che gli resta di sé dentro un videogioco, mangiando compulsivamente e ritraendosi nell’isolamento. Alessio è stato svuotato con la stessa minuzia con cui gli egizi espiantavano gli organi ai morti prima di imbalsamarli.
Perché Alessio è ridotto così, alla sua età? Cosa gli è accaduto?
I sacerdoti del suo annientamento si conoscono per nome e cognome. Qualcuno, chiamiamolo Mauro, il papà di Alessio, ha raccolto maniacalmente ogni prova possibile di ogni stazione del calvario a cui suo figlio è stato condotto nel corso di otto anni, e ha voluto condividere con me la via crucis di cui è stato testimone, nella maggior parte dei casi impotente e disarmato. L’ho incontrato e si è presentato con una station wagon occupata interamente nella parte posteriore da enormi contenitori di plastica. Dentro i contenitori, pratiche, documenti, carteggi, memorie, denunce, querele. “Questo che vedi”, mi ha detto, “è un 5% di quello che ho. Il resto ce l’ho a casa”. Quella che mi ha raccontato è, non esito a dirlo, una delle storie più assurde e inquietanti tra quelle che mi sono state consegnate in questi anni. E vi assicuro che sono tantissime, nell’ordine dei gigabyte ormai.
Per questo motivo ho deciso di raccontarla. Ma è talmente lunga e articolata che la racconterò “a puntate”, pubblicando un aggiornamento ogni sabato mattina. Sarà il primo passo del blog verso il racconto reale delle vicende di uomini-padri e bambini o bambine finiti in un tritacarne implacabile, che macina vite talvolta a norma di legge, talvolta anche no. La vicenda di Alessio è solo la prima di queste iniziative. A inizio ottobre ne partirà una seconda, e una terza ancora entro la fine dell’anno. Gli obiettivi sono due. Il primo è dare un contributo a integrare la narrazione dominante. Uso il termine “integrare” perché puntare a smentirla alla radice sarebbe troppo ambizioso. Ciò che oggi si sa e si dice sulle vicende familiari, separative o inerenti ai minori è talmente radicato da essere quasi proverbiale. Senza contare che, assommando le vite di tutti gli uomini-padri e di tutte le donne-madri, verrebbe fuori sicuramente che la verità sta nel mezzo. Proprio la posizione dove in genere si trovano i bambini, i figli. Dunque nessun intento sovversivo o rivoluzionario in questa iniziativa. Semplicemente un contributo perché il racconto sociale su questi temi possa guadagnare in equilibrio.
Dare un contributo a integrare la narrazione dominante.
Il secondo obiettivo è più audace: mostrare come, al di là delle volontà malevole o benevole di chi si separa, il male è nel sistema. E’ un virus complesso, che ha tante articolazioni e sotto-tipi, ma analizzandolo al microscopio si nota come alcuni elementi siano comuni in tutte le storie, mentre altri abbiano una presenza discontinua. La storia di Alessio addita in modo incontrovertibile la testa del mostro che, come si è già iniziato a riflettere su queste pagine, è il sistema giudiziario. Vero, i servizi sociali, gli specialisti privati, gli avvocati e tutto il mondo che per interesse circuita attorno a queste vicende spesso ci mettono del loro. Ma spesso, non sempre. La magistratura invece è il filo rosso che unisce in un’unico male tutte le storie più anomale, distorte, atroci, devastanti. Certo non mancano i giudici coscienziosi ma, dopo anni di rilievi sul campo, non si può che classificarli come la classica eccezione che conferma la regola. Là, tra i togati, sgorga il fiume del Male che ha annegato Alessio e tanti altri come lui. Un fiume che, più in alto, ha la sua sorgente nelle leggi fatte dalla politica, ma anche in questo caso non sempre. La storia di Alessio è un atto d’accusa contro quella realtà, lanciato a nome di tutti i minori il cui “supremo interesse” è stato usato come una clava per massacrarli.
La sua vicenda si svolge in centro Italia. Nel raccontarla non farò mai nomi veri né di persone né di luoghi, per tutela essenzialmente di Alessio, perché la sua vicenda ancora non è chiusa, per assurdo che possa sembrare. E non si pensi che, tra le tante ricevute, in gran parte accompagnate da comprensibile divieto di diffusione, racconti questa per un qualche tipo di preferenza. Lo faccio perché è davvero una delle più rappresentative delle anomalie più comuni e dello strapotere discrezionale e tossico della magistratura. E così sarà anche per le altre imminenti iniziative simili a questa. Detto questo, dunque, andiamo a incominciare, ritessendo il filo degli eventi che hanno ridotto Alessio come l’abbiamo incontrato all’inizio di questo articolo.
Tutto comincia nel 2010, quando Mauro, il papà di Alessio, riceve una telefonata.