di Fabio Nestola. Il sito “Ciociaria Oggi” pubblica un articolo in cui si parla di una coppia in crisi che sperimenta le delizie del sistema giudiziario unidirezionale: lui denuncia e non succede niente, lei denuncia e i servizi sociali corrono solerti a “proteggere” madre e figlia. Il professionista alatrense, così lo definisce il cronista (il dr. T. è un insegnante), sporge diverse denunce per maltrattamenti, ingiurie, minacce ed aggressioni fisiche da parte della moglie sudamericana. Comportamenti violenti arrivati anche ad un “tentativo di omicidio-suicidio che, per circostanze fortuite, ha provocato solo danni in casa e nessuna vittima”. L’articolo non chiarisce se il tentato omicidio-suicidio fosse dimostrato da riscontri oggettivi, come ad esempio un incendio nell’appartamento, finestre in pezzi, tracce inflitte da armi da taglio su letti e divani, o altro. Abbiamo potuto contare sulla cortese collaborazione dell’avvocato Bernardino Marzilli, difensore del dr. T., per acquisire ulteriori particolari della querelle. E non sono particolari edificanti. La vicenda ha radici ultradecennali: la coppia ha frequenti attriti e la signora nel 2008 pianifica una strage, incendia l’appartamento, apre la bombola del gas e tenta di uccidere se stessa, la figlia che all’epoca ha poco meno di 2 anni e il compagno, oltre alla concreta possibilità di causare enormi danni anche a terzi nell’eventualità di un’esplosione. Fortunatamente non riesce nel suo intento e viene arrestata, ma ha seri disturbi comportamentali per i quali tutt’ora è seguita dal Centro di Igiene Mentale. Non sconta alcuna pena detentiva grazie anche alla remissione della querela da parte del dr. T.
Il rapporto prosegue tra vicende altalenanti. Nonostante la coppia passi dalla convivenza al matrimonio, le liti continuano in un clima reso difficile dalla oggettiva impossibilità di contenere i disturbi comportamentali della signora. Poi irrompono i servizi sociali, sollecitati da T. a intervenire in aiuto della consorte: essi rilevano la “conflittualità”, un must, e fanno una segnalazione al Tribunale per i Minorenni di Roma il quale, lo scorso 15 settembre, prende atto di un atteggiamento ribelle e offensivo della figlia 13enne nei confronti della madre e perciò limita la responsabilità genitoriale a padre e madre. Attriti madre-figlia, misure limitative anche per il padre. In Italia funziona così. Va detto che la ragazza non è affatto sconvolta dalla conflittualità familiare, ha un ottimo rendimento scolastico, non ha evidenziato disturbi del sonno, dell’alimentazione o altri indicatori di disagio. Ha un ottimo rapporto col padre, dal quale è inseparabile, mentre sovente entra in contrasto con la madre. A inizio ottobre la svolta, quando la signora trova la pallottola d’argento: denuncia il marito per violenze domestiche. Ed ecco che la macchina della giustizia si attiva immediatamente, i servizi sociali, in assenza di dispositivo giuridico, prelevano la figlia a scuola per collocarla in una struttura protetta insieme alla madre.
Assistenti sociali: il braccio esecutivo degli allontanamenti facili.
Le meraviglie del 403 palesano una efficienza da Diritto Discriminatorio Nazionale: la figlia non ha alcun problema col padre ma è ostile alla madre, quindi la si “protegge” allontanandola dal padre e collocandola proprio insieme alla madre, che oltretutto è affetta da conclamati disturbi psichiatrici per i quali è in cura al Centro di Igiene Mentale. Non è meraviglioso? Il prelevamento – scrivere deportazione forse non sarebbe stato eccessivo – avviene in maniera traumatica: la ragazza piange, si dispera, non vuole essere “salvata” dal padre, non vuole esserne allontanata, non vuole essere portata via da casa, vive l’intervento dei servizi come profondamente traumatizzante e tutt’altro che protettivo. Però viene “convinta” dalle assistenti sociali che devono per forza “proteggerla”, non c’è modo di opporsi, mentre al padre e ai familiari del padre viene impedito di parlarle, anche solo di vederla. Che ne sa una ragazzina 13enne di cosa sia meglio per lei? Per fortuna ci sono le assistenti sociali, loro si che sanno quali sono i suoi desideri, le sue esigenze, i suoi diritti.
Non è difficile per un apparato autoritario esercitare enormi pressioni per convincere gli adulti, a maggior ragione i minori. Anche gli ebrei venivano convinti a salire sul treno per Mauthausen. Tutto nasce dalla denuncia della signora, ma cosa avrà dichiarato di tanto grave per far precipitare le assistenti sociali a “salvare” la ragazzina? Nulla di circostanziato, nessun episodio specifico. L’importante è decidere di allontanare la figlia dal padre, poi il motivo si trova. Più che un reale motivo sembra un pretesto per paventare una grave ed imminente situazione di rischio ed esercitare l’enorme potere che il famigerato art. 403 del Codice Civile conferisce alla pubblica autorità, quindi alle assistenti sociali in quanto braccio esecutivo degli allontanamenti facili.
Una ragazzina di 13 anni che vorrebbe continuare a stare col padre.
Sono dinamiche che abbiamo rilevato più volte, studiato ed approfondito più volte anche promuovendo interrogazioni parlamentari, e denunciato all’Autorità Garante per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza. All’epoca (2014) il Garante era Vincenzo Spadafora, che preferì girarsi dall’altra parte dichiarando: “è un allarme immotivato perché il Sistema, tutto sommato, regge”. Ipse dixit. Poi venne Bibbiano, ma questa è un’altra storia. Tornando alla vicenda che ci occupa, è utile notare la tempistica: 15 settembre provvedimento del Tribunale dei Minori, primi di ottobre la denuncia della signora, 8 ottobre il prelevamento della figlia. Qualcuno potrebbe malignare, insinuando che si tratti di una strategia preparata a tavolino. Che sia stata una misteriosa manina ad aver guidato la signora, appena in grado di comprendere l’italiano? Non è dato saperlo e nessuno può affermare che consigli più o meno leciti siano arrivati da un centro antiviolenza, un’assistente sociale, un avvocato dall’etica dubbia.
Resta il fatto che la ragazza non vuole essere separata dal padre, sarebbe il caso che venisse ascoltata in merito – com’è suo diritto – prima che l’allontanamento forzato ed eventuali condizionamenti e/o pressioni di qualunque tipo ne inquinino la spontaneità delle dichiarazioni. L’avvocato Marzilli ha reagito tempestivamente, sia proponendo alle autorità competenti (leggasi Responsabile del Servizio Sociale del Comune di Alatri, alla presenza del Sindaco di Alatri) la collocazione della ragazza presso la zia e la sorella che ne hanno chiesto l’affido, sia denunciando le assistenti sociali per abuso d’ufficio. La prima istanza dovrebbe essere accolta ed anche in fretta, visto che la norma prevede il collocamento eterofamiliare solo come extrema ratio, mentre il giudice ha l’obbligo di verificare se vi siano parenti fino al 4° grado disposti ad occuparsi della minore (L. 184/1983). Qualche perplessità la abbiamo sull’esito della denuncia. La pratica dell’allontanamento senza che ne esistano i concreti presupposti è talmente diffusa che nutriamo dei dubbi sulla volontà di sanzionare chi agisce in assenza di linee guida certe che stabiliscano un percorso verificabile e ripetibile, e soprattutto in totale autonomia diagnostica e valutativa. I migliori auguri all’avvocato Marzilli ed ai suoi assistiti, ma soprattutto a quella ragazzina di 13 anni che vorrebbe continuare serenamente a vivere col padre.