La Fionda

La (s)pregevole inventiva delle influencer

Vita dura quella degli influencer, oggi. Tutto il giorno attaccati al proprio cellulare, alla ricerca dell’angolatura giusta per fare la foto del secolo, quella che tutti i follower condivideranno, magari da accompagnare con qualche frase ad effetto, e se non si riesce a pensarla, si può sempre prenderne in prestito da qualcun altro più lucido. E poi i filtri per rendersi più giovani, magri, belli, in forma, con quell’ombra e quell’angolatura imperdibili, in modo da trasmettere ancora meglio e più forte l’imperdibile messaggio che si vuole passare all’umanità e che, comunque sia espresso, ha due significati simultanei: «io esisto» e «seguitemi e condividete, così guadagno». Ma guadagno cosa? Come si viene pagati da influencer? Non c’è un CCNL che ne regoli l’inquadramento, dunque… dunque se non sono soldi sottobanco con qualche giro PayPal, Donorbox o altro, allora sono commodities: viaggi a ufo, pranzi a sbafo, prodotti inviati “in valutazione” in cambio di una critica positiva, e così via. Queste sono le nuove frontiere dell’occupazione, con una domanda sopra tutte: come e quanto pagano di tasse gli influencer? Mistero. Di certo vivono sull’attenzione che riescono ad attirare e per riuscire nel proprio intento sono disponibili a tutto e anche oltre.

Non si può non registrare che, in questo, le influencer di sesso femminile tendono a essere le più disinvolte. Possono farlo: se sono minimamente carine portano sempre con sé il proprio capitale, per lo meno fino a una certa età, ed è ovvio che cerchino di farlo fruttare. Il cortocircuito capita di frequente quando associano questo tipo d’investimento con un femminismo d’accatto: incoerenze che passano inosservate presso i follower, spesso troppo incantati da un bel culo. Poi c’è chi può permettersi soltanto il femminismo, e allora le prova tutte. Sembra essere il caso di Aurora Ramazzotti che, in mancanza d’altro, dopo aver cavalcato l’onda mediatica del catcalling (disse di essere stata molestata mentre faceva jogging, facendo partire discussioni infinite sui fischi e le apostrofi maschili), cerca la ribalta in altri termini inglesi buoni da spacciare nell’ambito della violenza contro le donne, un po’ come fa anche mammina, e ora dichiara di essere vittima di uno stalker. Saltando tra una ospitata e l’altra in TV (questo è “essere influencer”, e il cognome per carità non c’entra nulla, è tutta bravura naturale), cucina il quadro perfetto della perfetta vittima che attira solidarietà: perseguitata e minacciata di attacco con l’acido, è rimasta a lungo chiusa in casa e ora gira col bodyguard. Ma pensa. E fare denuncia no? Pare di no. Per lo meno gli articoli non ne parlano. Peccato perché col Codice Rosso voluto anche da mammina si sarebbe subito capito se era una storia vera o una roba farlocca tanto per attirare attenzione, condivisioni e like. Il dubbio rimane. Per gli altri, per lo meno. Noi ne siamo già certi. La moda di poter dire «anche io ho il mio stalker» è antica, data dai primi anni ’90 del secolo scorso, quindi nulla di nuovo.

carla bellucci influencer
Carla Bellucci

Ecco un possibile valore aggiunto delle influencer.

Ma Aurora Ramazzotti è una newbie del settore: non sapendo probabilmente fare altro, si mette all’ombra dei monumentali genitori e vivacchia così. Poco male, a parte il contributo terroristico alla criminalizzazione maschile. Di fatto c’è chi fa peggio. È il caso di Carla Bellucci, influencer britannica che a 39 anni è in attesa del suo terzo figlio. Non è la prima a esibire per i propri follower la propria gravidanza: è qualcosa che la capostipite di questo trend, Chiara Ferragni, ha sdoganato da tempo. Ma la Bellucci vuole andare oltre: renderà visibile il proprio parto sul suo profilo “OnlyFans”, dunque a chiunque voglia pagare. Non solo: sta facendo un pensierino anche a vendere il proprio latte materno, visto che qualcuno gliel’ha chiesto. A chi solleva dubbi etici sulle sue intenzioni risponde con cipiglio: «Sono una donna d’affari, devo fare soldi». Indubbiamente è questo il compito di una donna d’affari, ma a che prezzo? Quello che lei intravede riguarda soltanto la sua persona. Qualche esagitato l’ha minacciata sui social, proprio a seguito delle sue “iniziative imprenditoriali” e lei, povera stella, è stata costretta a rafforzare i sistemi di sicurezza attorno a sé. In questo mondaccio patriarcale non è proprio possibile fare ciò che si vuole del proprio corpo, incluso metterlo in vendita mentre dà alla luce un’altra vita. Il problema, qui come per l’aborto, in un certo senso, è però che non c’è di mezzo soltanto il suo corpo.

C’è di mezzo anche e soprattutto il corpo del bambino, la sua stessa essenza ed esistenza. Cosa penserà quando, una volta maturo, saprà di essere venuto al mondo sotto gli occhi di un numero imprecisato di persone paganti? Cosa, quando saprà che mentre piangeva per la fame, la mamma vendeva il latte a generosi compratori? Probabilmente nulla: una siffatta madre lo crescerà in modo da rendergli il tutto perfettamente normale e accettabile, rendendo ereditaria la mostruosità di un’anima venduta al denaro ma soprattutto al degrado umano conseguente alla diffusione sregolata dei social network. I quali funzionano bene, anche in termini di guadagno, nella misura in cui gli utenti esibiscono ogni anfratto della propria intimità. Un connubio devastante dove, senza fare tanto i moralisti, semplicemente si fa mercato di un momento che, dacché esiste l’umanità, dovrebbe essere una gioia intima, familiare, personale, riservata. In questo senso mancano due riflessioni indispensabili. La prima è dove sia il padre. Probabilmente nella stanza a fianco a contare le sterline che già arrivano per la visualizzazione in HD del lieto evento: c’è di buono dunque che lo schifo umano del business tramite social realizza davvero una forma di totale parità. La seconda si rifà a una semplice legge economica: ogni offerta ha la sua domanda. Se la signora Bellucci fa ciò che fa, propone ciò che propone, vuol dire che in giro ci sono davvero guardoni desiderosi di seguire in diretta il suo parto o di comprare il suo latte materno. Ecco allora un possibile e reale valore aggiunto dell’opera delle influencer: far emergere la feccia dell’umanità, renderla visibile e percepibile. E chissà, magari in un futuro pure intercettabile, per metterla finalmente in condizione di non nuocere ulteriormente a questo povero mondo.



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