di Giorgio Russo. Prendiamo un fatto scientifico che tutti conosciamo: gli antibiotici uccidono i batteri. Per questo li assumiamo quando abbiamo un’infezione. Sappiamo, ce l’hanno insegnato a scuola, che a scoprire la penicillina, il primo antibiotico della storia, fu il biologo scozzese Alexander Fleming, nel 1928. Arrivò alla sua scoperta osservando l’effetto della muffa sulle sue colonie batteriche e da lì, dopo esperimenti ripetuti con successo, riuscì a isolare un farmaco che da quel momento salvò un numero imprecisato di vite. Ebbene, che effetto vi farebbe scoprire che in realtà ogni suo esperimento fallì, che la muffa non c’entra nulla con la penicillina e con gli antibiotici, che questi non hanno alcun effetto sui batteri, anzi sono dannosi per l’organismo, e che in realtà la teoria di Fleming era solo il frutto di una sua fissazione ossessiva?
Naturalmente non è così, Fleming ci azzeccò in pieno, ma ragioniamo per assurdo per un momento e provate davvero a immaginare che effetto vi farebbe sapere che dal 1928 ad oggi è stata applicata una regola scientifica che non solo scientifica non è, ma anzi il suo stesso teorizzatore ne ha dimostrato l’invalidità con il fallimento totale dei suoi esperimenti. Sarebbe sconvolgente, vero? Eppure così è, anche se non nel campo dei farmaci o della scienza applicata, bensì di scienze umane quali la psichiatria e la psicologia, che tuttavia non sono “meno scienze” delle altre. Come esiste una teoria della penicillina, infatti, esiste anche quella conosciuta come “teoria gender” o “teoria queer”, che pretendono di avere, e a tutti gli effetti hanno, una base scientifica. Quella che da decenni ormai ha sovvertito un principio valido per secoli e secoli separando il concetto di sesso e il concetto di genere, dove il primo è il fatto biologico dato dalla nascita, il secondo è determinato da sovrastrutture culturali ed educative che intervengono dopo la nascita. E che possono essere cambiate o corrette.
Alla prova dei fatti la teoria gender (o queer) risulta falsa, anzi dannosa.
Il primo a formulare questa teoria fu lo psicologo e sessuologo americano John Money. A lui si deve l’invenzione del concetto di “identità di genere” e dell’idea secondo cui è possibile “riassegnare” il genere dato dalla nascita con una combinazione di operazioni chirurgiche e psicoterapia. Money formulò la sua teoria negli anni ’50 del ‘900, prendendo spunto dalla sua stessa identità sessuale particolarmente tormentata. I suoi scritti abbondano ad esempio di concetti legittimanti la pedofilia e altri orientamenti anomali, in molti casi ributtanti, che lui nobilitò ribattezzandole “parafilie”. Per disgrazia, ebbe l’occasione di testare la propria teoria su un bambino, Bruce Reimer, che una circoncisione maldestra, quando aveva un anno, aveva completamente privato del pene. Un’occasione perfetta per Money, che ebbe modo di mettere alla prova le proprie teorie. Indusse allora la famiglia di Bruce a sottoporre il bambino a diverse operazioni per simulare una vagina, a imbottirlo di farmaci a base di ormoni e a crescerlo come fosse una bambina, facendogli seguire un percorso psicoterapico condotto da Money stesso. Nonostante questo, Bruce, ribattezzato intanto come Brenda, non si identificò mai con una femmina: per tutta l’infanzia si comportò in modo del tutto uguale al suo gemello Brian. Fu un maschiaccio vestito, trattato e fatto passare, anche a scuola, da femminuccia.
Bruce visse come una tortura i frequenti interventi chirurgici, i farmaci e soprattutto le sedute con il Dr. Money, scandite spesso da attività sessuali, fotografie e video, giustificate dagli intenti scientifici dell’operazione. Arrivato a 15 anni non ne poté più. Di fronte alla sua depressione, la madre gli disse la verità. Da quel momento Bruce riprese possesso della sua identità maschile, ribattezzandosi David, smettendo l’assunzione di farmaci, mandando al diavolo Money e facendosi operare per ottenere una parvenza di virilità. Visse il resto della sua vita portandosi dietro il suo terrificante trauma infantile, che coinvolse alla fine tutta la famiglia. Il suo gemello Brian si suicidò nel 2002 e lui stesso si tolse la vita nel 2004. La sua storia è narrata nei dettagli nel bellissimo libro di John Colapinto “Bruce, Brenda, David”. Quello che interessa a noi, in questa sede, è dire che l’unico esperimento condotto da John Money sulla sua teoria è risultato un colossale fallimento. Uno dei tanti incontrati nel lungo percorso della scienza ma, va detto ancora, sempre di fallimento si tratta. Alla prova dei fatti la teoria gender (o queer) è risultata falsa, anzi dannosa.
C’è invece la necessità di un innalzamento della cultura e della sensibilità collettiva.
Nonostante ciò, oggi ci troviamo i concetti di “identità di genere”, “riassegnazione del genere”, “transizione” e tutto il resto sui libri accademici, nella cultura diffusa e addirittura nelle leggi. Torniamo a Fleming: è come se ci obbligassero ad assumere farmaci scoperti da uno scienziato i cui test sono tutti falliti, dimostrando anzi che il loro principio attivo è dannoso. Ecco il fatto allora: oggi la realtà è dettata da una teoria che è stata provata, con tanto di tragedie personali, falsa e dannosa. È un po’ come se stessimo continuando a usare l’elettroshock sui malati di mente, pur essendo dimostrata la sua inefficacia e la sua disumanità. Statistiche americane (ma anche italiane) mostrano, non a caso, come nel mondo transessuale e omosessuale il tasso suicidiario sia tre volte e l’incidenza della depressione quattro volte quello che si registra tra gli eterosessuali. Tassi registrati anche, anzi soprattutto, quando le persone intraprendono percorsi di transizione. Che evidentemente non risolvono ma anzi esacerbano la situazione, come d’altra parte il caso di David Reimer ha dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio. Insomma il mondo, nel caso delle persone che vivono una sessualità diversa da quella maggioritaria, sta usando una teoria e una soluzione di cui il loro stesso inventore ha provato l’inefficacia e il danno. Non solo: gli effetti collaterali di quella soluzione vengono fatti ricadere su tutta intera la società, tramite le leggi. Non è forse una follia totale questa?
Lo è, a tutti gli effetti. Resta però il problema: come fare per affrontare le tante problematiche legate a quella che oggi viene chiamata “disforia di genere”? Le statistiche aiutano: il tasso suicidiario e depressivo tra trans e omosessuali è causato anzitutto dall’avere un’identità tormentata, ma anche dal trattamento spesso discriminatorio e sminuente che essi riscontrano nella realtà sociale. Essi dunque potrebbero migliorare le proprie condizioni di vita se, sul piano culturale generale, ottenessero più empatia, comprensione, accettazione (pari diritti no, avendoli già pienamente ottenuti da tempo). Un’istanza più che sacrosanta, che però, a ben rifletterci, sta alla pari, non prima né al di sopra, di quelle di altre categorie cui la natura o le dinamiche sociali assegnano ruoli o identità non conformi a quelli della maggioranza delle persone. Basti pensare ai disabili o, perché no, agli uomini che vivono un celibato involontario. Se empatia, comprensione e accettazione sono da riservare a chi soffre un disallineamento tra la propria identità sessuale e la percezione comune, altrettanto dovrebbe farsi per chi, per motivi ugualmente socio-culturali, viene tenuto ai margini delle dinamiche relazionali. Se non accade, è perché esistono gruppi di interessi ben organizzati e finanziati che, pur fondandosi su una teoria farlocca, riescono a dettare legge, mentre altri o passano in secondo piano (i disabili) o vengono addirittura criminalizzati (i celibi involontari). Alle spalle di tutto ciò rimane certo che non ci sono transizioni da fare, né ci sono da imporre leggi mirate a opprimere la maggioranza per tutelare una minoranza. C’è piuttosto la necessità di un innalzamento della cultura e della sensibilità collettiva. Operazione difficilissima e probabilmente traumatizzante, ma sempre meglio che vivere in un mondo distopico dove si applica una legge scientifica dimostrata come totalmente infondata proprio dal suo stesso ideatore.