La Fionda

La scrittrice Sara Bilotti rivela in un post i disastri del femminismo

Ci siamo occupati di recente di Marilù Oliva, scrittrice femminista, cui è stato consentito dalla prestigiosa Zanichelli di mettere le mani su un testo didattico relativo ai “Promessi sposi”. A seguito di quell’articolo, ci è giunta un’altra segnalazione su un’altra scrittrice della stessa caratura, facendoci scoprire, di fatto, che il mondo delle autrici femministe è un vero e proprio compendio degli elementi trasformativi (in peggio) della nostra società. Questa volta volgiamo l’attenzione su tale Sara Bilotti, scrittrice napoletana, inizialmente traduttrice e ghostwriter, con all’attivo ora una raccolta di racconti e tre romanzi per Einaudi. Ci colpisce in particolare un suo post pubblico su Facebook, che riportiamo integralmente: «“Hai una tendenza a sminuire il maschio”, mi ha detto un amico caro, persona arguta di cui ho estrema stima. Ma, come molti, ascolta con attenzione solo ciò che lo turba. L’atteggiamento di molti uomini di potere mi ha reso difficile la vita, ma non è l’unica cosa che racconto. Nell’ambiente editoriale, le umiliazioni più feroci le ho subite da una donna. Non dico mai che le nostre strade siano difficili solo per colpa degli uomini. Ma, se una donna in una posizione di potere copia l’atteggiamento degli uomini (alcuni uomini), non è esclusivamente colpa sua. È una questione di cultura. Perciò […] è dalle scuole elementari che va insegnato il rispetto. Non sottovalutate i bambini».

Capiamo da ciò che scrive, e non ci stupisce, che la sua produzione letteraria è imperniata sulla figura dell’uomo di potere che rende difficile la vita delle donne. D’altra parte è l’unico modo oggi per venire pubblicati in generale, e in particolare da Einaudi. Il rimprovero dell’amico è sicuramente sacrosanto, per gli stessi motivi: non è ammissibile nella letteratura odierna la figura di un uomo positivamente “eroico”, in ogni caso la figura maschile dev’essere sempre sminuita. Il villain degli intrecci ha ormai un unico genere e non può essere diversamente, pena la non pubblicazione, nemmeno da un editore di provincia. E su questo rimprovero la Bilotti si impunta e sviluppa un ragionamento in cui c’è molto più di quanto sembri. C’è il cuore del femminismo, indubbiamente, e della sua lettura falsata della realtà. Ma c’è anche il rapidissimo degrado a cui è andato incontro l’intero scenario culturale e sociale occidentale da quando si è permesso al femminismo stesso di dilagare. Notate: l’amico probabilmente rileva qualcosa di vero ed effettivo, ma riceve una risposta colpevolizzante. È colpa sua se si sente turbato quando vede gli uomini sminuiti dalla scrittrice. Dovrebbe piuttosto suonargli piacevole, addirittura normale. Se non accade è per una sua idiosincrasia personale. Con la stessa argomentazione il giudice Cecilia Pratesi nel 2019 respinse il ricorso di un centinaio di persone contro alcuni manifesti affissi a Roma, apertamente falsi e offensivi verso il genere maschile.

Sara Bilotti
La scrittrice Sara Bilotti.

Donne copie della natura maschile, però aberrata.

Oltre all’utilizzo strumentale del senso di colpa, c’è, molto più importante, il meccanismo subdolo atto a normalizzare la discriminazione e l’odio verso il genere maschile o i processi sminuenti della maschilità. Caro amico, se non ti pare normale sminuire il tuo genere, sei tu ad avere un problema di percezione, non sono io a fare opera di ingiustificata discriminazione. Questo postulato è una premessa strumentale al concetto-chiave che segue: gli uomini mi hanno reso la vita difficile, è vero, ma le peggiori esperienze le ho fatte con una che “copiava l’atteggiamento degli uomini” (specifica “alcuni” uomini, bontà sua). Probabilmente non se n’è accorta, ma in questa asserzione la Bilotti ha racchiuso un universo di significati e di anomalie tipicamente femministe. Una prima attiene direttamente all’effetto sterilizzante del femminismo, che mira per suo stesso statuto a equiparare le donne agli uomini: una donna è emancipata se fa come gli uomini. Che è come chiedere a una tigre di volare come un’aquila, con i conseguenti effetti disastrosi. Chiamiamo questo un effetto sterilizzante perché si limita ad additare l’interlocutore maschile come modello negativo sì, ma pur sempre da imitare o scimiottare, invece di stimolare alla definizione di una femminilità genuina, originale, sviluppata a prescindere da qualunque modello, anzitutto da quello maschile. Il mondo femminile ha tutte le risorse per autodeterminarsi in un’entità orgogliosamente propria e positiva, ma non lo fa perché il femminismo gli impone, per realizzarsi, di essere come l’odiato maschio. Scommetteremmo l’anima col diavolo, infatti, che la tizia che ha reso tanto la vita difficile alla scrittrice Bilotti ritiene se stessa donna forte, emancipata e sicuramente femminista. In realtà è una macchietta, una brutta copia di qualcosa che, per sua stessa natura, non può essere: un uomo.

Ancora più nel profondo, la stessa osservazione della Bilotti spinge a considerare proprio la natura profonda dei due generi, determinata da un misto di DNA, evoluzione e progresso socio-culturale. È vero: per sua stessa natura, e in risposta all’immutabile impostazione gerarchica del mondo, l’uomo ha sviluppato per sé un’inclinazione particolare verso la sgradevolezza, l’atteggiamento rudemente competitivo, la durezza. Per parte sua, la donna ha sviluppato un’inclinazione diversa, quasi opposta, fatta di amabilità, empatia, propensione all’incontro e alla pacificazione. Mondi opposti, risposte diverse alle sfide della vita, che tendono a ottimizzare i risultati se armonizzati tra di loro. Tendono invece al caos se entrano in competizioni “di natura”. La donna “che si fa uomo” esacerba i caratteri di sgradevolezza, anche in risposta a un mai giustificato senso di inferiorità (ben alimentato dal femminismo, per altro) e diventa quel tipo di cui la Bilotti si lamenta, ma anche soggetti come la Merkel, la Von Der Leyen, la Lagarde, la Thatcher, che potevano essere riconosciute come donne solo per le loro fattezze esterne (talvolta nemmeno per quelle), mentre per il resto appaiono e agiscono come una copia della natura maschile, però aberrata. Non diversamente un uomo che femminilizza la propria natura diventa un soggetto pressoché inutile, quasi sgradevole nell’estetizzazione ed empatizzazione del proprio essere, con cui schiaccia e opprime il proprio intimo essere pragmatico e aspro artefice contro le più pericolose sfide di un mondo immutabilmente gerarchico.

donne di potere
Christine Lagarde e Angela Merkel.

Nuove società travolte dal mondo e dalla vita.

In una parola, l’osservazione della Bilotti svela il motivo del crollo civile, culturale e sociale attuale (per lo meno occidentale): gli uomini hanno smesso di essere violenti e sgradevoli, essenzialmente perché schiacciati dal senso di colpa, rifugiandosi in una metamorfosi infantil-femminile che li ha snaturati rendendoli innocui rispetto alle necessità (talvolta dure e pressanti) di cambiamento e innovazione. Le donne hanno smesso di essere empatiche e gradevoli, caratteri affermati (anzitutto dal femminismo) come sintomi di debolezza, e si sono maschilizzate, portando al parossismo caratteri che non gli sono propri, come la violenza e la sgradevolezza. Un mondo alla rovescia, che infatti sta palesemente cappottando, o meglio avvitando su se stesso come un aereo che precipita. E a farlo cadere è proprio il concetto finale espresso dalla Billotti: accade quel che accade per “cultura”, con ciò intendendo gli stereotipi e tutto il folle e pericoloso armamentario ideologico ben noto del femminismo, come abbiamo visto giusto ieri. In realtà il degrado c’è proprio a causa della cultura sovversiva del femminismo. Sovversiva in senso proprio: sulla base di postulati e precetti privi di ogni fondamento, spinge per un rovesciamento logico e fisiologico degli equilibri tra individui, ingenerando competizione e conflitto tra di essi, invece che piena collaborazione, e spingendo l’uno a trasformarsi nell’altro, in una forma di ibridazione “liquida” capace di far scivolare l’esistenza globale nel disastro.

È in questo punto che la Bilotti fa il passo più grave: auspica che gli impulsi culturali a questo disastro vengano insegnati ai bambini. «È dalle scuole elementari che va insegnato il rispetto», scrive, «Non sottovalutate i bambini». Nel suo gergo femminista, “rispetto” significa esattamente eradicare dai maschi la natura pragmatica e sgradevole e dalle femmine quella empatica e gradevole. Di più: significa scambiarle: essendo quella femminile “superiore” a quella maschile, la prima deve sostituire la seconda. Ed essendo quella maschile da sempre dominante su quella femminile, o comunque “migliore”, tanto da farne un modello da emulare, si richiede alla natura femminile di trasformarsi, in un processo contro natura, in quella maschile. Così, nelle folli alchimie femministe di cui anche la Bilotti è portavoce, si ottiene una società con “più rispetto”. Sottinteso: per le sole donne. Con un unico non proprio piccolo problema: mentre, conformemente agli auspici e al progetto, gli uomini si infantilizzano e femminilizzano, e le donne si maschilizzano e involgarizzano, il mondo e la vita restano esattamente ciò che sono: crudeli, competitivi, gerarchici. La vecchia impostazione, così tanto esecrata dalle femministe come Bilotti, garantiva che uomini e donne, da soli ma ancor meglio se in cooperazione, potessero affrontare e vincere in molti casi le asprezze della dura diade mondo-vita; l’impostazione verso cui il femminismo e le varie Bilotti spingono è tale da rendere uomini e donne isolati, incapaci di cooperare perché sempre in competizione o conflitto, ma soprattutto snaturati a sufficienza affinché il mondo e la vita possano comodamente travolgerli. Per verificare che questo è ciò che sta accadendo, è sufficiente consultare la prima pagina di un qualunque quotidiano.



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