La Fionda

La prima ondata: il femminismo “buono” (3)

Negli Stati Uniti il movimento operaio si sviluppò in contemporanea al movimento suffragista. Le testimonianze dell’epoca rivelano un movimento dinamico e convulso. I lavoratori italiani, irlandesi, russi, lituani, polacchi, di ogni origine, rivendicavano migliori condizioni di vita, e anche la nazionalità americana. Durante le manifestazioni, come si può vedere in molte delle fotografie dell’epoca, di fronte a uno schieramento minaccioso di poliziotti e soldati, gli scioperanti sventolavano enormi bandiere americane, che stavano a rivendicare una cittadinanza a loro negata (e dunque anche il diritto di voto, dal quale, come le donne, erano esclusi). Al contrario delle proteste suffragiste, le lotte operaie non furono incruente. Linciaggi, pestaggi, incidenti come quelli di Haymarket Square (undici morti) o le rivolte alle acciaierie di Carnegie a Homestead (dieci morti), per citare solo alcuni esempi, dimostrano la pericolosità della protesta. La polizia e la Guardia Nazionale venivano chiamate a schiacciare gli operai in sciopero. La festa dei lavoratori del 1º maggio nasce proprio in memoria di uno di questi eventi cruenti. In queste fotografie, tra i lavoratori manifestanti, a difesa del diritto di voto per il proletariato, non troverete le suffragette. Non ci sono. Il femminismo viaggiava su un altro binario, non solo per le diverse posizioni ideologiche, ma anche per quel che riguarda il rischio e l’incolumità.

Da una parte c’erano gli attivisti per il diritto di voto dei neri, che rischiavano di essere linciati; da un’altra gli scioperanti, minacciati dalle forze repressive; infine le suffragette, ai cortei in abiti eleganti e cappelli, quando non giravano con il parasole. Non ci sono fotografie di truppe schierate che impugnano il fucile di fronte ai cortei femministi. Il suffragismo attecchiva tra le donne schiaviste del sud, aristocratiche, benestanti, protestanti ultracristiane, ultrapatriote, conservatrici, piuttosto che tra le donne dei minatori, degli operai, mezzadri o braccianti. Per le prime, ignare dei problemi di sussistenza e con tanto tempo libero, incapaci di capire empaticamente qualsiasi altra sofferenza al di fuori della loro, esisteva solo la causa delle donne. Non solo avevano una fissazione con la questione razziale, come abbiamo visto nell’intervento di domenica scorsa, ignoravano anche le istanze proletarie, facevano le crumire quando gli uomini scioperavano. Susan B. Anthony (1820-1906) fu esclusa dal congresso della National Labor Union nel 1869 perché spinse le lavoratrici della sua tipografia al crumiraggio. La stessa Susan B. Anthony spiegherà in maniera molto lucida il motivo: «gli uomini subiscono grandi ingiustizie schiacciati nella morsa tra lavoro e capitale ma queste ingiustizie, paragonate a quelle subite dalle donne, che si vedono sbattere le porte in faccia dal sindacato e dal mondo del lavoro, non sono altro che una goccia nell’oceano». Le sofferenze femminili sono immense rispetto a quelle maschili. Uomini neri linciati, scioperanti uccisi, suffragette con il parasole. Femminismo puro.

Attiviste convinte della superiorità morale della donna sull’uomo.

Malgrado questa biasimevole mancanza di empatia per la sofferenza altrui, malgrado il loro razzismo, queste donne non vedevano nulla di male, al contrario, si sentivano delle eroine, chiamate dal destino a vincere una guerra, mediante il voto, che i loro uomini avevano perso e che loro stavano per vincere. Si ritenevano esseri superiori che venivano a risolvere i guai, la “questione dei neri”, che i loro uomini inutili non erano riusciti a risolvere. Alle tesi razziste si associava dunque il culto della superiorità morale delle donne, derivata dalla maternità. Durante il congresso della National American Woman Suffrage Association (NAWSA) del 1903, la delegata del New Hampshire, Mary N. Chase (1863–1959), sostenne che le donne avessero diritto al voto «in quanto naturali guardiane e protettrici della casa». Nel libro Enciclopedia Politica e Historica de las Mujeres: Europa y America (Ediciones Akal) a pag. 490 si può leggere: «gli argomenti a favore del suffragio di questi anni mettevano in risalto la funzione civilizzatrice delle donne». Questa concezione non era esclusiva del femminismo americano. La figura più illustre del femminismo spagnolo dell’Ottocento, la scrittrice Concepción Arenal (1820-1893), scrive: «non è possibile ignorare la superiorità morale della donna». Nel 1866, Anna Maria Mozzoni, la più illustre rappresentante del femminismo italiano dell’Ottocento, sostiene nell’opera Un passo avanti nella cultura femminile la «superiorità di carattere» delle donne, «più meritevoli per virtù morali».

A proposito de The International Council of Women (ICW), la più importante organizzazione internazionale per i diritti delle donne d’allora, si può leggere nel libro Miradas Desencadenantes: Los estudios de Genero en la Republica Dominicana al inicio del Tercer Milenio (Ginetta E. Candelario, pubblicato da Centro de Estudios de Género, Instituto Tecnológico de Santo Domingo) a pagina 46: « May Wright Sewell, insieme alle famose suffragette americane Susan B. Anthony, Frances Willard ed Elizabeth Cady Stanton, fondò l’ICW nel 1888 per “il massimo bene della famiglia e dello Stato“. Nel 1907 l’ICW aveva circa 5 milioni di membri e 36 milioni nel 1925. L’ICW concepiva le donne come attuali o potenziali “Madri della Razza Umana” e questa logica essenzialista delineava l’ideologia e l’agenda dell’organizzazione. Le sue affiliate erano (e sono ancora) per lo più donne dell’élite dei paesi membri». Queste donne elitiste, aristocratiche e benestanti, “Madri della Razza Umana”, raccolte intorno a leghe di temperanza e di guida morale, come la Woman’s Christian Temperance Union (WCTU), erano chiamate a compiere una missione messianica, per “il massimo bene della famiglia e dello Stato”. Erano donne puritane che credevano profondamente nella superiorità razziale, nella superiorità del bianco sul nero, quindi nell’esistenza anche di una superiorità morale della donna sull’uomo, infetto quest’ultimo da tutta una serie di vizi che le donne non avevano: alcool, violenza, lussuria, prostituzione, ecc.

Frances E. Willard
Frances E. Willard

Come le madri con i figli discoli.

Secondo Frances E. Willard (1839-1898), essendo l’uomo il sesso più debole moralmente, non avrebbe accettato volontariamente di cambiare, spettava alle donne quindi agire come “madri cittadine” per proteggere le loro case e curare i mali della società. Willard chiese ai membri della Woman’s Christian Temperance Union (WCTU) di sostenere il suffragio femminile perché «il cuore di madre», affermò, «deve essere intronizzato in tutti i luoghi di potere perché i suoi editti possano essere ascoltati». Si tratta comunque di un dogma che oltrepassa i confini della razza. Al convegno del 1915 l’educatrice e leader religiosa di colore, Nannie H. Burroughs (1879-1961), sostenne la tesi della superiorità morale femminile delle nere sui propri uomini. Le donne avevano bisogno del voto, insisteva Burroughs, perché i loro uomini avevano “barattato e venduto” quest’arma preziosa: «La donna negra […] ha bisogno del voto per recuperare, attraverso un uso saggio di questo strumento, ciò che l’uomo negro ha perso attraverso un uso improprio. Ha bisogno del voto per riscattare la propria razza. […] Un paragone, tra la negra e gli uomini della sua razza, dal punto di vista morale, è esecrabile. La donna porta su di sé gli oneri della Chiesa e della scuola e assume su di sé in casa un ruolo economico preponderante».

«Concedere il diritto di voto alle donne bianche istruite e intelligenti del Sud», affermava la suffragetta Kate M. Gordon. Per quale motivo sottolineare che sono “intelligenti”, se non per dire che gli altri (i votanti maschi) non lo sono? La credenza della superiorità delle donne sugli uomini è arrivata indisturbata dalla prima ondata fino al femminismo attuale. Le donne sono più brave, non solo moralmente ma ovunque, in politica, nella gestione aziendale, a casa… Spetta dunque le donne guidare la società. Si tratta di una dogma femminista fondamentale: nell’opera La grande menzogna del femminismo, a pp. 972-1099, si possono trovare decine e decine di citazioni a conferma di questo dogma. Credo che la sua massima espressione sia egregiamente sintetizzate nella forma messianica di “salvezza”: «Il mondo salvato dalle donne» (La Repubblica, 1995); «Rapporto Censis: chi sta salvando l’Italia sono le donne» (Corriere della Sera, 07/12/2013), «Le ragazze salveranno il mondo» (El Mundo, 13/01/2016), «La terra salvata dalle donne» (Aldo Cazzullo, Corriere della Sera, 20/09/2016)… Gli uomini non sono solo esseri viziosi, ubriaconi, violenti, ieri e oggi, gli uomini sono soprattutto esseri stupidi che devono essere “salvati”. Stupido sta per inetto, incapace, bamboccione, immaturo, sciocco, maldestro, ridicolo… è normale quindi che le donne, “madri della razza umana”, acquisiscano il potere e intervengano per correggere, educare, rimproverare e punire gli uomini, esseri infantili discoli e stupidi. Così come le madri arrivano per sistemare i guai e mettere in ordine i casini che i loro figlioli combinano, le donne vengono per risolvere i guai che gli uomini combinano, questa è l’idea che soggiace sotto questo dogma femminista.

boys are stupid throw rocks at them

“Uomini, siete stupidi!”.

Ammesso e non concesso che gli uomini, forti dall’autorità che conferisce loro il sistema patriarcale, abbiano “costruito” un mondo imperfetto, difettoso, manchevole, per quale motivo le donne l’avrebbero dovuto “costruire” meglio? Perché non uguale o peggio? Dov’è scritto che le donne sappiano “costruire” meglio? La Ministro italiana Maria Elena Boschi: «Noi donne – ha affermato acclamata dalle ragazze presenti – non solo facciamo le stesse cose degli uomini, ma le realizziamo sul tacco 12». Bisogna essere proprio stupidi per non riuscire a fare qualcosa che qualcun altro riesce a fare pacificamente “sul tacco 12”. Questa arrogante convinzione di saper fare meglio, “infinitamente superiori agli uomini” in parole di Elizabeth Cady Stanton, ha delle tragiche ricadute sull’empatia e sul giudizio verso gli inferiori, simili a quanto avveniva nella superiorità razziale, dei bianchi verso i neri o degli ariani verso gli ebrei. Gli inferiori sono la causa dei propri mali. L’ottuagenario circuito che ha sposato la giovincella credendola innamorata, e due anni dopo si ritrova con le corna, il cuore spezzato e dissipata la metà del patrimonio, guadagnato e risparmiato lungo una vita di sacrifici, merita il suo male perché: “vecchio, sei stupido!”. Il ragazzo innamorato che perde il lavoro e vive lo stigma sociale additato come stalker, per aver inviato dei fiori o mandato delle poesie via WhatsApp a una ragazza che non lo vuole più, merita il suo male perché: “ragazzo, sei stupido!”. Il padre separato che, dopo dieci anni di matrimonio e di duro lavoro, perde figli, casa e patrimonio, e infine la serenità mentale e la vita, dopo un suicidio, merita il suo male per non aver saputo scegliere la donna che ha reso madre dei suoi figli, perché: “padre, sei stupido!”. Un uomo innocente linciato per un presunto stupro o un operaio morto in una manifestazione meritano il loro male, perché… gli uomini sono la causa dei propri mali, le loro sofferenze sono “una goccia nell’oceano”. “I ragazzi sono stupidi, lancia loro dei sassi!” (“Boys are stupid, throw rocks at them!”), recitava la maglietta con disegnato un bambino che correva rincorso da tre sassi. Oppure picchiatelo nelle palle, come nel nuovo gioco di TikTok (a partire del min. 4:30), fa tanto, tanto ridere (come le scene dei film di uomini che cadono goffamente o si fanno male). “Uomini, siete stupidi!”. Andiamo avanti, le curve non sono ancora finite.



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