La Fionda

La piccola Diana Pifferi è stata uccisa dal femminismo (2)

Spiega l’attrice Jessica Chastain sul Corriere della Sera: la protagonista di «Casa di bambola di Ibsen, rappresenta un nuovo modello di donna, una sfida alla società patriarcale». Nora, la protagonista del capolavoro di Ibsen, Casa di bambola, abbandona i figli e il marito – che non è un despota. Nora rappresenta il nuovo modello di donna, femminista, libera, così è dichiarato esplicitamente ad esempio in due opere storiche femministe, L’eunuco femmina di Germaine Greer e La politica del sesso di Kate Millett. Nell’opera La grande menzogna del femminismo, a pagina 1126, ho scritto: «Quando Nora chiede a suo marito: “Quale pensi che sia il mio sacro dovere?”, egli risponde: “Il tuo dovere sono tuo marito e i tuoi figli”. Lei s’oppone: “Ho un altro dovere, altrettanto sacro: il dovere verso me stessa”, e se ne va di casa. Un argomento simile avrà adoperato la sig.ra Kramer (Kramer vs Kramer, 1979), quando anche lei abbandona figlioletto e marito. Per Nora e la sig.ra Kramer il dovere verso se stessa e il dovere verso gli altri (figli e marito) non hanno pari valore, disvalore reso effettivo dall’abbandono di entrambe della dimora coniugale. In contrasto con l’insegnamento millenario delle religioni, il dovere verso se stessa diventa per le donne, solo per loro, il primo dovere, primo comandamento del femminismo. […] Se Helmer, marito di Nora, o il sig. Kramer, avessero agito parimenti in forza del sacro dovere verso se stesso, i figli abbandonati sarebbero semplicemente morti di fame». Io non faccio di mestiere il veggente, ma non era molto difficile capire che se una madre abbandona un figlio minorenne, appellandosi alla libertà, al dovere verso se stessa, come hanno fatto materialmente Nora, la sig.ra Kramer o la madre di Diana Pifferi, e se non c’è qualcun altro a sostituirla, questo figlio dipendente rischia di deperire velocemente di inanizione e morire di inedia. Così avevo predetto e così è morta la povera Diana Pifferi. Non è stata la prima vittima e non sarà l’ultima.

La madre di Diana non ha fatto altro che applicare alla lettera gli insegnamenti femministi. In una società che ha incoronato l’ideologia femminista come la sua ideologia salvifica, perché questa donna dovrebbe essere punita? La figlia era un «peso», lei voleva la sua «libertà». Il  femminismo è stato il complice ideologico della morte della povera Diana. Perché questa donna concepiva la figlia come un peso? Il pensiero delle femministe della seconda ondata sulla maternità, in special modo quello di Simone de Beauvoir, Kate Millet o Shulamith Firestone, segnerà profondamente e in modo quasi indelebile l’immaginario femminile delle generazioni successive. Durante la seconda ondata la maternità divenne un argomento di studio e analisi. Il punto di partenza fu, non poteva essere altrimenti, Il secondo sesso di Simone de Beauvoir. A dir suo, la maternità è fondamentalmente una costruzione culturale, un fatto non naturale ma sociale e politico che spiega la subordinazione delle donne. Per l’autrice, la maternità, intesa come una costruzione sociale e culturale, è un tassello capitale dell’ordine patriarcale che annulla il soggetto donna e impedisce la sua emancipazione. Dunque la maternità è descritta da lei come un’esperienza ostile, deludente, che tiranneggia le donne e i loro corpi. Ecco alcune perle, questo è il tono lungo tutto il libro: «la gravidanza è soprattutto un dramma […] il feto è un parassita che la sfrutta; lo possiede ed è posseduta da lui […] l’allattamento è una schiavitù sfibrante […]. Il bimbo impone loro una dura schiavitù e non fa più parte di loro: è un tiranno; esse guardano con ostilità questo piccolo individuo estraneo che minaccia la loro carne, la loro libertà, tutto il loro io».

Simone de Beauvoir
Simone de Beauvoir

Evviva le madri single!

Le femministe successive, come Millet e Firestone, ripresero il concetto della costruzione culturale della maternità, ostacolo per la liberazione delle donne. Scrive Carla Lonzi, storica femminista italiana, sul Manifesto di Rivolta Femminile: «Non vogliamo pensare alla maternità tutta la vita e continuare ad essere inconsci strumenti del potere patriarcale». Per loro, tanto la sessualità come la maternità costituivano delle strategie di dominazione degli uomini. Kate Millett scrive, nella sua opera La politica dei sessi, che con la maternità alla donna «le viene impedito di essere una libera creatura umana». Evidentemente la soluzione passava per non avere dei figli, la maggior parte delle femministe storiche diedero esempio, parlarono della maternità senza mai conoscerla: Simone de Beauvoir, Kate Millett, Shulamith Firestone, Germaine Greer, Andrea Dworkin, Luisa Muraro, Angela Davis, Susan Brownmiller, Gloria Steinem, Anne Koedt, Monique Witting, Beatriz Preciado… Il femminismo problematizzò – o sarebbe più corretto dire demonizzò – la maternità, la gravidanza, l’allattamento e il termine più ricorrente per descrivere tutto quanto fu quello di “schiavitù”. La maternità diventò un’istituzione patriarcale dalla quale bisognava liberarsi.

Ad un certo punto intervenne il femminismo della differenza, con la più nota esponente Adrienne Rich, per criticare e correggere questa visione cupa della maternità, ma era ormai troppo tardi, il danno era già stato fatto, la concezione negativa della maternità regnava sovrana tra le fila femministe. E anche in questa nuova visione, la figura del padre usciva a pezzi. Il femminismo della differenza cercò di ridefinire la maternità come spazio di potere femminile. Adrienne Rich afferma che bisogna «distinguere tra i due significati di maternità, di solito sovrapposti: il rapporto potenziale della donna con le sue capacità riproduttive e con i figli; e l’istituto della maternità, che mira a garantire che tale potenziale – di conseguenza le donne – rimanga sotto il controllo maschile». L’autrice valorizza l’esperienza delle donne che diventano madri e nel contempo denuncia l’oppressione maschile storica che l’istituzione della maternità ha esercitato su di loro: le maternità «sono definite e soffocate dal patriarcato». «Patriarcato è il potere dei padri: un sistema socio-familiare, ideologico, politico in cui gli uomini  – con la forza, con la pressione diretta, o attraverso riti, tradizioni, leggi, linguaggio, abitudini, etichetta, educazione e divisione del lavoro determinano quale ruolo compete alle donne […] a me saranno aperti privilegi o influenza solo nella misura in cui il patriarcato e disposto a concedermeli, e solo a condizione che io paghi il prezzo dell’approvazione maschile». A questo punto, se proprio è necessario crescere un figlio, meglio da sole, senza la presenza maschile. Madri single.

madre single

Normale è un bambino senza padre.

La prima e più immediata conseguenza della Rivoluzione culturale femminista della seconda ondata è stato l’inverno demografico nel mondo occidentale. In maniera semplicistica il fenomeno della denatalità viene spiegato in due maniere: per cause economiche e per cause culturali. Le cause economiche sono in realtà solo una cortina di fumo che adoperano le istituzioni (e il femminismo) per nascondere e attenuare l’impatto delle vere cause, che sono culturali. Non c’è una significativa differenza del tasso di natalità tra periodi di prosperità e crescita economica e periodi di crisi, come durante il Covid. Anche tra paesi occidentali più o meno ricchi, come ad esempio Singapore, Lussemburgo, Svizzera, Spagna o Grecia, non ci sono differenze significative. Se si fa un confronto in Italia tra le quindici città più povere e con maggior disoccupazione e le quindici più ricche, i tassi rimangono pressoché invariati. L’argomento che proclama, correttamente, che nel dopoguerra, in epoca di crisi e fame, le donne avevano molti più figli, rimane un argomento valido e irrefutabile. Le cause sono culturali. Cosa è successo negli ultimi 40 anni? La Rivoluzione femminista, che ha prodotto una perdita molto intensa dei valori pro-natalità e pro-famiglia, una svalutazione della maternità e della paternità, la distruzione della famiglia. Oggi in Occidente la metà circa della gente non si sposa più, e di quelli che si sposano la metà circa si separa. Il femminismo ha generato un immenso problema di solitudine, l’impoverimento affettivo per la mancanza di bambini, un’epidemia di rottura dei rapporti familiari e l’aumento esponenziale di persone che vivono sole. Oggi che tra i governi occidentali è di moda parlare di sostenibilità in ogni ambito, cosa c’è di più insostenibile del fatto che non nascano figli?

Per assurdo i governi occidentali spesso penalizzano le famiglie stabili (con un padre e una madre) rispetto alle famiglie monoparentali (di solito madre con figli/o); non solo le vedove con figli o madri abbandonate dai loro compagni – che meritano il sostegno – anche una madre single o separata, che ha deciso coscientemente di crescere un figlio orfano di un padre vivente, come ha fatto la madre di Diana Pifferi, ha molte più possibilità di ricevere aiuti, di vedersi assegnata una casa popolare. Non ha senso premiare un comportamento riprovevole che dovrebbe essere penalizzato. Ma i governi, i media e la società in genere santificano questo comportamento. Ormai in molti paesi occidentali le istituzioni mettono a disposizione cliniche di inseminazione per donne single per poter avere dei figli. La nascita programmata di un figlio orfano di padre non merita alcun rimprovero morale, anzi il contrario. Ecco alcuni esempi: «Arisa si confessa: “Basta con gli uomini, semmai un figlio da sola”», «Avere un bambino da sola è stata la cosa migliore che abbia mai fatto», «Non ho bisogno che un uomo venga a farmi fare un figlio, posso farcela da sola». Tutti i media ne parlano positivamente, conquista delle donne. Nel 2010 a Milano, «la generazione delle mamme sole; una su 5 non dà il nome del padre; in media hanno 35 anni, alto livello di studio e sono in carriera». Nessun rimprovero morale, anzi. Da allora le cose possono soltanto essere peggiorate. E se proprio un figlio deve esserci: «Littizzetto, “normale è un bambino con due mamme”», che un modo eufemistico e meno antipatico di fronte al pubblico di dire “normale è un bambino senza padre”. Nessun rimprovero morale, anzi la Littizzetto ha ricevuto un premio.

Una perdita programmata.

Perché la Natura ha concepito per la specie umana una coppia genitoriale formata da un uomo e una donna, fino ad oggi? La Natura non è stupida e questa modalità ci ha permesso di sopravvivere come specie. Si tratta di una questione di quantità e di qualità. Al contrario della maggior parte delle altre specie animali, i cuccioli della specie umana ci mettono molti anni prima di diventare autonomi e indipendenti. Hanno bisogno di tantissime cure e protezione (periodo durante il quale sviluppano intelligenza ed esperienza). In un mondo dove la sopravvivenza era molto difficile, l’esistenza di due genitori rendeva questa più semplice, l’uno poteva sopperire alle mancanze dell’altro o, nel caso più estremo, alla sua assenza. Dovrebbe essere evidente a chiunque che due è meglio di uno. Maschi e femmine si dimostravano più efficienti in ambiti diversi, nell’approvvigionamento e nella protezione il maschio, nell’allattamento e nelle cure la femmina. Risultavano complementari, motivo per il quale la coppia genitoriale era di sesso diverso. E attualmente? Il discorso quantitativo non dovrebbe essere diverso, e la prova più evidente è la morte di Diana Pifferi. Nel caso che un genitore sia inadatto o fuori di testa, come nel caso summenzionato, c’è l’altro genitore che sorveglia e può intervenire. Diana Pifferi è morta per colpa di questa società femminista (!) che promuove e santifica le madri single. La questione qualitativa si dirime sulla certezza o meno che l’uomo e la donna siano perfettamente identici e intercambiabili (ideologia di genere). Se l’uomo e la donna non sono identici, come sostengo io, e al bambino viene sottratto in maniera programmata un padre o una madre, gli viene sottratto il diritto di crescere e rapportarsi in maniera costante e forte con uno dei due poli che costituiscono l’umanità, l’universo maschile o l’universo femminile. È possibile ma non è conveniente. Anche sottrargli il diritto all’istruzione è possibile ma non è conveniente. Si tratta quindi di una perdita, programmata, celebrata dal femminismo, a suo danno. (Segue domenica prossima).



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