Torniamo ancora un attimo alla questione Laura Massaro, non per rifletterci ulteriormente sopra (l’abbiamo fatto fin troppo, considerato quanto sono chiare le cose), ma per gettare una luce su ciò che vi gira attorno. Un manicomio. Forse anche peggio. Prima di provare ad analizzarlo, guardiamolo da vicino, a partire da un post su Facebook dell’On. Monica Cirinnà, che ovviamente fa il suo endorsement della posizione della Massaro, citando a sua volta un post di Laura Boldrini. Se la cantano e se la suonano tra di loro, insomma, in una gara per la visibilità giocata cinicamente sull’esistenza di un bambino conteso. Sono politicanti, quindi il cinismo è compreso nel prezzo. Ecco il post iniziale:
Al di sotto del post si ammucchiano ovviamente i commenti, tutti in maggioranza di sostegno alla posizione della Massaro, di plauso per la Cirinnà o la Boldrini, tutto come da copione per chi si può permettere social media manager capaci di creare l’effetto claque. Se non che arriva sempre qualcuno a guastare la festa. E no, non è un militante antifemminista (ci abbiamo provato, ma ci hanno subito bannati), bensì una signora di nome Barbara Anna Franzot che, con toni pacati e ragionevoli, dopo essersi qualificata lei stessa come vittima di violenza in passato, dice la sua opinione in merito:
Scacco matto. Basta un commento del genere per chiudere ogni questione relativa alla vicenda Massaro-Apadula e all’esposizione mediatica organizzata dalla Massaro stessa e dal suo entourage. La forza della ragione produce uno SDENG! che sarebbe letale già di per sé, ma lo diventa in modo decisivo proprio per la triste esperienza personale di violenza subita che la signora Franzot condivide con i commentatori. Ad avvalorare la potenza dell’intervento giunge un’altra donna, la signora Vittoria Speltoni che, sempre con toni ragionanti e pacati, si associa al parere della signora Franzot. Non irrilevante è il fatto che entrambe si esprimono mettendoci sia la faccia (tramite la fotografia personale) sia il nome. Il problema è che per alcune, tassativamente senza foto e con uno pseudonimo, il loro punto di vista è inaccettabile. Lo smontano nel merito? Ovviamente no. Non ci sono altri commenti da fare, si tratta soltanto di leggere la sequenza di botta-e-risposta e il tipo di attacco a cui la signora Franzot viene sottoposta, specie da tale Zaira Za. Buona lettura, e tenetevi forte. Ci rivediamo dopo la sequenza di screenshot (click per ingrandire).
Il dibattito, o meglio l’aggressione, non finisce qui, ma questi sei screenshot in sequenza riteniamo possano bastare. In linea di massima non c’è molto da aggiungere. Come si dice: “si commenta da sé”. L’unica riflessione possibile può nascere dal tentativo di scandagliare le ragioni profonde della furia cieca con cui Zaira Za contesta gli argomenti della signora Franzot. Non c’è nulla di ragionevole: si tratta di un mix di attacchi personali e urlacci scomposti gettati addosso all’interlocutrice come se fossero fango con cui colmarle la bocca per impedirle di parlare. Se vi è mai capitato di incontrare un matto, ma un matto vero, uno svalvolato, magari pure pericoloso, riconoscerete le modalità comunicative e i meccanismi mentali totalmente deviati. C’è davvero una profonda cecità in quello che viene detto, un andare a tentoni spaccando tutto ciò che capita a portata di mano, a partire dalla logica. Al centro di tutto c’è la pulsione maniaco-ossessiva imperniata sul concetto chiave: no-PAS. Tutto ciò che non vi si conforma è “pasista” (cioè sostenitore della PAS). È un pensiero elementare, lineare, iper-semplificato, tipico da social network, da progressismo contemporaneo e da tifoseria. Secondo la stessa linea di non-pensiero, chi solleva perplessità sulle politiche migratorie è “razzista”, sulle politiche di genere “maschilista” o “antigenderista”, sulla gestione generale della cosa pubblica “fascista”, e così via. E più gli argomenti della controparte sono conclusivi, più la condanna preventiva a suon di “-ismi” diventa inappellabile e feroce, con il solo scopo di sfuggire dalla sconfitta dialettica ed evitare di essere spogliati ed esibiti nella propria malafede. L’obiettivo finale non è insomma quello di dimostrare fondate le proprie opinioni e infondate quelle altrui, ma solo di delegittimare a priori e in modo spiccio la controparte.
Tutto questo fa parte delle reazioni istintive di chi ha davvero un profondo disturbo interiore. La domanda da farsi ora è: “chi c’è dietro a profili come quella Zaira Za (e tantissimi altri similari)?”. Improbabile che si tratti di una donna che ha subito violenze e a cui sono stati sottratti i figli “con la scusa della PAS”. Molto più probabilmente dietro c’è un’agit-prop, una persona vuota e dalla vita ancora più vuota, non immune da squilibri mentali e comportamentali dovuti proprio alla vuotezza abissale della propria esistenza, che percepisce (e in effetti è) priva di significato. È il profilo tipico dei soggetti facili alla fanatizzazione su qualunque tematica sentano appena appena prossima alla propria amarezza esistenziale. Gente che vuole riempire il proprio nulla con il potere fine a se stesso, quand’anche fosse il micro-potere di “asfaltare” con sicumera un’interlocutrice nel fatuo contesto di un social network. A questi soggetti non importa nulla se le proprie convinzioni sono vicine o lontane rispetto alla verità: quello che conta è avere qualcosa di virulento e prepotente in cui credere. Deve essere virulento e prepotente perché solo così riempie l’abissale vuoto interiore con qualche significato, anche se transitorio e livoroso.
Immondizia da spazzare via.
Si tratta di soggetti che insomma hanno bisogno di qualche “-ismo” artificiale creato dall’esterno per sentirsi vivi e investiti di una qualche missione, che altrimenti non riuscirebbero a creare per sé. E così riempiono se stessi di follia ideologica, con tutte le sue formule, ignari del ridicolo di cui si coprono e della violenza vera e propria che fanno alla ragionevolezza e al buon senso. Il web, e specialmente i social network, pullulano di soggetti del genere, e sono loro gli agenti principali che hanno trasformato gli spazi virtuali in veri e propri manicomi dove i peggiori “-ismi” dell’epoca moderna prosperano fino a dettare legge. Per lo meno fin tanto che le persone di buona volontà, le varie signore Franzot, Speltoni e altri, non perderanno la pazienza, reagendo in modo netto e chiedendo formalmente che si spazzi via dal dibattito comune questo genere di immondizia. Comprendendo nel sacco anche coloro che di questi soggetti si circondano.