La Fionda

La Murgia e lo “schwa”: il cavallo di Troia della cancel culture

Far parlare di sé, questo è da sempre l’obiettivo di Michela Murgia. Quali valori, quali principi, quale etica? Appare chiaro a chiunque non abbia ancora portato il cervello all’ammasso che quello e solo quello è lo scopo di ogni esternazione, scritta o orale, dell’opinionista sarda, che non a caso si posiziona regolarmente in ogni lato estremo di ogni questione polarizzante. Ciò la rende un’alleata preziosissima per chi fa utili tramite le views online e il connesso (e mai ammesso) data mining che ormai tutti più o meno fanno. Più gli internauti discutono, dibattono, si espongono, più c’è gente che acquisisce potere e guadagna soldi. Una persona come la Murgia, una miniera inesauribile di trovate provocatorie, è perfettamente strumentale a quelle logiche e solo così si spiega la sua dilagante presenza, nonostante la sfilza di sfondoni che ha collezionato (l’auspicio che il covid durasse a lungo, le corbellerie dette su Battiato, la paura della divisa del ministro Figliuolo, il concetto di “matria” e così via).

Tuttavia è pericolosissimo ridurre la questione a un mero gioco a rimpiattino tra un sistema che prospera sulla discussione vuota e un’opinionista affamata di visibilità. Fosse solo quello, sarebbe davvero il meno: basterebbe educare se stessi a non manifestare reazioni ai virtuosismi provocatori murgiani e la patologia regredirebbe in modo del tutto naturale. Il problema è che la sua attività ha effetti collaterali molto più dannosi e molto più profondi di quanto si pensi, perché vanno a intaccare, solo apparentemente in superficie, alcuni capisaldi logici, culturali e sociali di grande importanza. In sostanza, quelle che in moltissimi tendiamo a classificare di volta in volta come “la nuova stupidaggine della Murgia”, in realtà sono piccoli e regolari spostamenti della famosa finestra di Overton. Una pirlata via l’altra e gradualmente, senza che ce ne accorgiamo, noi piccole ranocchie veniamo bollite secondo una ricetta elaborata da altri e altrove.

Michela Murgia
Michela Murgia

Dignità e sovranità dell’individuo pronte a essere sacrificate.

Capita così nel recente caso dello “schwa”, la e rovesciata, un nuovo significante che, nelle intenzioni, vorrebbe preservare la lingua dalle discriminazioni di genere. Il simbolo infatti annullerebbe la caratterizzazione di genere delle parole, dunque quando la Murgia, nel suo recente articolo sull’Espresso in cui sancisce che gli italiani sono tutti razzisti (!), scrive “nessunə” o “convintə”, intende includere tutti i possibili generi in cui un individuo si può identificare. Già così è chiaro su quali posizioni si voglia spostare la finestra di Overton: cancellazione della realtà fattuale, ovvero dell’esistenza di due soli generi in natura e, non meno importante, cancellazione della verità grammaticale. Quello che noi usualmente definiamo “maschile” in italiano è in realtà un neutro che include già tutti e due i generi, mentre è solo il femminile ad avere un suo genere grammaticale specifico. Se dico «ho giocato con alcuni bambini», posso intendere bambini e bambine assieme. Se invece dico «ho giocato con alcune bambine», è chiaro al cento per cento che nel gruppo non erano inclusi dei maschi. Usando lo “schwa”, dunque, la femminista d’acciaio Michela Murgia in realtà cancella un privilegio linguistico femminile, utilizza uno strumento che paradossalmente risulta assai più misogino delle regole grammaticali appropriate, che misogine o discriminanti non sono affatto. Ma è noto che lei aderisca alla versione intersezionale del femminismo, quella che ha nel suo programma la cancellazione del femminile, dunque non c’è sorpresa.

Ma non è l’unico pericolo. Già che è li a cancellare il femminile, la Murgia non ha infatti esitazioni a cancellare un po’ tutto: concettualmente infatti lo “schwa” ha la funzione di togliere di mezzo le individualità e la loro sovranità, sciogliendo tutto in un pastone asseritamente egualitario, in realtà indistinto e indistinguibile. Lo “schwa”, in questo senso, può essere definito come un’invenzione della linguistica collettivistica postmoderna che è alla base della cultura della cancellazione (“cancel culture”) che, secondo i media di massa votati alle fake news, oggi pare andare per la maggiore. Siamo attorno a qualcosa di significativo, dunque, non è una semplice boutade da sottovalutare. Ne parleremo meglio dopodomani in un nuovo articolo sul DDL Zan. Ora diciamo solo che queste piccole trovate rischiano di diventare moda e, tramite la pressione esercitata da una influencer discussa, priva di qualunque credibilità, ma comunque ascoltata e coccolata (per le ragioni dette all’inizio), rischiano di trasformarsi in una nuova regola. Deve essere chiaro che, nel caso, a essere messe in discussione nel profondo saranno la dignità e la sovranità fino a ieri intoccabili dell’individuo in quanto tale. Caratteristiche già oggi incatenate all’altare sacrificale edificato da qualche pericoloso clan identitario: se agenti velenosi come lo “schwa” entreranno in circolo, il sacrificio verrà compiuto e sarà difficile, se non impossibile, tornare indietro. Per lo meno con modalità concordi e pacifiche.



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