La Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza sulle Donne 2023 è passata, ma è facile supporre che ancora per un bel po’, sull’onda emotiva legata al “femminicidio” di Giulia Cecchettin, dovremo sopportare sui media quella che il nostro Rino Della Vecchia ha definito «una campagna di criminalizzazione degli uomini e una correlata autocolpevolizzazione che non ha precedenti, di un intero ordine di grandezza superiore ad ogni altra che l’abbia preceduta». È difficile non condividere la sua percezione. Ma se, come dicono le femministe e come ha ripetuto il premier Giorgia Meloni, viene uccisa una donna ogni tre giorni, e se tutto questo clamore mediatico nasce in modo totalmente spontaneo, perché non abbiamo assistito a questo pandemonio tre giorni prima, e tre giorni prima ancora, ecc.? A questo punto si viene colti da un “leggero sospetto” che si tratti di un’operazione mediatica pianificata e perpetrata mediante la solita sfacciata manipolazione dei dati e della narrazione complessiva che abbiamo tante volte smontato. Un esempio. La Repubblica il 25 novembre esce con la seconda e penultima pagina occupate da una griglia intitolata “Giulia e i femminicidi del 2023”. 107 caselle, in ciascuna c’è un nome di donna, l’età, il luogo e una riga di descrizione: ma per arrivare a 107 hanno dovuto inserire di tutto. Omicidi “della pietà”, per ragioni economiche, perfino suicidi: ma tanto si sa, Murgia docet, qualsiasi cosa può essere “femminicidio” se viene raccontata nel modo giusto.
Nel mucchio ci sono anche donne ammazzate da altre donne (una massacrata di botte dalla figlia, una tredicenne uccisa dalla madre…) e ciononostante alla pagina accanto c’è il rimando all’articolo Come educare gli uomini, a pagina 30. In svariati luoghi del giornale troviamo echi del coro, “bisogna educare gli uomini all’affettività, fin dalle scuole!”: principale obiettivo concreto dell’operazione (fallito il cavallo di Troia della legge Zan, ripropongono il contenuto, senza più l’involucro), laddove quello psicologico ce lo enuncia candidamente Gabriele Romagnoli a pag. 10: «Queste 107 storie andrebbero raccontate … finché non si sentano come propri la disperazione, l’incredulità e il terrore. Fino a essere spaventati dagli altri e da sé stessi». Dobbiamo spaventarci, chiaro? Siete spaventati? In questi giorni gira un’altra fonte statistica, discussa in modo parziale e distorto per magnificare la percezione della vittimizzazione femminile: l’ultimo report dell’UNODC, l’ufficio ONU per la droga e la criminalità, sul “femminicidio” a livello globale, pubblicato lo scorso 22 novembre. Commentandolo, ANSA scrive (e similmente si legge su OnuItalia e molti altri siti): «Record di femminicidi. Quasi 89.000 donne sono state uccise intenzionalmente nel 2022 in tutto il mondo, il numero più alto registrato annualmente nel corso degli ultimi due decenni, contro le 81.100 vittime del 2021».
I dati, se li torturi, dicono ciò che vuoi.
Impressionante, eh? Sembra che ci sia un’escalation di violenza omicida sulle donne a livello mondiale, infatti incalza il report: «L’aumento dei femminicidi si è verificato nonostante un calo del numero complessivo di uccisioni». Il report in realtà non registra nessun aumento. Ad aumentare è stata l’ampiezza del monitoraggio, con un conseguente aumento dei casi registrati, come è esplicitamente spiegato: «La stima delle vittime per il 2022 non è direttamente comparabile a quella del 2021 e del 2020, a causa dell’ampliamento del monitoraggio dei dati e del raffinamento del modello statistico utilizzato. Le diverse stime per i tre anni non possono essere interpretate come evidenza di un trend». Parlare di “tragico aumento”, “escalation” e simili è una bufala specialmente se riferita all’Italia o al contesto europeo dove «tra 2010 e 2022 si è assistito a una riduzione del numero medio di vittime femminili di omicidio per mano di partner o parenti del 21%». Non solo, l’Europa si conferma l’area col minor tasso di “femminicidi” annuali: 0,6 su 100.000 abitanti, a fronte ad esempio di 1,5 in America e 2,8 in Africa. Prosegue ANSA: «Il 55% (48.800) di tutti i femminicidi, riporta la ricerca Onu, sono stati commessi da parenti o partner», usando quindi il termine “femminicidio” per qualsiasi omicidio con vittima donna. E per calcare la mano, ecco il dato horror: «più di 133 donne sono state uccise ogni giorno nella propria casa. Al contrario, solo il 12% degli omicidi contro uomini sono stati perpetrati tra le mura domestiche».
Sembra proprio che il numero di uomini uccisi per mano di familiari e partners sia abissalmente inferiore alla frequenza con cui ciò accade alle donne, vero? Di fronte a questi dati schiaccianti, riguardanti tutto il mondo e ogni giorno, sembra proprio che noi uomini siamo colpevoli di una persecuzione di genere: non c’è nulla da fare, dovremmo tutti fare mea culpa, chiedere scusa alle donne, e farci rieducare buoni e zitti. E invece no: perché ANSA omette qui dire che, secondo il report, gli uomini costituiscono l’80% delle vittime di omicidio a livello globale. Su cento omicidi, ottanta avranno un uomo per vittima e venti una donna: il “12% degli omicidi contro uomini” significa perciò il 12% su 80, e va comparato con il 55% su 20. Arrivando a numeri decisamente simili. Il report è esplicito anche su questo: le donne rappresentano il 53% delle vittime totali di omicidi in famiglia, che quindi sono uomini il 47% delle volte, e il 66% delle vittime totali di omicidi per mano di intimate partners, che sono uomini per il 34%. Un po’ meno impressionante, nevvero? Se ANSA avesse scritto che ogni giorno, in media, vengono uccise 1210 persone, di queste 968 sono uomini e 242 sono donne, tra cui in ambito affettivo 133 donne e 117 uomini, avrebbe fatto un effetto un po’ diverso: l’idea della persecuzione patriarcale internazionale a danno delle donne ne sarebbe uscita un tantino sminuita.
Ci sta. Purché la vittima sia uomo.
Perfino chi cita la sproporzione tra le vittime maschili (80%) e quelle femminili (20%) di omicidio, non resiste a fare il prestigiatore coi numeri. Come ad esempio Gian Antonio Stella, che commentando il report in un articolo intitolato Sono gli uomini a uccidere, lo dicono i numeri non le chiacchiere “sposta” il rapporto 66%-34% alle vittime in famiglia (mentre invece riguarda le vittime di intimate partners). Perché? Forse perché, per poter parlare di “mattanza”, e dare il senso di una persecuzione patriarcale degli uomini ai danni dell’innocente agnello femminile, serve una sproporzione maggiore. Per cui tira fuori un coniglio dal cappello: «più impressionante è la sproporzione tra gli omicidi all’interno della coppia, sposata o no che sia. Gli uomini uccisi da mogli, compagne, amanti o fidanzate sono il 18%, le donne uccise da mariti, compagni, amanti o fidanzati l’82%. Una mattanza». Non si capisce da dove prenda il dato 82%, che nel report non compare mai. Il dato del 18% di uomini uccisi da intimate partners è preso a pag. 17 del report, ma: 1) riguarda la sola media europea; 2) non riguarda la percentuale di vittime maschili sulle sole vittime di intimate partners, bensì di nuovo, si tratta della percentuale di uomini uccisi in ambito familiare o relazionale sul totale di uomini uccisi: la relativa percentuale femminile non è 82%, ma 51%. I dati che abbiamo visto finora, peraltro, smentiscono un’altra tipica tiritera femminista. Se solo il 12% degli omicidi di uomini avviene per mano di familiari o partners, il resto avviene per mano di assassini al di fuori della sfera affettiva, mentre la relativa proporzione per le donne è del 55%: in altre parole, come è esplicitamente scritto nel report a pag. 8, «Mentre la stragrande maggioranza degli omicidi di uomini avvengono fuori di casa, per le donne e le ragazze la casa è il posto più pericoloso».
Fioccano in questi giorni i post di giovani ragazze che testimoniano il loro terrore di uscire da sole, mentre gli uomini, patriarchi e privilegiati, possono farlo senza paura: beh, alla luce dei dati ONU, forse è il caso di riequilibrare un attimo questa percezione, e andare in giro tranquillamente – ma con le normali cautele, che giovano a tutti. Non sembra dello stesso parere l’ONU: pur avendo documentato che gli uomini sono in larga misura le maggiori vittime di omicidio, e che la differenza “di genere” tra gli omicidi in ambito affettivo e relazionale è minima, sistematicamente nega da anni il riconoscimento di una Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro gli Uomini, e richiama piuttosto alla necessità di «raccogliere dati in maniera più sistematica per comprendere meglio, gestire e prevenire situazioni di vulnerabilità legate ai femminicidi» (dei dati sugli uomini morti ammazzati ce ne freghiamo) e alla «pressante necessità di finanziare, in maniera sostanziale e impattante, le associazioni per i diritti delle donne che giocano un ruolo chiave nel provvedere servizi di prevenzione e supporto a livello locale» (dare più soldi pubblici al 1522 o a Non una di meno, insomma). Per sottolineare meglio l’urgenza di questi fondi, ha intitolato la campagna UNiTE 2023 per i “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” (25 novembre-10 dicembre) proprio Investire per prevenire la violenza sulle donne. La violenza sugli uomini, invece, può continuare tranquillamente così com’è: non ci investiremo un centesimo. E il motivo ce lo spiega, se ce ne fosse ancora bisogno, Gian Antonio Stella: «Nell’intero 2022 il ministero degli Interni ha contato 126 omicidi di donne e 196 di uomini. E anche nel 2023, fino a lunedì, i primi sono stati 106 e i secondi 189. Ed è sempre andata così. Ma nel calderone c’è di tutto: gli omicidi per vendetta mafiosa e per questioni ereditarie, per una lite condominiale o per un tamponamento stradale. Non c’è proprio paragone». Seccare un nemico della cosca? Tutto ok. Ammazzare il condomino perché ti ha fatto girare le scatole? Va benissimo. Trucidare il fratello perché ha avuto una fetta maggiore dei soldi di nonna? Ci sta, dai. Purché la vittima sia un uomo. Se è una donna, non c’è proprio paragone.