di Rita Cascia. Le femministe colpiscono ancora e come da loro costume fanno danno. Odiano così tanto gli uomini che non si preoccupano nemmeno di danneggiare degli innocenti bambini che amano giocare a pallone. E così rimediano come piace a loro: si aboliscano i campi di calcio e il gioco del pallone, per educarli meglio al rispetto del femminile. La notizia proveniente da Parigi (ma qualcosa del genere è già stato fatto anche in Italia) è una di quelle che farebbe arrabbiare anche il mite Bruno Munari, che all’educazione e allo sviluppo psico-motorio dell’infanzia ha dedicato gran parte della sua vita. La proposta di una simile aberrazione nei confronti dei bambini è di Edith Maruéjouls, inventrice della “Geografia Gender” (tanto per cambiare non ci si allontana mai dal queer), che in anni passati ad osservare l’interazione dei fanciulli nei cortili ha considerato che mentre i bambini con i loro campi da calcio occupano quasi per intero lo spazio a disposizione, le bambine ne sono relegate ai margini, allontanate e segregate dalla prepotenza dei maschi.
Posto che nessuno vieta alle bambine, se lo vogliono, di unirsi alle partitelle dei bambini, la studiosa in questione non deve aver considerato che forse alle femminucce sta bene così. Forse loro stesse preferiscono porsi in luoghi quieti e appartati per raccontarsi i loro piccoli segreti, lontane da adulti troppo curiosi o da maschietti impiccioni. È piuttosto ovvio che la “studiosa” ha guardato la realtà non per quella che è, ma attraverso le proprie lenti ideologiche. L’esito è il solito: la distruzione del mondo maschile e soprattutto di ciò che può piacergli, di ciò che attiene al suo spazio psico-sociale. Che, per definizione, è oppressivo per il mondo femminile, anche contro ogni evidenza. E così si passa ai fatti, riducendo in brandelli tutto ciò che può solo lontanamente avere a che fare con la maschilità.
Poco importa se si mina l’infanzia dei bambini.
Con coltelli ben affilati le femministe stanno scolpendo le parole “oppressione” e “omofobia” in ogni dove, anche nei mondi in cui queste parole non hanno alcun senso. Perché nell’infanzia si è tutti uguali e tutti si ha il diritto di poter prendere a calci una palla, indistintamente. E ciò vale per maschi, femmine, per chi è in sovrappeso o ha delle difficoltà. E non sarà uno sfottò nei confronti di chicchessia a trasformare un bimbo in un bullo e poi in un adulto oppressivo o omofobo, ma al contrario sarà la compressione dei suoi spazi di espressione, specie quelli più conformi alla sua natura profonda. La maschilità è fisica e dinamica, tende a esprimersi nel movimento e nell’agonismo molto più del femminile, a cui per questo non è affatto superiore ma solo diversa. Privare i bimbi della possibilità di esercitarla nei campi da calcio è dunque un mero e calcolato esercizio di castrazione.
Un tipo di discorso, questo, che non è possibile far capire a chi ha inventato la “geografia gender” e vede segregazione, bullismo, oppressione e omofobia nei campi da calcio scolastici pensati per far sfogare e distrarre gli alunni dagli impegni dello studio. L’obiettivo resta per costoro la distruzione dell’oppressione maschile e dell’omofobia, allucinati mulini a vento prodotti dalla loro immaginazione affetta dalla più lisergica ossessione ideologica. E poco importa se nel farlo si mina l’infanzia dei bambini: si pianta qualche albero al posto dei campi da calcio per tacitare la propria coscienza ecologista e il gioco è fatto. Ma sempre di coscienza sporca si tratta.