«Androcentrismo: l’uomo si attribuisce la rappresentazione di tutta l’umanità […] nel campo dell’economia, della politica, la violenza, l’autorità, la storia, la medicina, la farmacologia, […] in tutte le discipline: letteratura, arte, educazione, psicologia, sociologia, filosofia, architettura, teologia, comunicazione, antropologia …», definizione del termine androcentrismo tratta dal libro Feminismo para principiantes (Femminismo per principianti). Con le parole di Élisabeth Badinter, nell’opera La strada degli errori, «l’androcentrismo è ovunque». Androcentrismo è uno dei tanti neologismi, nati e diffusi con il femminismo, che assieme a patriarcato, misoginia, maschilismo e altri similari stanno a indicare la stessa cosa: la colpa maschile. «Cos’è il patriarcato? In una parola: tutto», recita la Piccola guida sul femminismo, pubblicata dal giornale spagnolo El País. L’androcentrismo è ovunque e occupa tutto. Nasce da subito la prima obiezione, su un piano rigorosamente logico: non esiste centro senza periferia. Tutto non può essere centro e il centro non può essere ovunque. Deve esistere per forza una periferia che delimita il centro, in linguistica un termine che lo denota per opposizione semantica. Se tutte le società, e in tutte le epoche e in tutto il mondo, sono e sono state patriarcali e androcentriche, quale significato aggiungono questi epiteti al termine società? Dire “società”, “società patriarcale” o “società androcentrica” sarebbe la stessa cosa. La loro aggiunta non avrebbe alcun senso, tranne quello ideologico allo scopo di colpevolizzare.
Il “patriarcato”, cioè la “società patriarcale”, cioè la “società” (tre modi di dire la stessa cosa, a quanto pare) collocherebbe l’uomo al centro nel mondo delle idee e nel mondo fisico. In questa “società” la donna rimarrebbe in periferia, sarebbe il secondo sesso, fuori dal centro del pensiero e del mondo materiale. Una centralità dell’uomo sbalorditiva, quanto meno discutibile. Collide con la realtà nel mondo della letteratura, dove i poeti spessissimo hanno divinizzato la figura femminile, centro e musa delle loro opere. Collide con la realtà nel mondo legislativo, dove tutte le legislazioni del mondo (tutte!) presentano più norme specifiche che riguardano le donne che gli uomini. Commemorazioni, istituzioni, enti, sovvenzioni a livello internazionale, nazionale e locale, se specifiche per sesso, sono predominantemente dipinte di rosa. Al giorno d’oggi l’ONU ha proclamato un Decennio internazionale (1975-1985), un Anno internazionale (1975), una Settimana internazionale (1-7 agosto) e otto (8!) Giornate internazionali che riguardano il sesso femminile, di contro a nessun evento simile per il sesso maschile. L’ONU organizza incontri internazionali (ogni quattro anni) e ha organizzato 5 Conferenze Mondiali per i diritti delle donne, contro nessuna per gli uomini. Collide con la realtà della pubblicità e dei media, che ci bombardano continuamente di immagini femminili e di notizie che riguardano le donne. Sono ricorrenti in questo sito le denunce sul trattamento asimmetrico dei media sul tema della violenza. Malgrado la maggior parte delle vittime di violenza e di omicidio volontario siano uomini, a leggere i media nazionali e internazionali sembrerebbe che la violenza colpisca quasi esclusivamente le donne. In che modo l’uomo è al centro?
Il centro femminile e la periferia maschile.
Malgrado il termine androcentrismo suggerisca una realtà antitetica, la figura femminile è sempre stata al centro del pensiero maschile. Nella Storia, tutti i paradisi maschili sono zeppi di donne, i paradisi maschili non esistono senza donne. Al contrario, i paradisi femminili sono stati concepiti senza uomini (per approfondimento su questo riguardo rimando alla lettura del libro La grande menzogna del femminismo, a pagg. 957-958). A conferma di quanto questa asimmetrica considerazione dell’altro sesso sia una realtà, su Youtube circolano dei video (come ad es. questo in spagnolo) dove si chiede per strada agli uomini e alle donne cosa ne pensano se ad un certo punto nel mondo sparissero tutte le donne o tutti gli uomini, cioè un mondo senza uomini o senza donne. Le reazioni delle donne sono di giubilo o di sollievo (per la sparizione degli uomini); gli uomini esprimono invece tristezza e sconforto (per la sparizione delle donne). Questa asimmetrica reazione, deludente e tragica per noi uomini, meriterebbe un’analisi più approfondita, sulle differenze biologiche, sulla moralità di entrambi i sessi, sul condizionamento sociale, sul femminismo… ma ci porterebbe fuori tema. Di fatto, le donne sono al centro del pensiero maschile. La storia dei sessi è la storia della centralità di uno dei due sessi e della marginalità dell’altro. Una storia che può essere raccontata geograficamente, con un centro e una periferia. Un centro situato nella caverna, sostanzialmente occupato da donne e bambini. Una periferia che racchiudeva l’ampio spazio di caccia, ma anche di pericoli, riservata quasi esclusivamente agli uomini. Dopo ogni spedizione gli uomini dovevano tornare al centro.
Per secoli l’immaginario sociale ha percepito la mobilità in maniera negativa, contrapposta alla stabilità, cioè alla sicurezza di una dimora, di un centro. Chi doveva partire (dal centro) era sfortunato, chi restava privilegiato (malgrado l’analisi storica femminista affermi il contrario). Il fuoco in cucina nel capanno, accanto alla moglie, cioè il focolare, era il centro di qualsiasi taglialegna nelle buie foreste d’inverno. In linea di massima la società attuale non ha cambiato questa divisione geografica: un centro occupato principalmente dalle donne e una periferia battuta principalmente dagli uomini. Coloro che continuano a muoversi nelle zone più esterne delle città, nei suburbi, nell’hinterland sono gli uomini, sono loro che svolgono i lavori più lontani dall’urbanismo, si spostano fino alle zone industriali, nei campi e si allontanano nel mare. Sono sempre loro, gli uomini. Le donne invece, lontane dai capannoni, dagli edifici industriali, dalle attività portuali o attività agricole, sviluppano la loro vita in quel centro colmo da strade asfaltate con marciapiedi, aree ricreative e di svago, centri commerciali e attività più urbane. I commerci, i servizi, le amministrazioni pubbliche, i teatri, i cinema, i musei, i locali di spettacolo e le zone vip sono situate nel centro delle città. E anche quando, dovuto a necessità urbanistiche, si rende necessaria la creazione di nuove aree di commercio e svago più lontane dal centro delle città, in realtà si tratta di nuovi circoli concentrici con il proprio centro e periferia e la stessa divisione di aree per ogni sesso.
Chi espelle chi?
Per quanto assurdo possa sembrare, nemmeno l’urbanismo delle città è rimasto libero dal peccato e dalla critica femminista. «Anche le città sono maschiliste». «Urbanismo femminista, un’alternativa alla città patriarcale e capitalista è possibile». Bisogna «progettare una città femminista». Scrive Leslie Kern in La città femminista. La lotta per lo spazio in un mondo disegnato da uomini, «Viviamo nella città degli uomini. I nostri spazi pubblici non sono progettati per corpi femminili. C’è poca considerazione per le donne come madri, lavoratrici o badanti. Le strade urbane sono spesso un luogo di minacce piuttosto che di comunità». E così, mentre le donne si trovano a vivere nella città degli uomini, gli uomini si trovano a vivere nell’hinterland (delle donne?). Il centro non è soltanto uno spazio geografico, è un luogo di vita dove alcuni ci dimorano permanentemente e altri hanno il bisogno di ritornare. La famiglia, la casa, il focolare, il quartiere, la chiesa, la cerchia di amici e persone care, i luoghi dove sono nato e sono stato cresciuto, educato e istruito, sono i luoghi vissuti che forniscono serenità e un senso. Da questo centro sicuro, conosciuto e rasserenante l’uomo è stato spesso allontanato, volontariamente o costretto dalla legge o dalle circostanze, per lavoro, guerre o spedizioni, scaraventato verso una destinazione incerta, meno rassicurante, spesso ignota e ostile.
Nella società attuale e femminista nulla è cambiato, le donne, le loro tutele, le madri e i figli, continuano ad essere al centro. Le donne, mediante le loro occupazioni che perpetuano un vincolo esclusivo tra madri e figli, asili nido, scuole materne, giardini d’infanzia, scuole, servizi di tutela del minore e assistenza sociale e diritto di famiglia, assistenza sanitarie e di cura, settore servizi, lasciano agli uomini il lavoro con le macchine, nei luoghi più lontani e meno densamente popolati, avulso dalle istituzioni pubbliche e private che regolano il mondo. La relazione degli uomini con il centro in questo modo è compromessa. L’estraneità dell’uomo rispetto a quel centro di vita emerge sfacciatamente nel ruolo di padre: la figura paterna – addirittura talvolta semplicemente la figura maschile – per molti bambini è una figura completamente sconosciuta per tutta la loro crescita. Nei casi di separazione, l’uomo è molto spesso espulso contro volontà da quel centro, dall’abitazione familiare, dal nucleo familiare, dal patrimonio economico, dalla cerchia di conoscenze e amicizie familiari. L’uomo, decentrato, espulso nella periferia delle relazioni sociali, perde quella serenità, quel centro di gravità, che nel peggiore dei casi si traduce in suicidio. E adesso, ditemi: chi espelle chi? Chi s’appropria degli spazi e li rende esclusivi? Gli indigenti, i barboni (da barba), tutti coloro espulsi dai loro centri geografici e relazionali, sono l’esito di androcentrismo o di androperiferismo?