«Le donne sono sempre costrette a giocare due partite. La partita professionale e quella in difesa dei nostri diritti e dell’uguaglianza come abbiamo fatto tutti questi anni. Le giocatrici della Nazionale hanno dovuto lottare molto contro tutto e contro tutti per poter raggiungere il successo come quello che hanno raggiunto», ha dichiarato Irene Lozano, la presidente del CSD (Consiglio Superiore spagnolo dello Sport). In realtà non ha nessuna importanza se a fare la dichiarazione è stata la presidente del CSD o di un altro ente, oggigiorno una dichiarazione simile potrebbe essere pronunciata e sottoscritta pressoché da qualsiasi donna occidentale, in qualsiasi posizione economica o di potere. Le donne combattono due guerre. Una è la guerra della vita, in passato combattuta quasi in esclusiva per la sopravvivenza, oggi piuttosto per realizzarsi professionalmente, per raggiungere il successo, il benessere economico, la stima sociale… o per vincere una partita di calcio se si è calciatrice. Insomma, una guerra combattuta per soddisfare i bisogni fisici, emotivi, sociali e spirituali che lo psicologo Maslow elencò nella sua nota piramide. Una guerra, a dire il vero, in nulla diversa alla guerra che combattono ogni giorno gli uomini. La guerra della vita. L’altra è la guerra che le donne, tutte le donne, combattono contro il Patriarcato, «in difesa dei loro diritti e dell’uguaglianza». Questa seconda guerra, evidentemente, mette a repentaglio per le donne gli esiti della prima. Le donne sono costrette a fare un doppio sforzo, devono giocare «due partite» là dove gli uomini giocano solo una.
Grazie al successo del femminismo e della sua narrazione storica, questa convinzione – di dover combattere due guerre – è oggi altamente diffusa tra le donne, al di là di qualsiasi status sociale e di qualsiasi logica. «Il Patriarcato e il capitalismo distruggono le donne tutto il tempo, ci rovinano», afferma in un’intervista Lady Gaga (intervista realizzata dall’attore Jake Gyllenhaal, che non fa altro che annuire). E così come la pensa Lady Gaga, la pensano Hillary Clinton, Beyoncé, Ursula von der Leyen, Ana Botín, Chiara Ferragni e un lungo eccetera di donne miliardarie che non si curano della sofferenza dei milioni di uomini che vivono molto peggio di loro e in condizioni miserabili, milioni di senzatetto, mutilati, sfruttati, torturati, carcerati, alcolizzati, suicidi e così via. Loro sono convinte di essere LE vittime, e così si esprimono dal trono del loro ego e della loro opulenza, incuranti dell’immensa assurdità di quel che affermano. E così si esprime Irene Lozano, presidente di una rilevante istituzione pubblica, con un lauto stipendio che molti uomini si sognerebbero. E così si esprimono le calciatrici della Nazionale, che hanno goduto del privilegio di poter giocare un mondiale all’estero, tutto spesato (esperienza che milioni di uomini forse avrebbero voluto vivere senza mai riuscirci).
Al di là della logica.
«Nel XIV secolo, la scrittrice Christine de Pizan nega per la prima volta l’universalità dell’origine dell’infelicità dell’anima umana, e individua nell’uomo il principale indiziato dell’infelicità delle donne. […] Se per l’irrisolvibile infelicità dell’uomo il “problema” era “la vita” effimera e inafferrabile, origine dell’insondabile irrequietezza dell’anima, per Christine il “problema” della donna diventa “l’uomo”, la sua tirannia. […] La “condizione umana” si tramuta nella “condizione della donna”» (tratto dall’opera La grande menzogna del femminismo, p. 115). Si tratta di una rivoluzione del pensiero copernicana. Da allora la teoria femminista sostiene che, al contrario degli uomini, le donne combattono due guerre, quella della vita e quella contro il Patriarcato – eufemismo che sta a significare “gli uomini”. Delle due, per le femministe, la seconda è quella più gravosa. Come è stato ribadito molte volte in altri interventi, il femminismo è l’ideologia che sostiene l’oppressione storica e attuale delle donne per mano degli uomini in un sistema denominato patriarcato. Tutta la teoria femminista si fonda quindi su un principio assoluto: la donna è la vittima, l’uomo è il carnefice. Un principio assiomatico, indiscutibile, un “dogma di fede” al di là della logica. I dogmi di fede non si ragionano, si credono. La madre di Gesù è vergine, anche se diede alla luce un figlio; la lingua araba è la lingua parlata da Allah, quella in cui si esprime, dall’eternità e per sempre, e il Corano, scritto in questa lingua, è coesistente ad Allah prima dell’inizio di tutti i tempi, eppure i linguisti conoscono l’evoluzione dell’arabo come dialetto semitico; e la donna è sempre la vittima, malgrado sia spesso la più tutelata e protetta, oppure benestante e miliardaria, come nel caso di Lady Gaga, ciò non tiene il paragone con la condizione sociale di qualsiasi senzatetto. Nell’immaginario femminile occidentale, in quanto donna, Lady Gaga è la vittima, al di là della logica.
Il recente caso di cronaca di Jenni Hermoso, già trattato qui, che ha motivato la dichiarazione di Irene Lozano, è significativo e sintomatico. Malgrado Jenni Hermoso avesse dichiarato nella prima intervista registrata, subito dopo la premiazione, che il bacio non aveva alcuna importanza (Jenni: «No hay nada, el beso queda en una anécdota ») e aver criticato quelli che stavano allora denunciando la “violenza”, dopo aver ammesso, video registrato, di aver dato il consenso ( «e tu che gli hai risposto?», Jenni dice: «pues, vale! », dopo aver festeggiato il bacio in un video registrato con una bottiglia di spumante mentre le altre calciatrici in un coro festoso cantano a Rubiales «bacio, bacio!», dopo che l’addetta stampa della Nazionale (una donna) e la direttrice del calcio femminile (una donna) hanno confermato che il comunicato della giocatrice reso pubblico il giorno successivo (Comunicato di Jenni: «È stato un gesto reciproco, del tutto spontaneo per la gioia immensa che deriva dalla vittoria di un Mondiale. Io e il presidente abbiamo un ottimo rapporto, il suo comportamento con tutti noi è stato da 10 ed è stato un gesto naturale di affetto e gratitudine») fu approvato dalla stessa giocatrice – malgrado tutto ciò, oggi Jenni si dichiara vittima, e così la dichiarano tutte le altre calciatrici (quelle che cantavano a coro «bacio, bacio!»), le altre nazionali femminili, il governo spagnolo, il capo del governo e persino il Parlamento europeo (!??). Jenni deve essere una vittima, al di là della logica. E naturalmente Rubiales, l’uomo, deve essere il colpevole e deve essere punito, al di là della logica.
La costruzione di un mito.
Ieri chi contestava la verginità di Maria, madre di un figlio, rischiava l’ira delle folle e dell’Inquisizione. Oggi se si contesta la condizione di vittima di una donna si rischia di essere tacciato di maschilista, la gogna pubblica e il licenziamento. Dogmi di fede. Nulla è cambiato. Oggigiorno la maggior parte delle donne occidentali è convinta di combattere una guerra, in quanto vittime dell’ingiustizia maschile, per i propri diritti e la propria libertà. Le donne sono in guerra, quasi tutte le donne, la mia vicina, la tua amica, sua sorella, la nostra collega di lavoro, le vostre fidanzate… Sono in guerra contro il Patriarcato, cioè contro gli uomini. Sono in guerra perché sono vittime. Una fede incrollabile, al di là della logica, dei numeri, delle statistiche, della realtà. Una fede è una fede. E il nemico è l’uomo, sei tu (se sei maschio)! E sarebbe meglio che gli uomini prima o poi se ne convincessero. Nell’immediato possiamo solo cercare di capire in che modo è stata seminata questa ormai radicata convinzione tra le donne. Come è stata costruita la narrazione femminista, che colpevolizza gli uomini e vittimizza le donne? Come è stato possibile convincere milioni di persone (soprattutto donne) dell’attendibilità di una narrazione che è parziale, dunque falsa, oltre che misandrica? Risponderemo a questa domanda con i prossimi articoli domenicali.