“Nel 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite designò il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in ricordo del brutale assassinio nel 1960 di tre donne, le sorelle Mirabal, vittime della repressione del regime dittatoriale di Rafael Leónidas Trujillo nella Repubblica Dominicana. Le donne erano state arrestate inizialmente insieme ai loro mariti, tutti membri del Movimiento Revolucionario 14 de Junio, ma dopo qualche mese furono scarcerate, mentre i mariti rimasero nel famigerato carcere Cárcel de Puerto Plata, tristemente noto per le torture e le esecuzioni sommarie inflitte ai suoi detenuti politici. Durante il percorso per andare a fare visita ai loro mariti le donne caddero vittime di un’imboscata. Manolo Tavárez Justo, marito di Minerva Mirabal e fondatore del Movimento, troverà la morte qualche anno più tardi, nel 1963, fucilato. Premesso che qualsiasi confronto numerico per sesso o razza è sbagliato, ma poiché è lo sport al quale ci hanno abituato l’ONU, l’UE, i governi occidentali e altre istituzioni femministe, alcune riflessioni s’impongono. L’ONU ha istituito una Giornata internazionale in memoria di tre donne vittime della violenza repressiva di un regime totalitario, violenza subita in quanto donne. Le centinaia di uomini vittime dello stesso regime, compresi i mariti delle sorelle Mirabal, non hanno meritato l’istituzione di alcuna Giornata.” (La grande menzogna del femminismo, p. 201)
Sostiene, a ragione, il saggista austriaco Peter Drucker che la cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto. Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Cosa non dice questa ricorrenza?
- In ogni evento di violenza sono presenti come minimo un carnefice e una vittima. L’Umanità è inoppugnabilmente composta da due sessi: se le vittime dalle quali si vuole eliminare la violenza sono le donne, chi sono i carnefici? Quello che non viene detto è che il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza MASCHILE contro le donne.
- L’ONU ha stabilito una ricorrenza annuale per l’eliminazione della violenza contro le donne. L’Umanità è inoppugnabilmente composta da due sessi. L’ONU non ha ritenuto necessaria la statuizione di una ricorrenza speculare a tutela dell’uomo. Quello che non viene detto quindi è che il 25 novembre è la Giornata internazionale dell’indifferenza alla violenza contro gli uomini.
Un’ignoranza collettiva che non deriva dalla mancanza di dati.
Tranne che per le aggressioni sessuali e lo stalking, a livello mondiale (e nazionale) l’uomo è la vittima prevalente di qualsiasi altro tipo di violenza (tortura, omicidio, furto, aggressione, lavoro forzato, prigionia,…). Ogni essere umano vittima ha il bisogno e il diritto alla compassione e al rispetto, senza alcuna discriminazione di sorta, nemmeno per il sesso. Sia vissuta quindi questa Giornata con il dovuto raccoglimento e rispetto che meritano le vittime, e con il dovuto sdegno e disprezzo che meritano l’ONU, i governi, le ONG e i media che la commemorano. In memoria di tutte le vittime di violenza, e in ripudio di tutti gli enti che discriminano le vittime in base al sesso, da oggi fino a domenica 29 novembre farò un intervento quotidiano sulle vittime dimenticate, in un ambito ritenuto da questi stessi enti come esclusivo femminile: la violenza sessuale.
Intorno alla figura di vittima maschile di violenza sessuale c’è un muro di mistificazione e segretezza da demolire, tanto nel ruolo di vittima attiva (penetrazione) quanto di vittima passiva. I successivi interventi affronteranno alcune di queste modalità segnalate in quattro zone e realtà diverse nel mondo: Uganda, Cambogia, Colombia, USA. Nel primo caso elencato di vittima attiva, come proclama il titolo di questo articolo del Guardian, bisogna “rompere il muro dell’omertà sugli abusi sessuali a danno degli uomini commessi dalle donne”. Risulta assurdo che dalle ricerche “una significativa minoranza di uomini riferisce di essere stata forzata o costretta a compiere un atto sessuale nel corso della sua vita, per le donne persino un numero maggiore ammette di aver forzato o costretto un uomo a farlo”. In quale crimine si è mai visto che gli autori del misfatto lo riconoscano in numeri più elevati delle loro vittime? Sotto quale vergogna e stigma sociale viviamo prigionieri noi uomini, incapaci di riconoscere apertamente il danno vissuto? “La nostra ignoranza collettiva di questi problemi non deriva dalla mancanza di dati, ma da un muro di segretezza costruito volontariamente”, si afferma. “L’alcol è implicato in una proporzione molto ampia dei casi, uomini che svengono alle feste e che vengono a trovarsi molestati o aggrediti da una donna. Altri casi includono minacce, ricatti o persino la forza bruta e la violenza.” “C’è pochissima comprensione del fatto che l’abuso sessuale di uomini da parte di donne è potenzialmente dannoso per la vittima”.
Alle vittime maschili hanno dedicato meno di un rigo.
Nel secondo caso elencato, l’omertà proviene innanzitutto dagli enti presumibilmente preposti a tutelare le vittime, come vedremo. Prima però di entrare nel cuore dell’argomento, con gli interventi successivi che verranno, voglio da subito confutare l’obiezione che viene sempre mossa in questi casi: “la sofferenza di questi uomini è causata da altri uomini, dunque non è lo stesso”. Chi solleva quest’obiezione non si pone lo stesso problema quando deve difendere la lotta all’infanticidio e all’aborto selettivo in India e in Cina, commesso maggioritariamente dalle donne di quei paesi, né quando deve difendere la lotta al taglio genitale femminile, tradizione praticata e perpetuata principalmente dalle donne, né quando deve combattere il traffico di esseri umani, il 50% circa gestito da donne. Anche tra le aggressioni sessuali le responsabilità femminili sono tutt’altro che trascurabili. Il caso forse miglior documentato della partecipazione di donne nell’uccisione, tortura e stupro del nemico è quello del genocidio di Ruanda. La ministro della Promozione delle Donne, Pauline Nyiramasuhuko, condannata per crimini contro l’umanità, diede ordine di stuprare donne e bambine. Nel conflitto nella Repubblica Democratica del Congo gli uomini furono gli autori del 91% delle aggressioni sessuali contro altri uomini e del 59% delle aggressioni sessuali contro le donne. In altre parole, le donne furono le autrici del 9% delle aggressioni sessuali contro gli uomini e del 41% delle aggressioni sessuali contro altre donne. Un’altra ricerca sempre sulla Repubblica Democratica del Congo rilevò tra la popolazione in studio che il 39.7% delle donne e il 23.6% degli uomini era stata vittima di agressione sessuale. Le donne autrici di violenza la esercitarono nel 41.1% dei casi su donne vittime e nel 10.0% dei casi su uomini vittime. Dobbiamo ignorare il 41% delle donne vittime di aggressioni sessuali perché sono state vittime di carnefici del proprio sesso? Perché dovremmo ignorare gli uomini vittime di donne? Perché dovremmo comunque ignorare qualsiasi vittima, in base al suo sesso?
Concludo rammentando che, a vergogna ed onta dell’ONU, solo dal 2013 questo ente riconosce l’esistenza di uomini adulti vittime di aggressioni sessuali nei conflitti armati. “Si osserva con preoccupazione che la violenza sessuale in situazioni di conflitto armato e postbellico colpisce in maniera sproporzionata donne e ragazze, nonché gruppi particolarmente vulnerabili o specificamente presi di mira, nel contempo colpisce anche uomini e bambini.” (Risoluzione 2106 (2013) del 24 giugno 2013). Alle vittime maschili hanno dedicato meno di un rigo.